Antirazzisti, postmodernisti, ecologisti e femministe. Ecco tutto il "campo largo" dei compagni di letto contro Israele che per far tornare la pace nel mondo, ne chiedono la sparizione
La guerra è pace. La libertà è schiavitù. L’ignoranza è forza. Il velo è progresso. La decapitazione è resistenza. “Viviamo tutti nel mondo di Judith Butler”, per dirla con una rivista inglese. Butler è la star della filosofia americana, la professoressa marxista e queer di Berkeley che ha inventato l’identità di genere. Il suo “Gender Trouble”, pubblicato nel 1990, è diventato una sorta di teologia in tutte le università occidentali. Da due settimane si riparla di questa filosofa della “società liquida” perché in una conferenza a Parigi ha detto che l’attacco perpetrato da Hamas il 7 ottobre è stato una “rivolta”, non “un attacco terroristico” né “un attacco antisemita”, ma “un atto di resistenza armata”. In un articolo pubblicato l’11 marzo da Mediapart, la filosofa persiste. “Resistenza”, scrive, è la parola giusta per parlare del 7 ottobre. Butler aveva già definito Hamas e Hezbollah “movimenti della sinistra globale”. Di fronte alla controversia, Butler ha ricevuto un sostegno inatteso, o quasi. “Condivido la sua analisi”, ha detto al Monde la scrittrice e premio Nobel Annie Ernaux, salvo poi aggiungere che non avrebbe usato la parola “resistenza”. Uno dei più famosi studiosi di islam, Francois Burgat, ha portato il suo “infinito rispetto” ai capi di Hamas.
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Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.