"Oppenheimer" miglior film, regia (Christopher Nolan), attore protagonista (Cillian Murphy) e non protagonista (Robert Downey Jr.) montaggio, fotografia, colonna sonora: sette Oscar su 13 candidature, che oscurano tutto il resto. "Io capitano" di Matteo Garrone surclassato a mani basse da "La zona d’interesse" di Jonathan Glazer, che giustamente era in corsa anche nelle categorie massime. La Emma Stone di "Povere creature!" con la sua seconda statuetta entra a vele spiegate nell’Olimpo delle divine. Tutto previsto? Fino a un certo punto. Quello che personalmente non prevedevo era di ritrovarmi a tifare – incredibilmente - contro l’Oscar Best Movie a Christopher Nolan, per il suo film che pure ho amato appassionatamente.

Questa annata 96 degli Oscar ha premiato l’evidenza. Ma nel caso di Oppenheimer e di Povere creature!, apogeo registico di Yorgos Lanthimos, l’evidenza era quantomeno controversa. Negargli i premi per scenografia, costumi e trucco e parrucco (make up e hairstyling) sarebbe stato pura eresia, e ovviamente non lo hanno fatto. Ma cinematograficamente Povere creature! è più bello di Oppenheimer. I Golden Globes hanno il vantaggio, sugli Oscar, di contemplare una doppia categoria di gara, cioè dramma e commedia. Hanno potuto così certificare una parità di merito che dalla pagella dell’Academy esce mortificata.

Da sempre, a parità di merito, gli Oscar premiano il tema. L’atomica, tappa cruciale del ventesimo secolo, e i suoi corollari umani e politici, hanno prevalso sull’universalità di emancipazione femminile disegnata da Lanthimos. È scritto in partenza, ma speri sempre in un colpo d’ala, di fantasia creativa, che sparigli le carte.

A pagare il prezzo più pesante a questa gerarchia non scritta è stato Martin Scorsese con il suo "Killers of the Flower Moon", e in misura minore il Bradley Cooper di "Maestro", completamente ignorati. Qualcuno aveva scommesso sulla politica ‘inclusiva’ di Hollywood e sulla statuetta a Lily Gladstone, sangue nativo americano, ma non si può non inchinarsi all’evidenza: Emma Stone va oltre ogni schema e ogni rischio. L’Academy però avrebbe fatto un bel gesto premiando, se non le meraviglie scontate di Robert De Niro, almeno la colonna sonora del film di Scorsese, firmata dall’immenso Robbie Robertson, mezzo-sangue anche lui, scomparso da poco. Si è ricordato solo il suo nome, tra i tanti lutti della parentesi In Memoriam.

I pronostici sono sempre chiacchiere a vuoto. Non ho dovuto aspettare che si aprissero le fatidiche buste per conoscere i vincitori, nemmeno per gli outsider meno accreditati. "American Fiction", Oscar per la sceneggiatura non originale, è un film indipendente sulle perversioni della cultura dominante e sulla trasgressione fasulla che è vietato perdere. La Da’Vine Joy Randolph migliore attrice non protagonista di "The Holdovers" è il cuore del racconto di Alexander Payne. La migliore sceneggiatura originale ad "Anatomia di una caduta" certifica - e insieme ridimensiona - l’esagerata Palma d’oro di Cannes. Se non avesse dovuto duellare con "Oppenheimer" e con "Povere creature!", "La zona d’interesse" avrebbe potuto aspirare a un piazzamento ben più alto dei due Oscar per il miglior film internazionale e per il sonoro (nella straordinaria opera di Glazer il sonoro ha quasi il ruolo del coro nella tragedia greca).

"Barbie" ha incassato solo la canzone, "What Was I Made For?" di Billie Eilish (provocatoriamente vestita da educanda, con tanto di candidi calzettoni, per la serata) e la performance galvanizzante di Ryan Gosling in rosa glitterato da Ken, vero clou dello show. Le sue camicie maliziosamente sbottonate sotto lo smoking sono un di più: sarebbe comunque l’asso di cuori incontrastato degli schermi di oggi. I sentimenti anti-Barbie di Claudio Santamaria - nella pattuglia di commentatori reclutati per la diretta su RaiUno - sono anche i miei. Ma il chiacchiericcio inconsistente di casa Rai ha fatto rimpiangere la vecchia formula minimalista di Sky, che non puntava a fare salotto, bensì a fare informazione.

Le vere sorprese della cerimonia (peraltro anticipata e abbreviata, perché da anni lo share Tv negli Usa è in caduta libera) esulano dal medagliere. Jonathan Glazer sul palco ha evocato, partendo dall’Olocausto del suo film, la disumanizzazione e le vittime innocenti che accomunano i crimini di Hamas e le stragi a Gaza. Mark Ruffalo aveva attivamente partecipato alle manifestazioni che avevano rallentato il red carpet, chiedendo il cessate il fuoco in Palestina. Cillian Murphy, da bravo irlandese, ha dedicato l’Oscar "a chiunque porta la pace ovunque nel mondo". Il conduttore Jimmy Kimmel ha dato lettura di un messaggio offensivo sui social di Donald Trump che invocava il suo licenziamento dallo show: un chiaro endorsement a rovescio, significativamente applaudito. La sindacalizzazione dei lavoratori del cinema è diventata uno stendardo ufficiale dell’Academy: c’è l’impegno ufficiale degli attori, dopo la loro lunga astensione, a sostenere le azioni degli altri settori. E un cane talentuoso in carne e pelo si è conquistato una poltrona in platea al Dolby Theater, in mezzo ai Vip: era quello di "Anatomia di una caduta". Un precedente inclusivo che farà scuola.

Oscar 2024: Oppenheimer miglior film e fa incetta di statuette. L'elenco completo

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"Oppenheimer" miglior film, regia (Christopher Nolan), attore protagonista (Cillian Murphy) e non protagonista (Robert Downey Jr.) montaggio, fotografia, colonna sonora: sette Oscar su 13 candidature, che oscurano tutto il resto. "Io capitano" di Matteo Garrone surclassato a mani basse da "La zona d’interesse" di Jonathan Glazer, che giustamente era in corsa anche nelle categorie massime. La Emma Stone di "Povere creature!" con la sua seconda statuetta entra a vele spiegate nell’Olimpo delle divine. Tutto previsto? Fino a un certo punto. Quello che personalmente non prevedevo era di ritrovarmi a tifare – incredibilmente - contro l’Oscar Best Movie a Christopher Nolan, per il suo film che pure ho amato appassionatamente.

Questa annata 96 degli Oscar ha premiato l’evidenza. Ma nel caso di Oppenheimer e di Povere creature!, apogeo registico di Yorgos Lanthimos, l’evidenza era quantomeno controversa. Negargli i premi per scenografia, costumi e trucco e parrucco (make up e hairstyling) sarebbe stato pura eresia, e ovviamente non lo hanno fatto. Ma cinematograficamente Povere creature! è più bello di Oppenheimer. I Golden Globes hanno il vantaggio, sugli Oscar, di contemplare una doppia categoria di gara, cioè dramma e commedia. Hanno potuto così certificare una parità di merito che dalla pagella dell’Academy esce mortificata.

Da sempre, a parità di merito, gli Oscar premiano il tema. L’atomica, tappa cruciale del ventesimo secolo, e i suoi corollari umani e politici, hanno prevalso sull’universalità di emancipazione femminile disegnata da Lanthimos. È scritto in partenza, ma speri sempre in un colpo d’ala, di fantasia creativa, che sparigli le carte.

A pagare il prezzo più pesante a questa gerarchia non scritta è stato Martin Scorsese con il suo "Killers of the Flower Moon", e in misura minore il Bradley Cooper di "Maestro", completamente ignorati. Qualcuno aveva scommesso sulla politica ‘inclusiva’ di Hollywood e sulla statuetta a Lily Gladstone, sangue nativo americano, ma non si può non inchinarsi all’evidenza: Emma Stone va oltre ogni schema e ogni rischio. L’Academy però avrebbe fatto un bel gesto premiando, se non le meraviglie scontate di Robert De Niro, almeno la colonna sonora del film di Scorsese, firmata dall’immenso Robbie Robertson, mezzo-sangue anche lui, scomparso da poco. Si è ricordato solo il suo nome, tra i tanti lutti della parentesi In Memoriam.

I pronostici sono sempre chiacchiere a vuoto. Non ho dovuto aspettare che si aprissero le fatidiche buste per conoscere i vincitori, nemmeno per gli outsider meno accreditati. "American Fiction", Oscar per la sceneggiatura non originale, è un film indipendente sulle perversioni della cultura dominante e sulla trasgressione fasulla che è vietato perdere. La Da’Vine Joy Randolph migliore attrice non protagonista di "The Holdovers" è il cuore del racconto di Alexander Payne. La migliore sceneggiatura originale ad "Anatomia di una caduta" certifica - e insieme ridimensiona - l’esagerata Palma d’oro di Cannes. Se non avesse dovuto duellare con "Oppenheimer" e con "Povere creature!", "La zona d’interesse" avrebbe potuto aspirare a un piazzamento ben più alto dei due Oscar per il miglior film internazionale e per il sonoro (nella straordinaria opera di Glazer il sonoro ha quasi il ruolo del coro nella tragedia greca).

"Barbie" ha incassato solo la canzone, "What Was I Made For?" di Billie Eilish (provocatoriamente vestita da educanda, con tanto di candidi calzettoni, per la serata) e la performance galvanizzante di Ryan Gosling in rosa glitterato da Ken, vero clou dello show. Le sue camicie maliziosamente sbottonate sotto lo smoking sono un di più: sarebbe comunque l’asso di cuori incontrastato degli schermi di oggi. I sentimenti anti-Barbie di Claudio Santamaria - nella pattuglia di commentatori reclutati per la diretta su RaiUno - sono anche i miei. Ma il chiacchiericcio inconsistente di casa Rai ha fatto rimpiangere la vecchia formula minimalista di Sky, che non puntava a fare salotto, bensì a fare informazione.

Le vere sorprese della cerimonia (peraltro anticipata e abbreviata, perché da anni lo share Tv negli Usa è in caduta libera) esulano dal medagliere. Jonathan Glazer sul palco ha evocato, partendo dall’Olocausto del suo film, la disumanizzazione e le vittime innocenti che accomunano i crimini di Hamas e le stragi a Gaza. Mark Ruffalo aveva attivamente partecipato alle manifestazioni che avevano rallentato il red carpet, chiedendo il cessate il fuoco in Palestina. Cillian Murphy, da bravo irlandese, ha dedicato l’Oscar "a chiunque porta la pace ovunque nel mondo". Il conduttore Jimmy Kimmel ha dato lettura di un messaggio offensivo sui social di Donald Trump che invocava il suo licenziamento dallo show: un chiaro endorsement a rovescio, significativamente applaudito. La sindacalizzazione dei lavoratori del cinema è diventata uno stendardo ufficiale dell’Academy: c’è l’impegno ufficiale degli attori, dopo la loro lunga astensione, a sostenere le azioni degli altri settori. E un cane talentuoso in carne e pelo si è conquistato una poltrona in platea al Dolby Theater, in mezzo ai Vip: era quello di "Anatomia di una caduta". Un precedente inclusivo che farà scuola.

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Agli Oscar il trionfo di Oppenheimer penalizza Povere creature!: un duello fra giganti

22 10
11.03.2024

"Oppenheimer" miglior film, regia (Christopher Nolan), attore protagonista (Cillian Murphy) e non protagonista (Robert Downey Jr.) montaggio, fotografia, colonna sonora: sette Oscar su 13 candidature, che oscurano tutto il resto. "Io capitano" di Matteo Garrone surclassato a mani basse da "La zona d’interesse" di Jonathan Glazer, che giustamente era in corsa anche nelle categorie massime. La Emma Stone di "Povere creature!" con la sua seconda statuetta entra a vele spiegate nell’Olimpo delle divine. Tutto previsto? Fino a un certo punto. Quello che personalmente non prevedevo era di ritrovarmi a tifare – incredibilmente - contro l’Oscar Best Movie a Christopher Nolan, per il suo film che pure ho amato appassionatamente.

Questa annata 96 degli Oscar ha premiato l’evidenza. Ma nel caso di Oppenheimer e di Povere creature!, apogeo registico di Yorgos Lanthimos, l’evidenza era quantomeno controversa. Negargli i premi per scenografia, costumi e trucco e parrucco (make up e hairstyling) sarebbe stato pura eresia, e ovviamente non lo hanno fatto. Ma cinematograficamente Povere creature! è più bello di Oppenheimer. I Golden Globes hanno il vantaggio, sugli Oscar, di contemplare una doppia categoria di gara, cioè dramma e commedia. Hanno potuto così certificare una parità di merito che dalla pagella dell’Academy esce mortificata.

Da sempre, a parità di merito, gli Oscar premiano il tema. L’atomica, tappa cruciale del ventesimo secolo, e i suoi corollari umani e politici, hanno prevalso sull’universalità di emancipazione femminile disegnata da Lanthimos. È scritto in partenza, ma speri sempre in un colpo d’ala, di fantasia creativa, che sparigli le carte.

A pagare il prezzo più pesante a questa gerarchia non scritta è stato Martin Scorsese con il suo "Killers of the Flower Moon", e in misura minore il Bradley Cooper di "Maestro", completamente ignorati. Qualcuno aveva scommesso sulla politica ‘inclusiva’ di Hollywood e sulla statuetta a Lily Gladstone, sangue nativo americano, ma non si può non inchinarsi all’evidenza: Emma Stone va oltre ogni schema e ogni rischio. L’Academy però avrebbe fatto un bel gesto premiando, se non le meraviglie scontate di Robert De Niro, almeno la colonna sonora del film di Scorsese, firmata dall’immenso Robbie Robertson, mezzo-sangue anche lui, scomparso da poco. Si è ricordato solo il suo nome, tra i tanti lutti della parentesi In Memoriam.

I pronostici sono sempre chiacchiere a vuoto. Non ho dovuto aspettare che si aprissero le fatidiche buste per conoscere i vincitori, nemmeno per gli outsider meno accreditati. "American Fiction", Oscar per la sceneggiatura non originale, è un film indipendente sulle perversioni della cultura dominante e........

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