Nel suo efficace editoriale di ieri su La Repubblica, dedicato a smontare la propaganda leghista sugli effetti miracolosi dell’Autonomia differenziata, Isaia Sales utilizza per 14 volte la parola “nazione”. Nell’intervista rilasciata sul medesimo tema, qualche pagina più avanti, Francesco Boccia, presidente del gruppo Pd al Senato e ministro per gli Affari regionali e le Autonomie nel governo Conte II, richiama i termini “nazione” e “Patria” soltanto in quanto gergo martellante di FdI e da essa traditi nello scambio scellerato tra separazione regionale e premierato. Non riesce a farli propri e, per definire l’Italia, utilizza il vocabolo “paese”, come da consolidata consuetudine della cultura progressista degli ultimi decenni. Nei mesi scorsi, sempre su La Repubblica, Corrado Augias ha difeso l’idea di Nazione di Ernest Renan dal tentativo di appropriazione esclusiva della destra, poi insieme all’ex ministro Minniti, in un colloquio con il direttore Molinari, ha rivendicato “il senso della Patria per la Sinistra”. Il 7 Gennaio, nel 227-esimo anniversario della bandiera italiana, Ezio Mauro ha scritto: “Onorare il Tricolore, oggi, significa riconoscersi in una definizione comune del concetto di Patria”.

Domanda: possiamo resistere all’offensiva secessionista della “Lega Nord - Padania indipendente” senza riscoprire il valore costituzionale di Patria e Nazione e utilizzarli come epicentro culturale, morale e politico del nostro discorso pubblico? Risposta: No. Insistere sui principi di eguaglianza e di solidarietà è sterile senza valorizzarne il presupposto sentimentale evocato dalle parole della Costituzione.

Prima della conversione a un europeismo funzionalista, a-storico ed elitario, espresso in riferimento ad un presunto “popolo europeo”, la sinistra di matrice comunista, socialista e cattolica, aveva concorso ad incidere l’articolo 52 della Costituzione: “La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino.” Un’affermazione potentissima. È l’unico articolo della nostra Carta dove un dovere è agganciato alla dimensione teologico-politica del “sacro”. Eppure, nella Costituzione sono enunciati tanti altri essenziali doveri di cittadinanza. Innanzitutto, i doveri di solidarietà politica, economica e sociale (Art. 2). Sono qualificati come “inderogabili”, ma non “sacri”. Gli altri doveri, pur essenziali, sono indicati senza aggettivi rafforzativi: il dovere di concorrere al progresso materiale e spirituale della società (Art. 4); i doveri verso i figli (Art. 30); il dovere civico del voto (Art. 48); il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi e il dovere di adempiere con disciplina ed onore alle funzioni pubbliche (art. 54). Insomma, il richiamo non confessionale alla trascendenza, condiviso dai costituenti credenti e non credenti, è speso una sola volta per innalzare, sopra a tutti gli altri, il dovere verso la Patria. È significativo.

La sinistra in tutte le matrici ha anche contribuito a scolpire l’articolo 67: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione”. La Nazione sono le tradizioni, i costumi, la cultura, la lingua, l’esperienza condivise nella comunità. È la Storia della comunità. È il sentimento di riconoscimento reciproco di appartenenza alla comunità e, ad ogni eletto ed eletta dal popolo, è prescritto il legame vivo con tutti gli uomini e le donne della comunità. È legame prioritario, di ordine superiore al legame di partito, comunità di appartenenza legittima, anzi condizione di democrazia (Art. 49), ma parte.

Insomma, nella Carta fondativa, proprio chi aveva vissuto sulla propria pelle la degenerazione operata dal fascismo e dal nazismo dei legami di Nazione e di Patria li recuperava. Era consapevole della loro imprescindibilità per la persona. Li declinava ai fini di un’appartenenza inclusiva, aperta, accogliente, cooperativa e solidale. Il lascito risorgimentale era profondo. L’ideale positivo ed emancipativo racchiuso nei termini Patria e Nazione si era paradossalmente rafforzato nelle avversità provate a causa del loro ribaltamento semantico: nelle loro strazianti lettere, i giovani condannati a morte della Resistenza invocano l’Italia, la Patria e la Nazione nell’ora dell’estremo sacrificio. Alle madri e padri costituenti, non mancavano sinonimi meno insanguinati dalla Storia. Utilizzarono anche il termine “paese” (artt. 3, 10 e 47), ma per riferirsi allo spazio fisico e geografico della cittadinanza democratica, non alla sua anima.

Poi, è arrivato il 1968 che, nelle correnti più creative e valorizzate (vedi Toni Negri e l’alter globalismo), ha portato la sua energia dirompente fino a demonizzare il confine, quindi la Patria e la Nazione: concetti piegati ad implicare necessariamente la negazione dell’ “altro”, definiti in termini regressivi per poter inchiodare lo Stato alla funzione di coercizione e oppressione al servizio del Capitale. A seguire, lo sradicamento culturale delle sinistre dall’impianto nazionale e patriottico della Costituzione si è compiuto dopo l’abbattimento del Muro di Berlino e la fine della cosiddetta “Prima Repubblica”. In quel tornante torbido e pericoloso, per sopravvivere e incardinare l’Italia ad un principio d’ordine sostitutivo della Guerra fredda, le componenti “riformiste”, i partiti dell’arco costituzionale originario della Repubblica, si affidano ad un’interpretazione passiva del vincolo esterno, europeo, in particolare. Ogni richiamo alla Nazione e alla Patria ed ogni riferimento ai caratteri distintivi della nostra Costituzione diventa “sovranismo”. Nel funerale del compianto David Sassoli, ex Presidente del Parlamento europeo, si arriva ad avvolgere la bara, nella cerimonia pubblica nella chiesa di Santa Maria degli Angeli a Roma, soltanto con la bandiera europea, senza il Tricolore. In sintesi, sinistre governiste e antagoniste hanno, in modo preterintenzionale, fatto sponda all’egemonia liberista della “Fine della Storia”, funzionale al dispiegamento del mercato globale e delle libertà assolute, dove l’individuo è consumatore senza appartenenze, senza Patria, senza Nazione. Solo. Egoista. Smarrito. Timoroso. Quindi, aggressivo. In cerca di comunità. Preda facile dei nazionalismi sempre pronti.

Per fermare la “secessione dei ricchi” e per dare radici di popolo all’ irrinunciabile integrazione europea, dobbiamo coltivare l’anima della nostra Costituzione, riconoscerci Nazione e Patria.

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Nel suo efficace editoriale di ieri su La Repubblica, dedicato a smontare la propaganda leghista sugli effetti miracolosi dell’Autonomia differenziata, Isaia Sales utilizza per 14 volte la parola “nazione”. Nell’intervista rilasciata sul medesimo tema, qualche pagina più avanti, Francesco Boccia, presidente del gruppo Pd al Senato e ministro per gli Affari regionali e le Autonomie nel governo Conte II, richiama i termini “nazione” e “Patria” soltanto in quanto gergo martellante di FdI e da essa traditi nello scambio scellerato tra separazione regionale e premierato. Non riesce a farli propri e, per definire l’Italia, utilizza il vocabolo “paese”, come da consolidata consuetudine della cultura progressista degli ultimi decenni. Nei mesi scorsi, sempre su La Repubblica, Corrado Augias ha difeso l’idea di Nazione di Ernest Renan dal tentativo di appropriazione esclusiva della destra, poi insieme all’ex ministro Minniti, in un colloquio con il direttore Molinari, ha rivendicato “il senso della Patria per la Sinistra”. Il 7 Gennaio, nel 227-esimo anniversario della bandiera italiana, Ezio Mauro ha scritto: “Onorare il Tricolore, oggi, significa riconoscersi in una definizione comune del concetto di Patria”.

Domanda: possiamo resistere all’offensiva secessionista della “Lega Nord - Padania indipendente” senza riscoprire il valore costituzionale di Patria e Nazione e utilizzarli come epicentro culturale, morale e politico del nostro discorso pubblico? Risposta: No. Insistere sui principi di eguaglianza e di solidarietà è sterile senza valorizzarne il presupposto sentimentale evocato dalle parole della Costituzione.

Prima della conversione a un europeismo funzionalista, a-storico ed elitario, espresso in riferimento ad un presunto “popolo europeo”, la sinistra di matrice comunista, socialista e cattolica, aveva concorso ad incidere l’articolo 52 della Costituzione: “La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino.” Un’affermazione potentissima. È l’unico articolo della nostra Carta dove un dovere è agganciato alla dimensione teologico-politica del “sacro”. Eppure, nella Costituzione sono enunciati tanti altri essenziali doveri di cittadinanza. Innanzitutto, i doveri di solidarietà politica, economica e sociale (Art. 2). Sono qualificati come “inderogabili”, ma non “sacri”. Gli altri doveri, pur essenziali, sono indicati senza aggettivi rafforzativi: il dovere di concorrere al progresso materiale e spirituale della società (Art. 4); i doveri verso i figli (Art. 30); il dovere civico del voto (Art. 48); il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi e il dovere di adempiere con disciplina ed onore alle funzioni pubbliche (art. 54). Insomma, il richiamo non confessionale alla trascendenza, condiviso dai costituenti credenti e non credenti, è speso una sola volta per innalzare, sopra a tutti gli altri, il dovere verso la Patria. È significativo.

La sinistra in tutte le matrici ha anche contribuito a scolpire l’articolo 67: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione”. La Nazione sono le tradizioni, i costumi, la cultura, la lingua, l’esperienza condivise nella comunità. È la Storia della comunità. È il sentimento di riconoscimento reciproco di appartenenza alla comunità e, ad ogni eletto ed eletta dal popolo, è prescritto il legame vivo con tutti gli uomini e le donne della comunità. È legame prioritario, di ordine superiore al legame di partito, comunità di appartenenza legittima, anzi condizione di democrazia (Art. 49), ma parte.

Insomma, nella Carta fondativa, proprio chi aveva vissuto sulla propria pelle la degenerazione operata dal fascismo e dal nazismo dei legami di Nazione e di Patria li recuperava. Era consapevole della loro imprescindibilità per la persona. Li declinava ai fini di un’appartenenza inclusiva, aperta, accogliente, cooperativa e solidale. Il lascito risorgimentale era profondo. L’ideale positivo ed emancipativo racchiuso nei termini Patria e Nazione si era paradossalmente rafforzato nelle avversità provate a causa del loro ribaltamento semantico: nelle loro strazianti lettere, i giovani condannati a morte della Resistenza invocano l’Italia, la Patria e la Nazione nell’ora dell’estremo sacrificio. Alle madri e padri costituenti, non mancavano sinonimi meno insanguinati dalla Storia. Utilizzarono anche il termine “paese” (artt. 3, 10 e 47), ma per riferirsi allo spazio fisico e geografico della cittadinanza democratica, non alla sua anima.

Poi, è arrivato il 1968 che, nelle correnti più creative e valorizzate (vedi Toni Negri e l’alter globalismo), ha portato la sua energia dirompente fino a demonizzare il confine, quindi la Patria e la Nazione: concetti piegati ad implicare necessariamente la negazione dell’ “altro”, definiti in termini regressivi per poter inchiodare lo Stato alla funzione di coercizione e oppressione al servizio del Capitale. A seguire, lo sradicamento culturale delle sinistre dall’impianto nazionale e patriottico della Costituzione si è compiuto dopo l’abbattimento del Muro di Berlino e la fine della cosiddetta “Prima Repubblica”. In quel tornante torbido e pericoloso, per sopravvivere e incardinare l’Italia ad un principio d’ordine sostitutivo della Guerra fredda, le componenti “riformiste”, i partiti dell’arco costituzionale originario della Repubblica, si affidano ad un’interpretazione passiva del vincolo esterno, europeo, in particolare. Ogni richiamo alla Nazione e alla Patria ed ogni riferimento ai caratteri distintivi della nostra Costituzione diventa “sovranismo”. Nel funerale del compianto David Sassoli, ex Presidente del Parlamento europeo, si arriva ad avvolgere la bara, nella cerimonia pubblica nella chiesa di Santa Maria degli Angeli a Roma, soltanto con la bandiera europea, senza il Tricolore. In sintesi, sinistre governiste e antagoniste hanno, in modo preterintenzionale, fatto sponda all’egemonia liberista della “Fine della Storia”, funzionale al dispiegamento del mercato globale e delle libertà assolute, dove l’individuo è consumatore senza appartenenze, senza Patria, senza Nazione. Solo. Egoista. Smarrito. Timoroso. Quindi, aggressivo. In cerca di comunità. Preda facile dei nazionalismi sempre pronti.

Per fermare la “secessione dei ricchi” e per dare radici di popolo all’ irrinunciabile integrazione europea, dobbiamo coltivare l’anima della nostra Costituzione, riconoscerci Nazione e Patria.

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Riconoscersi Nazione e Patria per fermare l’Autonomia differenziata

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16.01.2024

Nel suo efficace editoriale di ieri su La Repubblica, dedicato a smontare la propaganda leghista sugli effetti miracolosi dell’Autonomia differenziata, Isaia Sales utilizza per 14 volte la parola “nazione”. Nell’intervista rilasciata sul medesimo tema, qualche pagina più avanti, Francesco Boccia, presidente del gruppo Pd al Senato e ministro per gli Affari regionali e le Autonomie nel governo Conte II, richiama i termini “nazione” e “Patria” soltanto in quanto gergo martellante di FdI e da essa traditi nello scambio scellerato tra separazione regionale e premierato. Non riesce a farli propri e, per definire l’Italia, utilizza il vocabolo “paese”, come da consolidata consuetudine della cultura progressista degli ultimi decenni. Nei mesi scorsi, sempre su La Repubblica, Corrado Augias ha difeso l’idea di Nazione di Ernest Renan dal tentativo di appropriazione esclusiva della destra, poi insieme all’ex ministro Minniti, in un colloquio con il direttore Molinari, ha rivendicato “il senso della Patria per la Sinistra”. Il 7 Gennaio, nel 227-esimo anniversario della bandiera italiana, Ezio Mauro ha scritto: “Onorare il Tricolore, oggi, significa riconoscersi in una definizione comune del concetto di Patria”.

Domanda: possiamo resistere all’offensiva secessionista della “Lega Nord - Padania indipendente” senza riscoprire il valore costituzionale di Patria e Nazione e utilizzarli come epicentro culturale, morale e politico del nostro discorso pubblico? Risposta: No. Insistere sui principi di eguaglianza e di solidarietà è sterile senza valorizzarne il presupposto sentimentale evocato dalle parole della Costituzione.

Prima della conversione a un europeismo funzionalista, a-storico ed elitario, espresso in riferimento ad un presunto “popolo europeo”, la sinistra di matrice comunista, socialista e cattolica, aveva concorso ad incidere l’articolo 52 della Costituzione: “La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino.” Un’affermazione potentissima. È l’unico articolo della nostra Carta dove un dovere è agganciato alla dimensione teologico-politica del “sacro”. Eppure, nella Costituzione sono enunciati tanti altri essenziali doveri di cittadinanza. Innanzitutto, i doveri di solidarietà politica, economica e sociale (Art. 2). Sono qualificati come “inderogabili”, ma non “sacri”. Gli altri doveri, pur essenziali, sono indicati senza aggettivi rafforzativi: il dovere di concorrere al progresso materiale e spirituale della società (Art. 4); i doveri verso i figli (Art. 30); il dovere civico del voto (Art. 48); il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi e il dovere di adempiere con disciplina ed onore alle funzioni pubbliche (art. 54). Insomma, il richiamo non confessionale alla trascendenza, condiviso dai costituenti credenti e non credenti, è speso una sola volta per innalzare, sopra a tutti gli altri, il dovere verso la Patria. È significativo.

La sinistra in tutte le matrici ha anche contribuito a scolpire l’articolo 67: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione”. La Nazione sono le tradizioni, i costumi, la cultura, la lingua, l’esperienza condivise nella comunità. È la Storia della comunità. È il sentimento di........

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