Andare oltre agli elementi processuali per percorrere la stretta e oscura via di revisione processuale. Così la procuratrice generali di Cagliari ha contribuito non solo a liberare Zuncheddu ma anche a alleviare il senso di colpa dei suoi accusatori
Francesca Nanni era procuratrice generale a Cagliari, quando il dubbio iniziò, larvato, a prendere forma: e se fosse innocente, Beniamino Zuncheddu? Stretta è la via della revisione processuale. Stretta e oscura. Nutrita da aspetti tecnico-processuali, certo, ma pure da inestricabili, aggrovigliate sensazioni irradianti dalla vita, dagli sguardi, dalle emozioni delle persone coinvolte in quel mistero che risponde al nome del processo. Atto assoluto, situato oltre qualunque canone di accettabilità umana, in apparenza persino privo di uno scopo che non sia il processo stesso e devoluto alla concatenazione di mondano e di sacro, perché come insegnava Salvatore Satta, “quando la vita sarà finita, quando l’azione sarà conclusa, verrà uno, non per punire, non per premiare, ma per giudicare: qui venturus est judicare vivos et mortuos”.
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