L’opposizione si rialza, il Quirinale borbotta e la premier alla Casa Bianca scopre che i suoi veri corazzieri sono i vecchi nemici: i progressisti americani, i liberali europei. Gran cortocircuiti, compreso Chico Forti

Una Giorgia anti trumpiana: slurp, chi lo avrebbe mai detto? La settimana che si chiude, per Giorgia Meloni, non è stata esattamente delle migliori. Lunedì ha scoperto di non avere più il dono dell’invincibilità. Nello stesso giorno ha scoperto che parte degli elettori del centrodestra ha sabotato in Sardegna il candidato governatore scelto da lei in persona. Nelle stesse ore ha visto le opposizioni lavorare tutte insieme per proporsi come alternativa al centrodestra. Pochi giorni dopo ha testato in prima persona quanto siano elettrici i rapporti con il Quirinale, quando il presidente della Repubblica ha considerato come un attacco personale le parole usate dalla presidente del Consiglio per segnalare che “è pericoloso se le istituzioni tolgono sostegno alla Polizia” (così come elettrici ormai da mesi sono i rapporti con la Santa Sede, molto critica con la premier sul metodo scelto dal governo per l’immigrazione: ultimo terreno di scontro l’accordo tra l’Italia e l’Albania). E poco prima di partire per gli Stati Uniti, dove ieri ha incontrato il presidente Joe Biden nell’ambito di un viaggio programmato da tempo per coordinarsi con l’Amministrazione americana nel contesto della presidenza italiana del G7, a Meloni è stata consegnata una lista degli scioperi previsti in Italia per questo mese: sciopero generale l’8 marzo, sciopero del personale Rfi il 13 marzo, sciopero minacciato dall’Anm contro l’ipotesi di un concorso per il reclutamento straordinario dei magistrati e poi a seguire sciopero del trasporto pubblico locale in Sicilia, a Milano, a Bolzano, a Parma. Meloni arriva alla Casa Bianca, da Joe Biden, con qualche certezza che inizia a mancare, sul fronte interno, sul fronte politico, sul fronte dei rapporti con alcuni pezzi da novanta del sistema italiano, ma arriva all’appuntamento con il presidente americano forte di una consapevolezza a sorpresa che invece inizia a maturare. E quella consapevolezza è clamorosa: più il fronte interno per Meloni inizia a essere politicamente turbolento e più il fronte esterno per la presidente del Consiglio comincia a essere strategicamente decisivo.

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Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.

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L'urgenza di una Meloni anti trumpiana

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02.03.2024

L’opposizione si rialza, il Quirinale borbotta e la premier alla Casa Bianca scopre che i suoi veri corazzieri sono i vecchi nemici: i progressisti americani, i liberali europei. Gran cortocircuiti, compreso Chico Forti

Una Giorgia anti trumpiana: slurp, chi lo avrebbe mai detto? La settimana che si chiude, per Giorgia Meloni, non è stata esattamente delle migliori. Lunedì ha scoperto di non avere più il dono dell’invincibilità. Nello stesso giorno ha scoperto che parte degli elettori del centrodestra ha sabotato in Sardegna il candidato governatore scelto da lei in persona. Nelle stesse ore ha visto le opposizioni lavorare tutte insieme per proporsi come alternativa al centrodestra. Pochi giorni dopo ha testato in prima persona quanto siano........

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