A fine gennaio la percentuale di elettori americani che vedono l’immigrazione come il problema chiave che la Nazione ha di fronte ha raggiunto il 35%: un balzo di sette punti in un solo mese. E’ la questione che ha alimentato l’ascesa di Donald Trump quasi dieci anni fa, ed è quella che più di ogni altra sta trainando i consensi di oggi. La propaganda repubblicana sta lavorando sullo scontento diffuso tra la vecchia base democratica delle ‘città accoglienti’ verso gli immigrati, come Chicago, e sulla protesta di chi è sotto la soglia di povertà contro servizi e sostegni ai latinos che alle comunità residenti vengono negati. Non vale certo solo per gli Usa, ma è sul ‘muro’, fisicamente e metaforicamente inteso, che si gioca il futuro prossimo della Casa Bianca.

Anche per questo Upon entry-L’arrivo, scritto e diretto dai due registi ispano-venezuelani Alejandro Rojas e Juan Sebastiàn Vasquez, in sala da noi dal 1 febbraio con Exit Med!a, è davvero imperdibile. E’ un thriller minimalista su quello che possiamo attenderci alla frontiera americana e a tutte quelle che condividono certi programmi: una ‘gemma rara’ secondo Variety, e il film più politico degli ultimi mesi. Ha collezionato parecchi premi, nei Festival più attenti al cinema indipendente. La vicenda è ambientata nel 2019 trumpiano, quando si promuoveva il crowfunding per contribuire a finanziare il muro col Messico: “Meglio prevenire che curare”. Ma l’occhio è al futuro.

Si racconta un pugno di ore nella vita di una coppia, la catalana Elena (Bruna Cusì) e il venezuelano Diego (l’argentino Alberto Ammann, protagonista- premio Goya - del film iberico di culto Cella 211, e nel cast della serie Narcos), appena sbarcati all’aeroporto di Newark con un volo da Barcellona. Lei ha un visto regolare, ottenuto con la lotteria della Green Card. Ma i loro passaporti vengono sequestrati e incellofanati. E inizia un percorso di paura, di intimidazione, di sospensione persino dei diritti primari.

“Niente è inventato- mi dice Alberto Ammann, che è anche coproduttore del film- si condensa l’esperienza diretta dei due registi, dei loro amici e di altri familiari. E’ come ritrovarsi in un limbo nebuloso in cui il tempo diventa un’opinione, non puoi telefonare, non hai il tuo bagaglio e gli interrogatori violano ogni limite di privacy: una Inquisizione diretta a scoraggiare il tuo ingresso negli Usa. Ribellarti non puoi: è controproducente”. Su scala minima, ho vissuto anch’io qualcosa di simile, e non ho mai saputo perché: non volevo affatto immigrare.

E’ suspense vera quella del film, un cesello di regia e di montaggio (Vasquez firma anche la fotografia) su una sceneggiatura martellante che non ti permetterà mai più di affrontare quella frontiera senza batticuore. E nel film la violenza psicologica esercitata su Elena e Diego, sulle loro ragioni e sul loro passato, getterà sul loro rapporto un’ombra forse impossibile da cancellare.

“E’ una condizione di vulnerabilità e umiliazione anche peggiore, quando sei consapevole dei tuoi diritti”, dice l’attore. Per chi arrivava da determinati paesi nel recente passato è andata così. E in futuro? Benvenuti negli Stati Uniti.

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A fine gennaio la percentuale di elettori americani che vedono l’immigrazione come il problema chiave che la Nazione ha di fronte ha raggiunto il 35%: un balzo di sette punti in un solo mese. E’ la questione che ha alimentato l’ascesa di Donald Trump quasi dieci anni fa, ed è quella che più di ogni altra sta trainando i consensi di oggi. La propaganda repubblicana sta lavorando sullo scontento diffuso tra la vecchia base democratica delle ‘città accoglienti’ verso gli immigrati, come Chicago, e sulla protesta di chi è sotto la soglia di povertà contro servizi e sostegni ai latinos che alle comunità residenti vengono negati. Non vale certo solo per gli Usa, ma è sul ‘muro’, fisicamente e metaforicamente inteso, che si gioca il futuro prossimo della Casa Bianca.

Anche per questo Upon entry-L’arrivo, scritto e diretto dai due registi ispano-venezuelani Alejandro Rojas e Juan Sebastiàn Vasquez, in sala da noi dal 1 febbraio con Exit Med!a, è davvero imperdibile. E’ un thriller minimalista su quello che possiamo attenderci alla frontiera americana e a tutte quelle che condividono certi programmi: una ‘gemma rara’ secondo Variety, e il film più politico degli ultimi mesi. Ha collezionato parecchi premi, nei Festival più attenti al cinema indipendente. La vicenda è ambientata nel 2019 trumpiano, quando si promuoveva il crowfunding per contribuire a finanziare il muro col Messico: “Meglio prevenire che curare”. Ma l’occhio è al futuro.

Si racconta un pugno di ore nella vita di una coppia, la catalana Elena (Bruna Cusì) e il venezuelano Diego (l’argentino Alberto Ammann, protagonista- premio Goya - del film iberico di culto Cella 211, e nel cast della serie Narcos), appena sbarcati all’aeroporto di Newark con un volo da Barcellona. Lei ha un visto regolare, ottenuto con la lotteria della Green Card. Ma i loro passaporti vengono sequestrati e incellofanati. E inizia un percorso di paura, di intimidazione, di sospensione persino dei diritti primari.

“Niente è inventato- mi dice Alberto Ammann, che è anche coproduttore del film- si condensa l’esperienza diretta dei due registi, dei loro amici e di altri familiari. E’ come ritrovarsi in un limbo nebuloso in cui il tempo diventa un’opinione, non puoi telefonare, non hai il tuo bagaglio e gli interrogatori violano ogni limite di privacy: una Inquisizione diretta a scoraggiare il tuo ingresso negli Usa. Ribellarti non puoi: è controproducente”. Su scala minima, ho vissuto anch’io qualcosa di simile, e non ho mai saputo perché: non volevo affatto immigrare.

E’ suspense vera quella del film, un cesello di regia e di montaggio (Vasquez firma anche la fotografia) su una sceneggiatura martellante che non ti permetterà mai più di affrontare quella frontiera senza batticuore. E nel film la violenza psicologica esercitata su Elena e Diego, sulle loro ragioni e sul loro passato, getterà sul loro rapporto un’ombra forse impossibile da cancellare.

“E’ una condizione di vulnerabilità e umiliazione anche peggiore, quando sei consapevole dei tuoi diritti”, dice l’attore. Per chi arrivava da determinati paesi nel recente passato è andata così. E in futuro? Benvenuti negli Stati Uniti.

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Upon entry - L’arrivo è un film imperdibile e il più politico degli ultimi anni (di T. Marchesi)

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01.02.2024

A fine gennaio la percentuale di elettori americani che vedono l’immigrazione come il problema chiave che la Nazione ha di fronte ha raggiunto il 35%: un balzo di sette punti in un solo mese. E’ la questione che ha alimentato l’ascesa di Donald Trump quasi dieci anni fa, ed è quella che più di ogni altra sta trainando i consensi di oggi. La propaganda repubblicana sta lavorando sullo scontento diffuso tra la vecchia base democratica delle ‘città accoglienti’ verso gli immigrati, come Chicago, e sulla protesta di chi è sotto la soglia di povertà contro servizi e sostegni ai latinos che alle comunità residenti vengono negati. Non vale certo solo per gli Usa, ma è sul ‘muro’, fisicamente e metaforicamente inteso, che si gioca il futuro prossimo della Casa Bianca.

Anche per questo Upon entry-L’arrivo, scritto e diretto dai due registi ispano-venezuelani Alejandro Rojas e Juan Sebastiàn Vasquez, in sala da noi dal 1 febbraio con Exit Med!a, è davvero imperdibile. E’ un thriller minimalista su quello che possiamo attenderci alla frontiera americana e a tutte quelle che condividono certi programmi: una ‘gemma rara’ secondo Variety, e il film più politico degli ultimi mesi. Ha collezionato parecchi premi, nei Festival più attenti al cinema indipendente. La vicenda è ambientata nel 2019 trumpiano, quando si promuoveva il crowfunding per contribuire a finanziare il muro col Messico: “Meglio prevenire che curare”. Ma l’occhio è al futuro.

Si racconta un pugno di ore nella vita di una coppia, la catalana Elena (Bruna Cusì) e il venezuelano Diego (l’argentino Alberto Ammann, protagonista- premio Goya -........

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