Andare al cinema, pensare alle nomination e scoprire che lo spirito del tempo proiettato sul grande schermo è lo stesso proiettato nella quotidianità delle nostre democrazie: cosa fare per difendere noi stessi da chi cerca di toglierci qualche spicchio della nostra libertà
E se per una volta fossero gli Oscar della libertà piuttosto che quelli della banalità? Tra pochi giorni, il 10 marzo, al Dolby Theatre di Hollywood verranno premiati i migliori film dell’anno. Nelle ultime edizioni, buona parte dell’attenzione degli osservatori è stata catturata da un calcolo insieme reale e soporifero che si trova ormai da anni al centro del cosiddetto bipolarismo cinematografico: quante sono le statuette conquistate dalle piattaforme specializzate in streaming e quante sono quelle conquistate dalle rivali alternative allo streaming? L’unione progressiva tra i due mondi, un’unione fatta di collaborazioni, triangolazioni, acquisizioni e a volte fusioni, ha reso il calcolo poco attraente e anche per questo, nell’edizione di quest’anno, varrebbe la pena seguire forse un filo diverso: quanto peserà agli Oscar il fattore libertà?
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Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.