Viviamo in un’altra Storia. L’assenza di un singolo evento simbolico, come l’abbattimento del Muro di Berlino nel Novembre del 1989, ha impedito di riconoscere o consentito di camuffare il cambio di stagione. Ma siamo in un’altra fase, aperta dalla “grande recessione” (2008), dalla Brexit e dalla vittoria di Trump (2016), dalla pandemia (2020), dalle guerre ai bordi dell’Europa (2022 e 2023).

È la fase del ritorno della politica, quindi dell’intervento dello Stato, anche attraverso la sua più triste caratteristica, la mobilitazione della forza per la guerra. Per tentare di attutire l’evidente fallimento dell’impianto neo-liberista, certificato dalla rivolta delle classi medie spiaggiate e impaurite, ovunque, ma a partire dall’epicentro dell’impero, si è inventato un lessico esoterico: re-shoring, friendly-shoring, de-risking (ma non de-coupling, precisano imbarazzati i sacerdoti del libero mercato). L’archiviazione del Washington Consensus (privatizzazioni, liberalizzazioni, eliminazione di ogni filtro doganale, precarizzazone delle relazioni di lavoro, finanziarizzazione dell’economia, Stato minimo) è avvenuta, anche ufficialmente, il 27 Aprile scorso, alla Brookings Instiution, proprio nella capitale politica del mondo, a poche centinaia di metri dalla Cassa Bianca, con l’inequivocabile intervento di Jack Sullivan, il consigliere del presidente Biden per la sicurezza nazionale (si noti, non per l’economia). Una radicale autocritica e l’esplicitazione delle ragioni politiche per riattivare la protezione economica e sociale delle classi medie (“a foreign policy for the middle class”). Le parole hanno seguito gli atti: dall’insediamento dell’inquilino Democratico, gennaio 2021, nessuna delle barriere all’import cinese introdotte dall’ex Presidente Trump è stata eliminata (una efficacissima tabella di Limes indica che coprono il 66,4% del totale), anzi sono state estese le misure protezioniste attraverso, ad esempio, la Trade blacklist per l’esportazione di semiconduttori e l’Inflation Resolution Act.

La svolta, avviata da Obama, estesa da Trump e consolidata dall’Amministrazione Biden, riflette l’escalation economica e politica del variegato e contraddittorio “Global South” e spiega anche l’utilizzo, da parte degli Usa, dell’invasione russa dell’Ucraina, per scardinare l’impianto mercantilista della Germania, la super potenza economica del “vecchio continente” allargatasi troppo, secondo la metrica geopolitica d’oltre Atlantico, nella triangolazione con Mosca (per l’accesso all’energia low cost) e Pechino (per i mercati di sbocco).

In tale contesto, aggravato dalle irrevocabili scadenze per la conversione ecologica e dagli impegni per la ricostruzione dell’Ucraina, le classi dirigenti dei principali Stati europei vanno avanti davvero come sonnambuli. Il confronto intorno alle sostanzialmente inutili revisioni del Patto di Stabilità e crescita ne è soltanto l’ultimo esempio.

Domani sera inizia a Bruxelles, nella cena dei ministri delle Finanze dell’Eurogruppo, lo showdown per qualche decimale di Pil di defict e debito pubblico in più o in meno all’anno. La versione iniziale elaborata dalla Commissione Ue, al di là delle immancabili innovazioni lessicali (“ownership” attribuita ai governi) e abbellimenti cosmetici (“traiettoria tecnica”), metteva in bella copia l’applicazione effettiva delle regole rigidissime in vigore fino all’arrivo del covid. Ora, si torna indietro ai numerini e ai “fattori rilevanti” ai fini delle imprescindibili deroghe. La sostanza non cambia. Le riserve espresse dal ministro Giorgetti all’approvazioni delle revisioni sono pienamente condivisibili.

Le questioni fondamentali per stare nel “mondo nuovo” sono fuori dall’agenda. Si dovrebbe discutere, realisticamente, di come sterilizzare il “debito buono” comprato dalla Bce attraverso il Pandemic Emergency Purchease Programm durante l’emergenza Covid. Sono, in media 10 punti percentuali di Pil per l’eurozona, 20 per noi, 18 per Francia e Spagna. La Presidente Lagarde ha recentemente affermato che, dopo aver sospeso gli acquisti aggiuntivi, intende fermare anche i rinnovi. Se invece continuasse a rinnovare quanto già comprato, determinerebbe un benefico effetto sui tassi di interessi sui Titoli sovrani, italiani, spagnoli, francesi, in particolare e libererebbe spazio di bilancio.

Si dovrebbe discutere, come continua a invocare anche Mario Draghi, di una common fiscal capacity, ossia di un fondo europeo alimentato dall’emissione di titoli Ue per finanziare, sotto precise condizionalità, gli investimenti codificati come prioritari dalla Commissione europea: green e digital, innanzitutto.

Si dovrebbe discutere di una sorta di Piano Marshall per Kiev, da finanziare attraverso la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (Bers) in alternativa all’ulteriore, esiziale, allargamento dell’Ue ad Ucraina, Georgia, Moldavia e ai Balcani: esiziale per qualsivoglia maturazione di soggettività politica di una Ue a 36 membri; esiziale per lavoratrici, lavoratori e piccole imprese ancora più esposte al dumping salariale di economie caratterizzate da retribuzioni medie di 400-500 euro al mese e fisco minimale; esiziale anche per i bilanci pubblici sempre più colpiti dal restringimento delle basi imponibili a causa della competizione fiscale.

Si dovrebbe discutere di misure tariffarie ai confini dell’Ue per praticare l’urgente riconversione industriale senza desertificare la capacità manifatturiera del continente.

Si dovrebbe discutere di politica, insomma. Ma si rimane alla contabilità. Si animano scontri tra Stati. Tutti vassalli. Qui, la destra fa coerentemente il suo mestiere. La presidente del Consiglio fa uno stop a Belgrado per confermare l’impegno all’ingresso di chi è in lista d’attesa da anni e, quindi, smantella il Reddito di Cittadinanza e blocca il salario minimo per evitare ogni argine alla competizione al ribasso tra lavoratori. La Lega si prende, attraverso l’autonomia differenziata, le sempre più scarse risorse disponibili per proteggere i “suoi” padani, in uno scambio con l’elezione diretta del Capo per confermare Giorgia Meloni anche al prossimo giro, nonostante le ripercussioni sociali e politiche dell’aggravamento di povertà e disuguaglianze. La sinistra, invece, continua ad andare a rimorchio dell’agenda misera di Bruxelles, ancorata tenacemente alla stagione neo-liberista. Cgil, Cisl e Uil non pervenute. Vanno ritualmente a Palazzo Chigi. Le periferie sociali pagano. Poi, disertano le urne o si rivolgono a chi li illude di salvarli. Ma tranquilli, il “vento di destra” passerà.

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Viviamo in un’altra Storia. L’assenza di un singolo evento simbolico, come l’abbattimento del Muro di Berlino nel Novembre del 1989, ha impedito di riconoscere o consentito di camuffare il cambio di stagione. Ma siamo in un’altra fase, aperta dalla “grande recessione” (2008), dalla Brexit e dalla vittoria di Trump (2016), dalla pandemia (2020), dalle guerre ai bordi dell’Europa (2022 e 2023).

È la fase del ritorno della politica, quindi dell’intervento dello Stato, anche attraverso la sua più triste caratteristica, la mobilitazione della forza per la guerra. Per tentare di attutire l’evidente fallimento dell’impianto neo-liberista, certificato dalla rivolta delle classi medie spiaggiate e impaurite, ovunque, ma a partire dall’epicentro dell’impero, si è inventato un lessico esoterico: re-shoring, friendly-shoring, de-risking (ma non de-coupling, precisano imbarazzati i sacerdoti del libero mercato). L’archiviazione del Washington Consensus (privatizzazioni, liberalizzazioni, eliminazione di ogni filtro doganale, precarizzazone delle relazioni di lavoro, finanziarizzazione dell’economia, Stato minimo) è avvenuta, anche ufficialmente, il 27 Aprile scorso, alla Brookings Instiution, proprio nella capitale politica del mondo, a poche centinaia di metri dalla Cassa Bianca, con l’inequivocabile intervento di Jack Sullivan, il consigliere del presidente Biden per la sicurezza nazionale (si noti, non per l’economia). Una radicale autocritica e l’esplicitazione delle ragioni politiche per riattivare la protezione economica e sociale delle classi medie (“a foreign policy for the middle class”). Le parole hanno seguito gli atti: dall’insediamento dell’inquilino Democratico, gennaio 2021, nessuna delle barriere all’import cinese introdotte dall’ex Presidente Trump è stata eliminata (una efficacissima tabella di Limes indica che coprono il 66,4% del totale), anzi sono state estese le misure protezioniste attraverso, ad esempio, la Trade blacklist per l’esportazione di semiconduttori e l’Inflation Resolution Act.

La svolta, avviata da Obama, estesa da Trump e consolidata dall’Amministrazione Biden, riflette l’escalation economica e politica del variegato e contraddittorio “Global South” e spiega anche l’utilizzo, da parte degli Usa, dell’invasione russa dell’Ucraina, per scardinare l’impianto mercantilista della Germania, la super potenza economica del “vecchio continente” allargatasi troppo, secondo la metrica geopolitica d’oltre Atlantico, nella triangolazione con Mosca (per l’accesso all’energia low cost) e Pechino (per i mercati di sbocco).

In tale contesto, aggravato dalle irrevocabili scadenze per la conversione ecologica e dagli impegni per la ricostruzione dell’Ucraina, le classi dirigenti dei principali Stati europei vanno avanti davvero come sonnambuli. Il confronto intorno alle sostanzialmente inutili revisioni del Patto di Stabilità e crescita ne è soltanto l’ultimo esempio.

Domani sera inizia a Bruxelles, nella cena dei ministri delle Finanze dell’Eurogruppo, lo showdown per qualche decimale di Pil di defict e debito pubblico in più o in meno all’anno. La versione iniziale elaborata dalla Commissione Ue, al di là delle immancabili innovazioni lessicali (“ownership” attribuita ai governi) e abbellimenti cosmetici (“traiettoria tecnica”), metteva in bella copia l’applicazione effettiva delle regole rigidissime in vigore fino all’arrivo del covid. Ora, si torna indietro ai numerini e ai “fattori rilevanti” ai fini delle imprescindibili deroghe. La sostanza non cambia. Le riserve espresse dal ministro Giorgetti all’approvazioni delle revisioni sono pienamente condivisibili.

Le questioni fondamentali per stare nel “mondo nuovo” sono fuori dall’agenda. Si dovrebbe discutere, realisticamente, di come sterilizzare il “debito buono” comprato dalla Bce attraverso il Pandemic Emergency Purchease Programm durante l’emergenza Covid. Sono, in media 10 punti percentuali di Pil per l’eurozona, 20 per noi, 18 per Francia e Spagna. La Presidente Lagarde ha recentemente affermato che, dopo aver sospeso gli acquisti aggiuntivi, intende fermare anche i rinnovi. Se invece continuasse a rinnovare quanto già comprato, determinerebbe un benefico effetto sui tassi di interessi sui Titoli sovrani, italiani, spagnoli, francesi, in particolare e libererebbe spazio di bilancio.

Si dovrebbe discutere, come continua a invocare anche Mario Draghi, di una common fiscal capacity, ossia di un fondo europeo alimentato dall’emissione di titoli Ue per finanziare, sotto precise condizionalità, gli investimenti codificati come prioritari dalla Commissione europea: green e digital, innanzitutto.

Si dovrebbe discutere di una sorta di Piano Marshall per Kiev, da finanziare attraverso la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (Bers) in alternativa all’ulteriore, esiziale, allargamento dell’Ue ad Ucraina, Georgia, Moldavia e ai Balcani: esiziale per qualsivoglia maturazione di soggettività politica di una Ue a 36 membri; esiziale per lavoratrici, lavoratori e piccole imprese ancora più esposte al dumping salariale di economie caratterizzate da retribuzioni medie di 400-500 euro al mese e fisco minimale; esiziale anche per i bilanci pubblici sempre più colpiti dal restringimento delle basi imponibili a causa della competizione fiscale.

Si dovrebbe discutere di misure tariffarie ai confini dell’Ue per praticare l’urgente riconversione industriale senza desertificare la capacità manifatturiera del continente.

Si dovrebbe discutere di politica, insomma. Ma si rimane alla contabilità. Si animano scontri tra Stati. Tutti vassalli. Qui, la destra fa coerentemente il suo mestiere. La presidente del Consiglio fa uno stop a Belgrado per confermare l’impegno all’ingresso di chi è in lista d’attesa da anni e, quindi, smantella il Reddito di Cittadinanza e blocca il salario minimo per evitare ogni argine alla competizione al ribasso tra lavoratori. La Lega si prende, attraverso l’autonomia differenziata, le sempre più scarse risorse disponibili per proteggere i “suoi” padani, in uno scambio con l’elezione diretta del Capo per confermare Giorgia Meloni anche al prossimo giro, nonostante le ripercussioni sociali e politiche dell’aggravamento di povertà e disuguaglianze. La sinistra, invece, continua ad andare a rimorchio dell’agenda misera di Bruxelles, ancorata tenacemente alla stagione neo-liberista. Cgil, Cisl e Uil non pervenute. Vanno ritualmente a Palazzo Chigi. Le periferie sociali pagano. Poi, disertano le urne o si rivolgono a chi li illude di salvarli. Ma tranquilli, il “vento di destra” passerà.

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06.12.2023

Viviamo in un’altra Storia. L’assenza di un singolo evento simbolico, come l’abbattimento del Muro di Berlino nel Novembre del 1989, ha impedito di riconoscere o consentito di camuffare il cambio di stagione. Ma siamo in un’altra fase, aperta dalla “grande recessione” (2008), dalla Brexit e dalla vittoria di Trump (2016), dalla pandemia (2020), dalle guerre ai bordi dell’Europa (2022 e 2023).

È la fase del ritorno della politica, quindi dell’intervento dello Stato, anche attraverso la sua più triste caratteristica, la mobilitazione della forza per la guerra. Per tentare di attutire l’evidente fallimento dell’impianto neo-liberista, certificato dalla rivolta delle classi medie spiaggiate e impaurite, ovunque, ma a partire dall’epicentro dell’impero, si è inventato un lessico esoterico: re-shoring, friendly-shoring, de-risking (ma non de-coupling, precisano imbarazzati i sacerdoti del libero mercato). L’archiviazione del Washington Consensus (privatizzazioni, liberalizzazioni, eliminazione di ogni filtro doganale, precarizzazone delle relazioni di lavoro, finanziarizzazione dell’economia, Stato minimo) è avvenuta, anche ufficialmente, il 27 Aprile scorso, alla Brookings Instiution, proprio nella capitale politica del mondo, a poche centinaia di metri dalla Cassa Bianca, con l’inequivocabile intervento di Jack Sullivan, il consigliere del presidente Biden per la sicurezza nazionale (si noti, non per l’economia). Una radicale autocritica e l’esplicitazione delle ragioni politiche per riattivare la protezione economica e sociale delle classi medie (“a foreign policy for the middle class”). Le parole hanno seguito gli atti: dall’insediamento dell’inquilino Democratico, gennaio 2021, nessuna delle barriere all’import cinese introdotte dall’ex Presidente Trump è stata eliminata (una efficacissima tabella di Limes indica che coprono il 66,4% del totale), anzi sono state estese le misure protezioniste attraverso, ad esempio, la Trade blacklist per l’esportazione di semiconduttori e l’Inflation Resolution Act.

La svolta, avviata da Obama, estesa da Trump e consolidata dall’Amministrazione Biden, riflette l’escalation economica e politica del variegato e contraddittorio “Global South” e spiega anche l’utilizzo, da parte degli Usa, dell’invasione russa dell’Ucraina, per scardinare l’impianto mercantilista della Germania, la super potenza economica del “vecchio continente” allargatasi troppo, secondo la metrica geopolitica d’oltre Atlantico, nella triangolazione con Mosca (per l’accesso all’energia low cost) e Pechino (per i mercati di sbocco).

In tale contesto, aggravato dalle irrevocabili scadenze per la conversione ecologica e dagli impegni per la ricostruzione dell’Ucraina, le classi dirigenti dei principali Stati europei vanno avanti davvero come sonnambuli. Il confronto intorno alle sostanzialmente inutili revisioni del Patto di Stabilità e crescita ne è soltanto l’ultimo esempio.

Domani sera inizia a Bruxelles, nella cena dei ministri delle Finanze dell’Eurogruppo, lo showdown per qualche decimale di Pil di defict e debito pubblico in più o in meno all’anno. La versione iniziale elaborata dalla Commissione Ue, al di là delle immancabili innovazioni lessicali (“ownership” attribuita ai governi) e abbellimenti cosmetici (“traiettoria tecnica”), metteva in bella copia l’applicazione effettiva........

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