L’8 novembre scorso, preannunciati il giorno precedente da una visita della Presidente Von der Leyen a Kiev, la Commissione europea ha adottato i “Rapporti sull’allargamento 2023”. Sulla base di tali rapporti, l’esecutivo di Bruxelles ha raccomandato di aprire i negoziati di accesso con Ucraina e Moldavia e, a certe condizioni, con Bosnia-Erzegovina, mentre per la Georgia la raccomandazione è di garantire lo status di “candidato”. Per Albania, Kosovo, Montenegro, Macedonia del Nord, Serbia e Turchia, Stati già candidati, i rapporti contengono aggiornamenti sull’avvicinamento alle condizioni previste per l’accesso. Insomma, la Commissione, con l’avvallo dei governi dei principali Stati dell’Unione, è al lavoro per includere altri 10 membri. Il congresso del Partito dei Socialisti Europei (Pse), in corso a Malaga, è totalmente allineato.

Il primo dato che colpisce è la superficialità con la quale si procede. Nella risoluzione approvata ieri dal Pse nella sua assise pre-elettorale, si dà sostegno pieno all’allargamento dell’Ue a 37 membri, senza nessun riferimento alla dimensione sociale: unica condizione, da manuale di cultura liberal-democratica, il rispetto della “rule of law” e dei “valori” europei. La La nostra Presidente del Consiglio arriva addirittura, leggiamo, a barattere l’ingresso nell’Ue con qualche hotspot al di là dell’Adriatico. Eppure, l’esito del “capolavoro” compiuto nel 2004 dalla Commissione Prodi con il disinvolto allargamento ad Est qualche dubbio dovrebbe farlo venire. Innanzitutto, ai partiti orientati alla rappresentanza degli interessi di lavoratori e lavoratrici, micro e piccole imprese o, almeno, ai sindacati confederali convinti di essere soggetti generali. Ancora non è chiaro che il mercato unico europeo alimenta un feroce dumping sociale e fiscale, date le differenze in termini di salari, condizioni del lavoro, tassazione e welfare tra gli Stati coinvolti? Ancora non è chiaro che i principi guida dei Trattati europei, a differenza della nostra Costituzione, svincolano da fini sociali le “sacre” libertà di movimento di capitali, merci, servizi e persone? Non è ancora chiaro che il mercato unico europeo è una versione estrema di quel mercato globale generatore di disuguaglianze che finalmente si riconosce come insostenibile? Non è ancora chiaro che la presenza in tale meccanismo di svalutazione del lavoro di Stati come l’Ucraina, come la Moldavia, come la Georgia o come quelli dei Balcani, caratterizzati da tassazione e welfare minimi e salari medi di 300-400 euro al mese, vuol dire ulteriore concorrenza al ribasso su fasce sociali già segnate da 30 anni di arretramento e ora colpite anche dall’impennata dell’inflazione (importata)? Non è ancora chiaro che così si alimenta quello che sdegnosamente si scomunica come populismo, razzismo e nazionalismo? Non ancora chiaro che “il vento di destra” origina da qui?

Insieme alle conseguenze sociali, vi sono gli effetti politici. Anche su tale piano dovrebbe essere oramai evidente l’errore compiuto nel 2004. Allora, l’entrata nella NATO sarebbe stata sufficiente a compiere l’operazione geo-politica e garantire la sicurezza a chi si liberava da Mosca. Con il loro arrivo nell’Ue si è bloccata ogni possibile, già difficilissima, maturazione politica. È evidente che un’Unione a 36-37 Stati (nessuno sano di mente intende veramente includere la Turchia con i suoi 90 milioni di abitanti e gli orientamenti in essa radicati) si consoliderebbe esclusivamente come feroce mercato contro il lavoro. Gli Stati dell’Ue sarebbero integrati sul piano politico soltanto nell’ambito della NATO in una condizione di completa subalternità agli Stati Uniti. Di fronte a tale incontrovertibile obiezione, “federalisti” inconsapevoli, liberisti e agenti guastatori consapevoli ripetono il ritornello: riforma dei Trattati e voto a maggioranza. Prima o contestualmente all’allargamento. È una cinica presa in giro. Perchè mai uno Stato con interessi strategici divergenti dai principali attori del nucleo fondativo dovrebbe rinunciare alla formidabile rendita di posizione goduta a Trattati vigenti? E poi attenzione alla facile invocazione dell’eliminazione del diritto di veto su materie vitali per l’identità e l’interesse delle nazioni. Seppure fosse previsto il voto a maggioranza qualificata, pur molto qualificata, su politica estera, difesa e sicurezza, si potrebbe ignorare il dissenso di una comunità nazionale e imporle, una guerra o una scelta geopolitica non condivisa? Non è ancora chiara la necessità di un discorso politico per l’allineamento degli interessi nazionali?

Allora che fare? Sul piano politico, l’unica strada per una maggiore integrazione è la cooperazione rafforzata tra i principali protagonisti della “vecchia Europa”. Proprio come scritto nel Rapporto del gruppo franco-tedesco dei 12, scomodo per la narrazione mainstream, quindi ignorato da media e politica italiana, si dovrebbe puntare a una costruzione a tre cerchi concentrici: una cooperazione rafforzata di segno intergovernativo per una maggiore integrazione politica; poi, l’Ue a 27, dove però andrebbero radicalmente modificate le Direttive di regolazione del mercato unico al fine di introdurre vincoli sociali alle 4 sacre libertà; infine, la Comunità Politica Europea, come riproposta dal Presidente Macron, per tenere insieme nello stesso circuito di politica internazionale i 27 dell’Ue con chi desidera entrare nel club, ma senza partecipare al mercato unico.

Oltre al coinvolgimento politico, la martoriata Ucraina e gli altri Stati effettivamente interessati ad entrare nell’Ue dovrebbero essere sostenuti con un adeguato impegno finanziario e di assistenza tecnica per la ricostruzione e il capacity building attraverso le risorse e le competenze della Bers (European Bank for Reconstruction and Development), la più grande banca di sviluppo del pianeta, proprio come la Banca Mondiale fece con gli Stati europei al di qua della Cortina di ferro, devastati dalla Seconda Guerra mondiale.

Siamo in un tornante difficilissimo. Ripetere gli errori commessi sarebbe esiziale, per un ordine internazionale multilaterale, per la pace, per la conversione ambientale, per lavoratrici e lavoratori. Invece, nel congresso della più grande famiglia progressista europea, nessuna correzione di rotta.

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L’8 novembre scorso, preannunciati il giorno precedente da una visita della Presidente Von der Leyen a Kiev, la Commissione europea ha adottato i “Rapporti sull’allargamento 2023”. Sulla base di tali rapporti, l’esecutivo di Bruxelles ha raccomandato di aprire i negoziati di accesso con Ucraina e Moldavia e, a certe condizioni, con Bosnia-Erzegovina, mentre per la Georgia la raccomandazione è di garantire lo status di “candidato”. Per Albania, Kosovo, Montenegro, Macedonia del Nord, Serbia e Turchia, Stati già candidati, i rapporti contengono aggiornamenti sull’avvicinamento alle condizioni previste per l’accesso. Insomma, la Commissione, con l’avvallo dei governi dei principali Stati dell’Unione, è al lavoro per includere altri 10 membri. Il congresso del Partito dei Socialisti Europei (Pse), in corso a Malaga, è totalmente allineato.

Il primo dato che colpisce è la superficialità con la quale si procede. Nella risoluzione approvata ieri dal Pse nella sua assise pre-elettorale, si dà sostegno pieno all’allargamento dell’Ue a 37 membri, senza nessun riferimento alla dimensione sociale: unica condizione, da manuale di cultura liberal-democratica, il rispetto della “rule of law” e dei “valori” europei. La La nostra Presidente del Consiglio arriva addirittura, leggiamo, a barattere l’ingresso nell’Ue con qualche hotspot al di là dell’Adriatico. Eppure, l’esito del “capolavoro” compiuto nel 2004 dalla Commissione Prodi con il disinvolto allargamento ad Est qualche dubbio dovrebbe farlo venire. Innanzitutto, ai partiti orientati alla rappresentanza degli interessi di lavoratori e lavoratrici, micro e piccole imprese o, almeno, ai sindacati confederali convinti di essere soggetti generali. Ancora non è chiaro che il mercato unico europeo alimenta un feroce dumping sociale e fiscale, date le differenze in termini di salari, condizioni del lavoro, tassazione e welfare tra gli Stati coinvolti? Ancora non è chiaro che i principi guida dei Trattati europei, a differenza della nostra Costituzione, svincolano da fini sociali le “sacre” libertà di movimento di capitali, merci, servizi e persone? Non è ancora chiaro che il mercato unico europeo è una versione estrema di quel mercato globale generatore di disuguaglianze che finalmente si riconosce come insostenibile? Non è ancora chiaro che la presenza in tale meccanismo di svalutazione del lavoro di Stati come l’Ucraina, come la Moldavia, come la Georgia o come quelli dei Balcani, caratterizzati da tassazione e welfare minimi e salari medi di 300-400 euro al mese, vuol dire ulteriore concorrenza al ribasso su fasce sociali già segnate da 30 anni di arretramento e ora colpite anche dall’impennata dell’inflazione (importata)? Non è ancora chiaro che così si alimenta quello che sdegnosamente si scomunica come populismo, razzismo e nazionalismo? Non ancora chiaro che “il vento di destra” origina da qui?

Insieme alle conseguenze sociali, vi sono gli effetti politici. Anche su tale piano dovrebbe essere oramai evidente l’errore compiuto nel 2004. Allora, l’entrata nella NATO sarebbe stata sufficiente a compiere l’operazione geo-politica e garantire la sicurezza a chi si liberava da Mosca. Con il loro arrivo nell’Ue si è bloccata ogni possibile, già difficilissima, maturazione politica. È evidente che un’Unione a 36-37 Stati (nessuno sano di mente intende veramente includere la Turchia con i suoi 90 milioni di abitanti e gli orientamenti in essa radicati) si consoliderebbe esclusivamente come feroce mercato contro il lavoro. Gli Stati dell’Ue sarebbero integrati sul piano politico soltanto nell’ambito della NATO in una condizione di completa subalternità agli Stati Uniti. Di fronte a tale incontrovertibile obiezione, “federalisti” inconsapevoli, liberisti e agenti guastatori consapevoli ripetono il ritornello: riforma dei Trattati e voto a maggioranza. Prima o contestualmente all’allargamento. È una cinica presa in giro. Perchè mai uno Stato con interessi strategici divergenti dai principali attori del nucleo fondativo dovrebbe rinunciare alla formidabile rendita di posizione goduta a Trattati vigenti? E poi attenzione alla facile invocazione dell’eliminazione del diritto di veto su materie vitali per l’identità e l’interesse delle nazioni. Seppure fosse previsto il voto a maggioranza qualificata, pur molto qualificata, su politica estera, difesa e sicurezza, si potrebbe ignorare il dissenso di una comunità nazionale e imporle, una guerra o una scelta geopolitica non condivisa? Non è ancora chiara la necessità di un discorso politico per l’allineamento degli interessi nazionali?

Allora che fare? Sul piano politico, l’unica strada per una maggiore integrazione è la cooperazione rafforzata tra i principali protagonisti della “vecchia Europa”. Proprio come scritto nel Rapporto del gruppo franco-tedesco dei 12, scomodo per la narrazione mainstream, quindi ignorato da media e politica italiana, si dovrebbe puntare a una costruzione a tre cerchi concentrici: una cooperazione rafforzata di segno intergovernativo per una maggiore integrazione politica; poi, l’Ue a 27, dove però andrebbero radicalmente modificate le Direttive di regolazione del mercato unico al fine di introdurre vincoli sociali alle 4 sacre libertà; infine, la Comunità Politica Europea, come riproposta dal Presidente Macron, per tenere insieme nello stesso circuito di politica internazionale i 27 dell’Ue con chi desidera entrare nel club, ma senza partecipare al mercato unico.

Oltre al coinvolgimento politico, la martoriata Ucraina e gli altri Stati effettivamente interessati ad entrare nell’Ue dovrebbero essere sostenuti con un adeguato impegno finanziario e di assistenza tecnica per la ricostruzione e il capacity building attraverso le risorse e le competenze della Bers (European Bank for Reconstruction and Development), la più grande banca di sviluppo del pianeta, proprio come la Banca Mondiale fece con gli Stati europei al di qua della Cortina di ferro, devastati dalla Seconda Guerra mondiale.

Siamo in un tornante difficilissimo. Ripetere gli errori commessi sarebbe esiziale, per un ordine internazionale multilaterale, per la pace, per la conversione ambientale, per lavoratrici e lavoratori. Invece, nel congresso della più grande famiglia progressista europea, nessuna correzione di rotta.

QOSHE - Sosteniamo l’Ucraina, ma fermiamo l'allargamento Ue. Pse deludente - Stefano Fassina
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Sosteniamo l’Ucraina, ma fermiamo l'allargamento Ue. Pse deludente

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11.11.2023

L’8 novembre scorso, preannunciati il giorno precedente da una visita della Presidente Von der Leyen a Kiev, la Commissione europea ha adottato i “Rapporti sull’allargamento 2023”. Sulla base di tali rapporti, l’esecutivo di Bruxelles ha raccomandato di aprire i negoziati di accesso con Ucraina e Moldavia e, a certe condizioni, con Bosnia-Erzegovina, mentre per la Georgia la raccomandazione è di garantire lo status di “candidato”. Per Albania, Kosovo, Montenegro, Macedonia del Nord, Serbia e Turchia, Stati già candidati, i rapporti contengono aggiornamenti sull’avvicinamento alle condizioni previste per l’accesso. Insomma, la Commissione, con l’avvallo dei governi dei principali Stati dell’Unione, è al lavoro per includere altri 10 membri. Il congresso del Partito dei Socialisti Europei (Pse), in corso a Malaga, è totalmente allineato.

Il primo dato che colpisce è la superficialità con la quale si procede. Nella risoluzione approvata ieri dal Pse nella sua assise pre-elettorale, si dà sostegno pieno all’allargamento dell’Ue a 37 membri, senza nessun riferimento alla dimensione sociale: unica condizione, da manuale di cultura liberal-democratica, il rispetto della “rule of law” e dei “valori” europei. La La nostra Presidente del Consiglio arriva addirittura, leggiamo, a barattere l’ingresso nell’Ue con qualche hotspot al di là dell’Adriatico. Eppure, l’esito del “capolavoro” compiuto nel 2004 dalla Commissione Prodi con il disinvolto allargamento ad Est qualche dubbio dovrebbe farlo venire. Innanzitutto, ai partiti orientati alla rappresentanza degli interessi di lavoratori e lavoratrici, micro e piccole imprese o, almeno, ai sindacati confederali convinti di essere soggetti generali. Ancora non è chiaro che il mercato unico europeo alimenta un feroce dumping sociale e fiscale, date le differenze in termini di salari, condizioni del lavoro, tassazione e welfare tra gli Stati coinvolti? Ancora non è chiaro che i principi guida dei Trattati europei, a differenza della nostra Costituzione, svincolano da fini sociali le “sacre” libertà di movimento di capitali, merci, servizi e persone? Non è ancora chiaro che il mercato unico europeo è una versione estrema di quel mercato globale generatore di disuguaglianze che finalmente si riconosce come insostenibile? Non è ancora chiaro che la presenza in tale meccanismo di svalutazione del lavoro di Stati come l’Ucraina, come la Moldavia, come la Georgia o come quelli dei Balcani, caratterizzati da tassazione e welfare minimi e salari medi di 300-400 euro al mese, vuol dire ulteriore concorrenza al ribasso su fasce sociali già segnate da 30 anni di arretramento e ora colpite anche dall’impennata dell’inflazione (importata)? Non è ancora chiaro che così si alimenta quello che sdegnosamente si scomunica come populismo, razzismo e nazionalismo? Non ancora chiaro che “il vento di destra” origina da qui?

Insieme alle conseguenze sociali, vi sono gli effetti politici. Anche su tale piano dovrebbe essere oramai evidente l’errore compiuto nel 2004. Allora, l’entrata nella NATO sarebbe stata sufficiente a compiere l’operazione geo-politica e garantire la sicurezza a chi si liberava da Mosca. Con il loro........

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