Tra docenti assaliti da padri e madri, figli sfiduciati, cellulari pervasivi: "In classe farei spegnere il telefonino a tutte le età, ma non lo si può vietare in sé. Non vedo purtroppo rimedio al danno pazzesco creato dall’abitudine allo schema binario tipico del telefonino: sì-no". Colloquio con il filosofo e saggista
La scuola e la famiglia, i genitori che si fanno sindacalisti dei figli e aggrediscono i docenti, il rapporto di fiducia che non c’è più. È la foto di una doppia impotenza, la fine della delega o la rinuncia allo sforzo di educare alla responsabilità? Ed è davvero tutta colpa dei social network? Ne abbiamo parlato con il professor Umberto Galimberti, filosofo, psicoanalista, saggista, editorialista di Repubblica. “Faccio una premessa”, dice Galimberti: “La scuola italiana ha i suoi mali: non educa, al massimo quando ce la fa istruisce. Educare vuol dire seguire i ragazzi nei loro processi psicologici, cosa impossibile finché si avranno classi da trenta alunni invece che da quindici. E poi: nel percorso formativo del docente inserirei un test di personalità per cercare di assicurarsi che sia dotato di empatia. Senza empatia non arrivi al cuore. Platone diceva che la mente non si apre se prima non si apre il cuore”. Detto questo, “la famiglia in questo momento è un disastro”.
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Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.