Proprio non ci sta, a questa revisione del processo a Rosa Bazzi e Olindo Romano, la pubblica accusa, rappresentata a Brescia dal procuratore generale e dall’avvocato dello Stato. Parlano di “can can mediatico” e di “limiti superati”. I due ergastolani sono in aula, ma desiderano non essere fotografati. Dopo 17 anni di carcere e con Rosa Bazzi che ha già il permesso di lavoro esterno, forse temono di correre qualche rischio. Quello che invece non si nega alle telecamere è Azuz Marzouk, marito e padre di due delle quattro vittime, da sempre convinto dell’innocenza dei due coniugi. Lo ribadisce, pur ritenendo infondata la pista alternativa che potrebbe coinvolgere anche lui, cioè quella di una ritorsione maturata nel mondo del narcotraffico.

Siamo alla prima udienza del processo che dovrà dare il via libera o bloccare la revisione della sentenza definitiva con cui la Cassazione ha condannato all’ergastolo Rosa Bazzi e Olindo Romano per la “strage di Erba” con cui l’11 dicembre del 2006 furono assassinate quattro persone, tra cui un bambino di due anni. Che almeno metà degli italiani sia convinta dell’estraneità dei due condannati lo dicono persino i rappresentanti dell’accusa, il procuratore generale di Brescia Guido Rispoli e l’avvocato dello Stato Domenico Chiaro. Ma sono tutte suggestioni, fanno poi capire, dovute al famoso “can can” mediatico. Sono stati scritti libri, e le numerose trasmissioni che hanno discusso il caso sembrano quasi diventate una serie tv. Non resistono alla tentazione di mostrare la propria cultura cinematografica neppure questi due austeri togati. Uno cita “Match point” di Woody Allen, l’altro “Il grande bluff”, titolo francese più che allusivo.

Eppure, se revisione, cioè se nuovo processo sarà, vorrà dire che a Brescia sta succedendo qualcosa di inedito. Perché non è così scontato che i 26 giudici che finora hanno esaminato e poi deciso le condanne, abbiano visto giusto. E soprattutto perché verrebbe disvelato un dubbio molto radicato. E cioè che in molte decisioni giudiziarie abbia previsto la passività più della curiosità. Nel caso di ingiustizia più noto in Italia, il “caso Tortora”, fu proprio il desiderio di mettere il naso nelle carte da parte del relatore nel processo d’appello, il giudice Michele Morello, a rimettere le cose a posto e a fare assolvere un innocente. Il “curioso” di oggi si chiama Cuno Tarfusser, sostituto procuratore generale a Milano che, pur con il parere negativo della sua superiore gerarchica Francesca Nanni, e subendo il provvedimento di censura da parte del Csm, ha affiancato a quella degli avvocati difensori la propria richiesta di revisione del processo.

La sua domanda è stata la prima a esser dichiarata inammissibile dai suoi colleghi bresciani. L’hanno liquidata, con poca solidarietà di casta, “perché è stata redatta e firmata da un soggetto che non è titolare” del potere di presentarla. Per il resto, la battaglia è sul contenuto delle contestazioni che gli avvocati della difesa ( Fabio Schembri, Luisa Bordeaux, Nico D’Ascola, Patrizia Morello) hanno avanzato da sempre. Che sono anche quelli di una serie di giornalisti, di autori di trasmissioni tv e di, appunto, quella metà (o forse di più) dei cittadini italiani. Prima di tutto il movente: possibile che le famose beghe di ballatoio possano aver esacerbato gli animi fino al punto di indurre qualcuno a fare una strage a base di sciabolate? Poi due elementi molto concreti che troppo spesso passano inosservati. Nell’appartamento della mattanza, dato alle fiamme, non c’è nessuna impronta né di Rosa né di Olindo. Non ci sono tracce di sangue sui loro abiti, né c’è stato per loro il tempo sufficiente per cambiarsi, né da nessuna parte sono stati trovati indumenti insanguinati.

Il procuratore generale Guido Rispoli si è invece soffermato su quelle che l’accusa ritiene le prove più rilevanti, le confessioni degli imputati, la testimonianza di Mario Frigerio, unico sopravvissuto alla strage, e la macchia di sangue di una delle vittime sul battitacco dell’auto di Olindo Romano. Le confessioni non sarebbero state indotte, dicono, sostenuti anche dagli avvocati delle parti civili. Inoltre tutte quelle registrazioni ambientali nella casa di Rosa e Olindo, nelle quali i due coniugi parlano tra loro e ripetutamente si chiedono chi possa esser stato a compiere un atto così crudele, mostrano solo la loro astuzia. Perché “Olindo Romano è tutt’altro che uno stupido - dice il procuratore generale - vuole passare come un minus habens, ma non lo è affatto”. E sulla testimonianza di Frigerio, il magistrato fissa al suo primo interrogatorio il riconoscimento di Olindo come della persona che lo aggredì alla giugulare. Questo punto è in realtà inesatto, perché la prima dichiarazione del sopravvissuto parlava di uno sconosciuto di carnagione scura con tratti mediorientali. E il suo vicino di casa non era ovviamente né sconosciuto né scuro di carnagione. È vero invece che piano piano, di suggestione in suggestione, Mario Frigerio era diventato il principale teste d’accusa. Anzi l’unico, per la verità. Si era convinto di esser stato aggredito non più da uno sconosciuto scuro di pelle, ma da persona ben conosciuta e di carnagione chiara. Anche sulla macchia di sangue della vittima Valeria Cherubini lo scontro tra accusa e difesa è serrato. L’accusa sostiene che l’ha portata sull’auto lo stesso Olindo Romano, la difesa mette in discussione le stesse modalità di acquisizione del reperto. Gli avvocati sospettano che la macchia sia stata cercata più che trovata, che forse fosse non sull’auto ma altrove e infine denunciano il fatto che sarebbe stata individuata settimane dopo la strage e dopo che i congiunti avevano usato molte volte la macchina. Se ne riparlerà il 16 aprile, alla prossima udienza.

QOSHE - Strage di Erba, Il Pg: «Solo can-can mediatico. Gli assassini sono Olindo e Rosa» - Tiziana Maiolo
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Strage di Erba, Il Pg: «Solo can-can mediatico. Gli assassini sono Olindo e Rosa»

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01.03.2024

Proprio non ci sta, a questa revisione del processo a Rosa Bazzi e Olindo Romano, la pubblica accusa, rappresentata a Brescia dal procuratore generale e dall’avvocato dello Stato. Parlano di “can can mediatico” e di “limiti superati”. I due ergastolani sono in aula, ma desiderano non essere fotografati. Dopo 17 anni di carcere e con Rosa Bazzi che ha già il permesso di lavoro esterno, forse temono di correre qualche rischio. Quello che invece non si nega alle telecamere è Azuz Marzouk, marito e padre di due delle quattro vittime, da sempre convinto dell’innocenza dei due coniugi. Lo ribadisce, pur ritenendo infondata la pista alternativa che potrebbe coinvolgere anche lui, cioè quella di una ritorsione maturata nel mondo del narcotraffico.

Siamo alla prima udienza del processo che dovrà dare il via libera o bloccare la revisione della sentenza definitiva con cui la Cassazione ha condannato all’ergastolo Rosa Bazzi e Olindo Romano per la “strage di Erba” con cui l’11 dicembre del 2006 furono assassinate quattro persone, tra cui un bambino di due anni. Che almeno metà degli italiani sia convinta dell’estraneità dei due condannati lo dicono persino i rappresentanti dell’accusa, il procuratore generale di Brescia Guido Rispoli e l’avvocato dello Stato Domenico Chiaro. Ma sono tutte suggestioni, fanno poi capire, dovute al famoso “can can” mediatico. Sono stati scritti libri, e le numerose trasmissioni che hanno discusso il........

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