Vorkuta: non è solo, come asettica informa Wikipedia, una città della Russia che “sorge poco a Nord del circolo polare artico, nota perché è situata nel punto più orientale d’Europa”, citata anche come la città più fredda del continente. Gli inverni non sembrano mai finire, a Vorkuta; ma questo nome evoca fantasmi ben più sinistri e gelidi.

Si deve fare un salto nel tempo, gli anni Trenta del secolo scorso. Il dittatore dell’allora Unione Sovietica Iosif Vissarionovič Džugašvili, da tutti conosciuto come Stalin, si è liberato dei suoi più temibili avversari, Lev Trockij, Grigorij Zinov'ev, Lev Kamenev, Nikolaj Bucharin, Aleksej Rykov, Michail Tomskji… Tutti gli devono obbedienza cieca, ma non basta. La politica economica di Stalin, i suoi piani quinquennali, sono un sostanziale fallimento.

Inizia il tragico periodo delle “purghe” e del terrore: l’eliminazione fisica e metodica, spietata, di ogni dissenso: processi farsa, condanne a morte, deportazione nei gulag siberiani. Sono i prigionieri dei campi di lavoro a costruire con le mani la linea ferroviaria che collega Vorkuta con il resto dell’URSS. Vorkuta è uno dei gulag più duri, i prigionieri politici sono rinchiusi nel “campo” Rechlag. Prigioniero tra i tanti anche un italiano di Tivoli, si chiama Dante Corneli. Nel 1919 si è iscritto al PSI; dopo il congresso di Livorno del 1921 al Partito Comunista. È il segretario della Camera del lavoro di Tivoli. Nel 1922 ferisce con una revolverata il segretario fascista della città, fugge in URSS. S'inserisce negli ambienti dell'emigrazione antifascista italiana, è tra quanti si oppongono a Stalin, entra nel gruppo di Trotsky, Zinov’ev e Kamenev. Emarginato dal partito, si piega, fa autocritica. Al momento sembra sufficiente. Nel 1932 si trasferisce a Mosca, lavora in una fabbrica di cuscinetti a sfera. Quando le “purghe” staliniane prendono il via, di lui non ci si dimentica: arrestato, dopo varie vicissitudini è internato nel “campo” di Vorkuta.

Le durissime condizioni di vita e lavoro causeranno la morte di almeno duecentomila (su due milioni) prigionieri. Del contingente di cui fa parte Corneli, 1.500 dissidenti, ne sopravvivono appena 84. Devono raccogliere il carbone a mani nude, tuffarsi nelle viscere di miniere prive di ogni standard di sicurezza, ogni giorno un crollo, ogni giorno morti. Lavoro come strumento di morte; e la beffa delle scritte all’ingresso dei “campi”: “State contribuendo alla gloria del socialismo“.

La fuga è impossibile, attorno al “campo” non c’è neppure bisogno di reticolato di filo spinato o guardie: in quella tundra gelata semplicemente non si può sopravvivere, è la regione più inospitale della Russia.

La morte di Stalin fa sperare nella liberazione. Non per loro. Aleksander Solženicyn in Arcipelago gulag annota: “La differenza [dei lager di Chruščёv] coi lager di Stalin non è data dal regime di detenzione, bensì dalla composizione degli effettivi: non ci sono più milioni e milioni di Cinquantotto (i detenuti segnalati per reati controrivoluzionari), ma, come prima, i detenuti si contano a milioni e, come prima, molti sono esseri senza difesa, vittime di una giustizia iniqua e cacciati nei lager unicamente perché il sistema vuole sopravvivere ad ed essi rappresentano il suo nutrimento”.

Grazie alla sua ingegnosità nel risolvere problemi pratici e il saper tessere buoni rapporti con i detenuti destinatari delle sue "invenzioni" che alleggeriscono la dura fatica dei compagni, Corneli sopravvive. Liberato nel 1946, per altri due anni è tenuto al confino; nel 1948 la libertà. Dura solo un anno: è nuovamente inviato al soggiorno obbligato, questa volta a Igarka, in Siberia. Solo nel 1960 può trasferirsi in Ucraina. Nel 1965, grazie all’intervento di Umberto Terracini che lo aiuta a ottenere un breve visto di soggiorno, torna in Italia. Altri cinque anni in URSS e nel 1970, senza il permesso delle autorità sovietiche, riprende la cittadinanza italiana, si stabilisce a Tivoli. La moglie russa e i figli rimangono in URSS, subiscono le persecuzioni per la scelta del loro congiunto. Corneli non cede ai ricatti; resta in Italia e denuncia le persecuzioni di Stalin contro i comunisti che non si erano allineati alla sua strategia. Scrive le sue memorie, ma non trova un editore disposto a pubblicarle.

È costretto a stampare in proprio i suoi opuscoli di ricordi, finché, ancora grazie all'aiuto di Terracini, nel 1977 può far uscire il libro Il redivivo tiburtino, presso la casa editrice La Pietra, legata a Piero Secchia, da sempre avversario politico di Togliatti all’interno del PCI. Deluso per i tagli e le censure del testo, senza altri editori a cui rivolgersi, riprende a pubblicare in proprio, si concentra sulle vicende dell'emigrazione antifascista in Urss, denuncia la tragedia degli italiani vittime dello stalinismo. Rivolge pesanti accuse al gruppo dirigente del PCI, in particolare a Palmiro Togliatti, Paolo Robotti, Antonio Roasio, Vittorio Vidali, per le complicità con Stalin.

Il periodo in cui vengono rese pubbliche le memorie di Corneli coincide con quello del compromesso storico; è per questo che non c’è interesse da parte del PCI, ma neppure della DC, a diffondere le denunce del Redivivo tiburtino?

Nel 1990, novantenne, Corneli muore a Tivoli. Praticamente ignorato: lui e le sue denunce contro lo stalinismo e la linea politica adottata dal PCI. Chi scrive, a parte la copia de Il redivivo tiburtino, è entrato in possesso degli altri numerosi opuscoli chiedendoli direttamente all’autore che ha voluto solo essere rimborsato per le spese di stampa e spedizione sostenute, poche migliaia di lire.

Ecco a cosa può essere associato il nome di Vorkuta: il luogo dove è stato deportato Aleksei Navalny, l’unico oppositore di cui Vladimir Putin ha davvero paura. Prigioniero nella colonia penale n. 3 nel villaggio di Kharp, circondario autonomo di Yamalo-Nenetsk, vicino appunto a Vorkuta: 60 chilometri a nord del Circolo Polare Artico, duemila da Mosca. Navalny è stato condannato a 19 anni di carcere da scontare in una colonia a regime speciale, colpevole di "estremismo".

Appena il caso di osservare che questa ennesima persecuzione di cui è vittima Navalny sembra non interessare; praticamente nessuno si mobilita in suo favore. Ignorato Navalny oggi, come ignorato a suo tempo Dante Corneli e le migliaia di suoi sventurati compagni di detenzione. Passano gli anni, cambiano i nomi dei dittatori. Vorkuta resta.

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Vorkuta: non è solo, come asettica informa Wikipedia, una città della Russia che “sorge poco a Nord del circolo polare artico, nota perché è situata nel punto più orientale d’Europa”, citata anche come la città più fredda del continente. Gli inverni non sembrano mai finire, a Vorkuta; ma questo nome evoca fantasmi ben più sinistri e gelidi.

Si deve fare un salto nel tempo, gli anni Trenta del secolo scorso. Il dittatore dell’allora Unione Sovietica Iosif Vissarionovič Džugašvili, da tutti conosciuto come Stalin, si è liberato dei suoi più temibili avversari, Lev Trockij, Grigorij Zinov'ev, Lev Kamenev, Nikolaj Bucharin, Aleksej Rykov, Michail Tomskji… Tutti gli devono obbedienza cieca, ma non basta. La politica economica di Stalin, i suoi piani quinquennali, sono un sostanziale fallimento.

Inizia il tragico periodo delle “purghe” e del terrore: l’eliminazione fisica e metodica, spietata, di ogni dissenso: processi farsa, condanne a morte, deportazione nei gulag siberiani. Sono i prigionieri dei campi di lavoro a costruire con le mani la linea ferroviaria che collega Vorkuta con il resto dell’URSS. Vorkuta è uno dei gulag più duri, i prigionieri politici sono rinchiusi nel “campo” Rechlag. Prigioniero tra i tanti anche un italiano di Tivoli, si chiama Dante Corneli. Nel 1919 si è iscritto al PSI; dopo il congresso di Livorno del 1921 al Partito Comunista. È il segretario della Camera del lavoro di Tivoli. Nel 1922 ferisce con una revolverata il segretario fascista della città, fugge in URSS. S'inserisce negli ambienti dell'emigrazione antifascista italiana, è tra quanti si oppongono a Stalin, entra nel gruppo di Trotsky, Zinov’ev e Kamenev. Emarginato dal partito, si piega, fa autocritica. Al momento sembra sufficiente. Nel 1932 si trasferisce a Mosca, lavora in una fabbrica di cuscinetti a sfera. Quando le “purghe” staliniane prendono il via, di lui non ci si dimentica: arrestato, dopo varie vicissitudini è internato nel “campo” di Vorkuta.

Le durissime condizioni di vita e lavoro causeranno la morte di almeno duecentomila (su due milioni) prigionieri. Del contingente di cui fa parte Corneli, 1.500 dissidenti, ne sopravvivono appena 84. Devono raccogliere il carbone a mani nude, tuffarsi nelle viscere di miniere prive di ogni standard di sicurezza, ogni giorno un crollo, ogni giorno morti. Lavoro come strumento di morte; e la beffa delle scritte all’ingresso dei “campi”: “State contribuendo alla gloria del socialismo“.

La fuga è impossibile, attorno al “campo” non c’è neppure bisogno di reticolato di filo spinato o guardie: in quella tundra gelata semplicemente non si può sopravvivere, è la regione più inospitale della Russia.

La morte di Stalin fa sperare nella liberazione. Non per loro. Aleksander Solženicyn in Arcipelago gulag annota: “La differenza [dei lager di Chruščёv] coi lager di Stalin non è data dal regime di detenzione, bensì dalla composizione degli effettivi: non ci sono più milioni e milioni di Cinquantotto (i detenuti segnalati per reati controrivoluzionari), ma, come prima, i detenuti si contano a milioni e, come prima, molti sono esseri senza difesa, vittime di una giustizia iniqua e cacciati nei lager unicamente perché il sistema vuole sopravvivere ad ed essi rappresentano il suo nutrimento”.

Grazie alla sua ingegnosità nel risolvere problemi pratici e il saper tessere buoni rapporti con i detenuti destinatari delle sue "invenzioni" che alleggeriscono la dura fatica dei compagni, Corneli sopravvive. Liberato nel 1946, per altri due anni è tenuto al confino; nel 1948 la libertà. Dura solo un anno: è nuovamente inviato al soggiorno obbligato, questa volta a Igarka, in Siberia. Solo nel 1960 può trasferirsi in Ucraina. Nel 1965, grazie all’intervento di Umberto Terracini che lo aiuta a ottenere un breve visto di soggiorno, torna in Italia. Altri cinque anni in URSS e nel 1970, senza il permesso delle autorità sovietiche, riprende la cittadinanza italiana, si stabilisce a Tivoli. La moglie russa e i figli rimangono in URSS, subiscono le persecuzioni per la scelta del loro congiunto. Corneli non cede ai ricatti; resta in Italia e denuncia le persecuzioni di Stalin contro i comunisti che non si erano allineati alla sua strategia. Scrive le sue memorie, ma non trova un editore disposto a pubblicarle.

È costretto a stampare in proprio i suoi opuscoli di ricordi, finché, ancora grazie all'aiuto di Terracini, nel 1977 può far uscire il libro Il redivivo tiburtino, presso la casa editrice La Pietra, legata a Piero Secchia, da sempre avversario politico di Togliatti all’interno del PCI. Deluso per i tagli e le censure del testo, senza altri editori a cui rivolgersi, riprende a pubblicare in proprio, si concentra sulle vicende dell'emigrazione antifascista in Urss, denuncia la tragedia degli italiani vittime dello stalinismo. Rivolge pesanti accuse al gruppo dirigente del PCI, in particolare a Palmiro Togliatti, Paolo Robotti, Antonio Roasio, Vittorio Vidali, per le complicità con Stalin.

Il periodo in cui vengono rese pubbliche le memorie di Corneli coincide con quello del compromesso storico; è per questo che non c’è interesse da parte del PCI, ma neppure della DC, a diffondere le denunce del Redivivo tiburtino?

Nel 1990, novantenne, Corneli muore a Tivoli. Praticamente ignorato: lui e le sue denunce contro lo stalinismo e la linea politica adottata dal PCI. Chi scrive, a parte la copia de Il redivivo tiburtino, è entrato in possesso degli altri numerosi opuscoli chiedendoli direttamente all’autore che ha voluto solo essere rimborsato per le spese di stampa e spedizione sostenute, poche migliaia di lire.

Ecco a cosa può essere associato il nome di Vorkuta: il luogo dove è stato deportato Aleksei Navalny, l’unico oppositore di cui Vladimir Putin ha davvero paura. Prigioniero nella colonia penale n. 3 nel villaggio di Kharp, circondario autonomo di Yamalo-Nenetsk, vicino appunto a Vorkuta: 60 chilometri a nord del Circolo Polare Artico, duemila da Mosca. Navalny è stato condannato a 19 anni di carcere da scontare in una colonia a regime speciale, colpevole di "estremismo".

Appena il caso di osservare che questa ennesima persecuzione di cui è vittima Navalny sembra non interessare; praticamente nessuno si mobilita in suo favore. Ignorato Navalny oggi, come ignorato a suo tempo Dante Corneli e le migliaia di suoi sventurati compagni di detenzione. Passano gli anni, cambiano i nomi dei dittatori. Vorkuta resta.

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Navalny come Dante Corneli. Cambiano i dittatori, Vorkuta resta

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27.12.2023

Vorkuta: non è solo, come asettica informa Wikipedia, una città della Russia che “sorge poco a Nord del circolo polare artico, nota perché è situata nel punto più orientale d’Europa”, citata anche come la città più fredda del continente. Gli inverni non sembrano mai finire, a Vorkuta; ma questo nome evoca fantasmi ben più sinistri e gelidi.

Si deve fare un salto nel tempo, gli anni Trenta del secolo scorso. Il dittatore dell’allora Unione Sovietica Iosif Vissarionovič Džugašvili, da tutti conosciuto come Stalin, si è liberato dei suoi più temibili avversari, Lev Trockij, Grigorij Zinov'ev, Lev Kamenev, Nikolaj Bucharin, Aleksej Rykov, Michail Tomskji… Tutti gli devono obbedienza cieca, ma non basta. La politica economica di Stalin, i suoi piani quinquennali, sono un sostanziale fallimento.

Inizia il tragico periodo delle “purghe” e del terrore: l’eliminazione fisica e metodica, spietata, di ogni dissenso: processi farsa, condanne a morte, deportazione nei gulag siberiani. Sono i prigionieri dei campi di lavoro a costruire con le mani la linea ferroviaria che collega Vorkuta con il resto dell’URSS. Vorkuta è uno dei gulag più duri, i prigionieri politici sono rinchiusi nel “campo” Rechlag. Prigioniero tra i tanti anche un italiano di Tivoli, si chiama Dante Corneli. Nel 1919 si è iscritto al PSI; dopo il congresso di Livorno del 1921 al Partito Comunista. È il segretario della Camera del lavoro di Tivoli. Nel 1922 ferisce con una revolverata il segretario fascista della città, fugge in URSS. S'inserisce negli ambienti dell'emigrazione antifascista italiana, è tra quanti si oppongono a Stalin, entra nel gruppo di Trotsky, Zinov’ev e Kamenev. Emarginato dal partito, si piega, fa autocritica. Al momento sembra sufficiente. Nel 1932 si trasferisce a Mosca, lavora in una fabbrica di cuscinetti a sfera. Quando le “purghe” staliniane prendono il via, di lui non ci si dimentica: arrestato, dopo varie vicissitudini è internato nel “campo” di Vorkuta.

Le durissime condizioni di vita e lavoro causeranno la morte di almeno duecentomila (su due milioni) prigionieri. Del contingente di cui fa parte Corneli, 1.500 dissidenti, ne sopravvivono appena 84. Devono raccogliere il carbone a mani nude, tuffarsi nelle viscere di miniere prive di ogni standard di sicurezza, ogni giorno un crollo, ogni giorno morti. Lavoro come strumento di morte; e la beffa delle scritte all’ingresso dei “campi”: “State contribuendo alla gloria del socialismo“.

La fuga è impossibile, attorno al “campo” non c’è neppure bisogno di reticolato di filo spinato o guardie: in quella tundra gelata semplicemente non si può sopravvivere, è la regione più inospitale della Russia.

La morte di Stalin fa sperare nella liberazione. Non per loro. Aleksander Solženicyn in Arcipelago gulag annota: “La differenza [dei lager di Chruščёv] coi lager di Stalin non è data dal regime di detenzione, bensì dalla composizione degli effettivi: non ci sono più milioni e milioni di Cinquantotto (i detenuti segnalati per reati controrivoluzionari), ma, come prima, i detenuti si contano a milioni e, come prima, molti sono esseri senza difesa, vittime di una giustizia iniqua e cacciati nei lager unicamente perché il sistema vuole sopravvivere ad ed essi........

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