Oggi, 21 marzo, si ricordano le vittime delle mafie e sono a Palermo.

Cammino per le strette vie della Vucciria, budelli di pietre che odorano di vita. Il meraviglioso cielo siciliano devo cercarlo molto in alto, sopra la mia testa. Ma passa in secondo piano, perché c’è una parte di questa terra che è tutt’altro che meravigliosa.

Sui percorsi tra un punto e l’altro della città è facile incappare nelle memorie legate alla ricorrenza di oggi. Come in via Notarbartolo e nella chiesa di San Domenico. Due indirizzi accomunati da fogli di carta con sopra messaggi, poesie, memorie. Sono tanti e tutti con un unico destinatario. Giovanni Falcone.

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Cammino per le strette vie della Vucciria, budelli di pietre che odorano di vita. Il meraviglioso cielo siciliano devo cercarlo molto in alto, sopra la mia testa. Ma passa in secondo piano, perché c’è una parte di questa terra che è tutt’altro che meravigliosa.

Sui percorsi tra un punto e l’altro della città è facile incappare nelle memorie legate alla ricorrenza di oggi. Come in via Notarbartolo e nella chiesa di San Domenico. Due indirizzi accomunati da fogli di carta con sopra messaggi, poesie, memorie. Sono tanti e tutti con un unico destinatario. Giovanni Falcone.

Mentre sono dentro, c’è la messa e, contemporaneamente, entrano delle scolaresche. Sono due mondi, uno passivo che prega e l’altro attivo che è in pellegrinaggio. Li immagino collegati, i fedeli inginocchiati e i ragazzi che raggiugono la lapide. Silenzi che comunicano, spero. Un insegnante alza il braccio verso le tavole ai lati della nicchia, ci sono scritti i nomi degli altri massacri del 1992. La moglie di Falcone, giudice Francesca Morvillo, Paolo Borsellino, le loro scorte.

C’è un ultimo passaggio in cui incappo mentre scendo alla mia destinazione verso il porto. La street art di TV Boy con Falcone. Un messaggio con la citazione “È tempo di andare avanti”. La condanna alla mafia può essere pop.

Sto fissando tutto questo sul quaderno, in piedi. Ho lo zaino calzato al contrario, sulla pancia, mi fa da appoggio per carta e penna. Sono all’antica. Quando Don Rosario mi avvicina, sorride, forse più per la scena che per la sola circostanza del saluto.

Lui è don Rosario Giuè, l’ho ascoltato nel documentario Chiesa Nostra, presentato a Palermo dal suo regista, Antonio Bellia. Nel film, Rosario Giuè è interpellato perché autore di Vescovi e Potere mafioso (Cittadella Editore), puntuale indagine sull’atteggiamento dell’Episcopato italiano di fronte alla malavita organizzata.

Penso che tutti dobbiamo vedere questo filmato. Per riflettere su come il silenzio possa renderci tutti complici dei mafiosi, quindi mafiosi noi stessi. Per riflettere anche su come la mafia sia abile nel comprarsi i favori, perfino quelli dei ministeri più sacri.

Don Rosario è chiarissimo nel raccontare come ai tempi di Falcone e Borsellino, con tutto il fiume di sangue che precedette, sia mancato l’impegno episcopale immediato e concreto. Con il silenzio, chi lottava fu lasciato solo. Quindi facile da eliminare. Un bell’aiuto alle cosche.

Tra le voci del documentario c’è Alessandra Dino, docente di sociologia all’Università di Palermo e autrice di La mafia devota. Pur tra tante testimonianze autorevoli, tra cui don Ciotti, rammarica che sia l’unica donna a parlare di un argomento in cui proprio la parte femminile delle famiglie ha avuto un ruolo importante nel tessere i rapporti tra mafia e società.

Rimango convinto che nei luoghi dove governano le donne si viva meglio. Hanno un rispetto della vita diverso, legato alla loro capacità di portarla dentro con nove mesi di fatica. A maggior ragione rimango stupito dal ruolo femminile di silenzio. È complicità o qualcos’altro? La risposta contunua a mancarmi. Intanto, l’intervento della docente segue al grido di Giovanni Paolo II, quel “Convertitevi! Arriverà il giudizio di Dio” tuonato ad Agrigento 30 anni fa. La professoressa Dino afferma che “il re è nudo”, perché è in quel momento che il problema arrivò davvero a galla. «Erano le donne ad andare a confessare i peccati dei mariti - conferma – e tutti sapevano da dove arrivavano i soldi per le processioni.» Però il sistema ha iniziato a scricchiolare. C’è, ma è meno solido. La guardia non va abbassata.

«Non esiste una sola mafia, come non esiste una sola chiesa», precisa la Dino nel suo testo. I colori dei colletti sono cambiati, le mafie sono nella finanza, nell’imprenditoria, nella politica. A volte dove meno ce le si aspetta. Giornate come oggi servono a ricordarcelo. E a ricordarci che il nostro silenzio è la loro forza.

QOSHE - Ricordiamo le vittime di mafia. Il silenzio può renderci tutti complici - Stefano Paolo Giussani
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Ricordiamo le vittime di mafia. Il silenzio può renderci tutti complici

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21.03.2024

Oggi, 21 marzo, si ricordano le vittime delle mafie e sono a Palermo.

Cammino per le strette vie della Vucciria, budelli di pietre che odorano di vita. Il meraviglioso cielo siciliano devo cercarlo molto in alto, sopra la mia testa. Ma passa in secondo piano, perché c’è una parte di questa terra che è tutt’altro che meravigliosa.

Sui percorsi tra un punto e l’altro della città è facile incappare nelle memorie legate alla ricorrenza di oggi. Come in via Notarbartolo e nella chiesa di San Domenico. Due indirizzi accomunati da fogli di carta con sopra messaggi, poesie, memorie. Sono tanti e tutti con un unico destinatario. Giovanni Falcone.

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Oggi, 21 marzo, si ricordano le vittime delle mafie e sono a Palermo.

Cammino per le strette vie della Vucciria, budelli di pietre che odorano di vita. Il meraviglioso cielo siciliano devo cercarlo molto in alto, sopra la mia testa. Ma passa in secondo piano, perché c’è una parte di questa terra che è tutt’altro che meravigliosa.

Sui percorsi tra un punto e l’altro della città è facile........

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