Il 17 giugno Ken Loach compie 88 anni. Il 17 giugno, come sempre, gli augurerò buon compleanno via e-mail. Questa volta dovrò aggiungere la preghiera che ogni paio d’anni, più o meno, i suoi tanti amici gli rivolgono (solitamente de visu) quando minaccia il pensionamento, ossia: non mollare per favore, fallo per tutti noi! Ken Loach non è solo un intellettuale e un artista di eccezionale lucidità, è anche un uomo sensibile. Probabilmente ha affidato il suo ennesimo addio al cinema a un mezzo neutro come il sito web di Variety (che lo intervistava per l’uscita di The Old Oak negli Usa) per evitare le solite discussioni accalorate e per non farci ammalare di malinconia. L’ho visto non più tardi di tre mesi fa, e di questa scelta non ha fatto parola.

Quando parlo di ‘tutti noi’ non è un modo di dire. A prescindere dagli steccati politici, sfido chiunque a negare che senza il lavoro di questo vitale, ostinato signore tutto il cinema come lo conosciamo sarebbe più povero. Da sessant’anni fa una cosa semplice e rara: si guarda intorno e reagisce. Per ‘intorno’ intendo la classe operaia alla quale apparteneva suo padre e alla quale, da buon trozkista mai pentito, è rimasto fedele. Ricordo una chiacchierata di molti anni fa: mi raccontava che l’azienda in cui lavorava si sbarazzò di suo padre omaggiandolo con una sterlina d’oro per ogni anno di servizio. “Avresti dovuto tirargliele in faccia!”, gli disse allora il giovane Ken. Più o meno, è lo spirito che ha portato nel suo apprendistato televisivo dei primi anni ’60 sul secondo canale neonato della BBC (con una libertà, per i tempi, che ancora oggi gli fa brillare gli occhi) e poi nel suo cinema.

Non voglio vantare competenze che non ho. Nella mia vita di spettatrice Loach è entrato solo nel 1971, con lo scossone di Family Life, ma da allora è diventato un faro. Mi sono persa il suo periodo free cinema, cioè Poor Cow e Kes. Però ricordo che per una ventina d’anni le sue pellicole da noi sono state pressochè irreperibili, almeno finchè L’Agenda nascosta non è stato sdoganato dal Premio della Giuria a Cannes. Ken racconta che in patria, in Gran Bretagna, i suoi film hanno continuato a essere distribuiti in quattro copie anche dopo il 1990. All’estero lo amavano e lo capivano di più.

Non parlo al passato perché non ci credo davvero. So che il nostro vecchio ragazzo risente del logorio fisico e so che saggiamente non si illude che la vitalità artistica sopravviva a quella anagrafica (anche se, uno a caso, Manoel De Oliveira potrebbe raccontare il contrario). A Variety ha detto che gli pesa non essersi mai occupato per il cinema di un tema che gli sta molto a cuore, la Palestina. L’attenzione è sempre sveglia, e la dichiarazione di Jonathan Glazer su Gaza, la notte degli Oscar, lo ha per forza colpito. “E sono sicuro che abbia valutato le possibili conseguenze, il che lo rende ancora più coraggioso”. La squadra al completo di The Old Oak due settimane prima degli Oscar si era peraltro schierata sul red carpet dei britannici BAFTA posando davanti alla scritta. “Gaza: fermate il massacro”.

Sarebbe bello se fuori da ogni schieramento ideologico facessimo tutti sapere a Ken Loach, il 17 giugno, perché è così importante il suo cinema. Conto però su quel tarlo affettuoso di nome Paul Laverty, lo sceneggiatore che da un trentennio è il suo inseparabile compagno d’avventura. Se il nostro ottantottenne sarà in forze e in salute, difficilmente saprà resistere a un nuovo richiamo della foresta sociale.

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Il 17 giugno Ken Loach compie 88 anni. Il 17 giugno, come sempre, gli augurerò buon compleanno via e-mail. Questa volta dovrò aggiungere la preghiera che ogni paio d’anni, più o meno, i suoi tanti amici gli rivolgono (solitamente de visu) quando minaccia il pensionamento, ossia: non mollare per favore, fallo per tutti noi! Ken Loach non è solo un intellettuale e un artista di eccezionale lucidità, è anche un uomo sensibile. Probabilmente ha affidato il suo ennesimo addio al cinema a un mezzo neutro come il sito web di Variety (che lo intervistava per l’uscita di The Old Oak negli Usa) per evitare le solite discussioni accalorate e per non farci ammalare di malinconia. L’ho visto non più tardi di tre mesi fa, e di questa scelta non ha fatto parola.

Quando parlo di ‘tutti noi’ non è un modo di dire. A prescindere dagli steccati politici, sfido chiunque a negare che senza il lavoro di questo vitale, ostinato signore tutto il cinema come lo conosciamo sarebbe più povero. Da sessant’anni fa una cosa semplice e rara: si guarda intorno e reagisce. Per ‘intorno’ intendo la classe operaia alla quale apparteneva suo padre e alla quale, da buon trozkista mai pentito, è rimasto fedele. Ricordo una chiacchierata di molti anni fa: mi raccontava che l’azienda in cui lavorava si sbarazzò di suo padre omaggiandolo con una sterlina d’oro per ogni anno di servizio. “Avresti dovuto tirargliele in faccia!”, gli disse allora il giovane Ken. Più o meno, è lo spirito che ha portato nel suo apprendistato televisivo dei primi anni ’60 sul secondo canale neonato della BBC (con una libertà, per i tempi, che ancora oggi gli fa brillare gli occhi) e poi nel suo cinema.

Non voglio vantare competenze che non ho. Nella mia vita di spettatrice Loach è entrato solo nel 1971, con lo scossone di Family Life, ma da allora è diventato un faro. Mi sono persa il suo periodo free cinema, cioè Poor Cow e Kes. Però ricordo che per una ventina d’anni le sue pellicole da noi sono state pressochè irreperibili, almeno finchè L’Agenda nascosta non è stato sdoganato dal Premio della Giuria a Cannes. Ken racconta che in patria, in Gran Bretagna, i suoi film hanno continuato a essere distribuiti in quattro copie anche dopo il 1990. All’estero lo amavano e lo capivano di più.

Non parlo al passato perché non ci credo davvero. So che il nostro vecchio ragazzo risente del logorio fisico e so che saggiamente non si illude che la vitalità artistica sopravviva a quella anagrafica (anche se, uno a caso, Manoel De Oliveira potrebbe raccontare il contrario). A Variety ha detto che gli pesa non essersi mai occupato per il cinema di un tema che gli sta molto a cuore, la Palestina. L’attenzione è sempre sveglia, e la dichiarazione di Jonathan Glazer su Gaza, la notte degli Oscar, lo ha per forza colpito. “E sono sicuro che abbia valutato le possibili conseguenze, il che lo rende ancora più coraggioso”. La squadra al completo di The Old Oak due settimane prima degli Oscar si era peraltro schierata sul red carpet dei britannici BAFTA posando davanti alla scritta. “Gaza: fermate il massacro”.

Sarebbe bello se fuori da ogni schieramento ideologico facessimo tutti sapere a Ken Loach, il 17 giugno, perché è così importante il suo cinema. Conto però su quel tarlo affettuoso di nome Paul Laverty, lo sceneggiatore che da un trentennio è il suo inseparabile compagno d’avventura. Se il nostro ottantottenne sarà in forze e in salute, difficilmente saprà resistere a un nuovo richiamo della foresta sociale.

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Facciamo cambiare idea a Ken Loach: il suo cinema è importante

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04.04.2024

Il 17 giugno Ken Loach compie 88 anni. Il 17 giugno, come sempre, gli augurerò buon compleanno via e-mail. Questa volta dovrò aggiungere la preghiera che ogni paio d’anni, più o meno, i suoi tanti amici gli rivolgono (solitamente de visu) quando minaccia il pensionamento, ossia: non mollare per favore, fallo per tutti noi! Ken Loach non è solo un intellettuale e un artista di eccezionale lucidità, è anche un uomo sensibile. Probabilmente ha affidato il suo ennesimo addio al cinema a un mezzo neutro come il sito web di Variety (che lo intervistava per l’uscita di The Old Oak negli Usa) per evitare le solite discussioni accalorate e per non farci ammalare di malinconia. L’ho visto non più tardi di tre mesi fa, e di questa scelta non ha fatto parola.

Quando parlo di ‘tutti noi’ non è un modo di dire. A prescindere dagli steccati politici, sfido chiunque a negare che senza il lavoro di questo vitale, ostinato signore tutto il cinema come lo conosciamo sarebbe più povero. Da sessant’anni fa una cosa semplice e rara: si guarda intorno e reagisce. Per ‘intorno’ intendo la classe operaia alla quale apparteneva suo padre e alla quale, da buon trozkista mai pentito, è rimasto fedele. Ricordo una chiacchierata di molti anni fa: mi raccontava che l’azienda in cui lavorava si sbarazzò di suo padre omaggiandolo con una sterlina d’oro per ogni anno di servizio. “Avresti dovuto tirargliele in faccia!”, gli disse allora il giovane Ken. Più o meno, è lo spirito che ha portato nel suo apprendistato televisivo dei primi anni ’60 sul secondo canale neonato della BBC (con una libertà, per i tempi, che ancora oggi gli fa brillare gli occhi) e poi nel suo cinema.

Non voglio vantare competenze che non ho. Nella mia vita di spettatrice Loach è entrato solo nel 1971, con lo........

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