La situazione resta tesa ma gli investitori scommettono sulla fine dell’escalation in medio oriente. Così le borse mondiali guadagnano invece che perdere e il prezzo del petrolio scende piuttosto che salire

Per spiegare perché all’indomani dell’attacco dell’Iran a Israele le borse mondiali (europee e statunitensi, in primis) guadagnano invece che perdere e il prezzo del petrolio scende piuttosto che salire, si può azzardare un paragone: è come quando i mercati videro il picco pandemico contemporaneamente all’arrivo dei vaccini. Cominciarono a riprendere quota perché capirono che il peggio era alle spalle. Così questa mattina gli investitori, contrariamente alle cupe attese di venerdì, hanno considerato raggiunto il livello più alto dell’escalation in Medio Oriente dopo che l’attacco bellico di Teheran contro Tel Aviv, avvenuto durante il week end, non ha prodotto vittime o gravi danni.

Nonostante la situazione resti molto tesa e fonti citate dal Wall Street Journal assicurino che la reazione di Israele non si farà attendere, tra gli operatori finanziari prevale un clima di fiducia. Eppure, quando a gennaio è scoppiata la crisi nel Mar Rosso, la stragrande maggioranza degli analisti assicurava che sarebbe bastato che l’Iran si fosse anche solo affacciato sulla scena, di cui fino a quel momento erano stati protagonisti gli houthi con le loro rappresaglie alle navi occidentali, per innescare un tracollo delle borse simile a quello seguito all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Cos’è cambiato? “Per adesso – spiega al Foglio Riccardo Trezzi, economista e consulente di fondi d’investimento internazionali – i mercati stanno tirando un sospiro di sollievo perché, da quanto si è visto, quasi tutti i missili lanciati dall’Iran sono stati intercettati da Israele e che nessuno degli stati confinanti ha tenuto chiusi gli spazi aerei”. Per Trezzi, dunque, la crisi mediorientale non desterà particolari preoccupazioni “a meno che da Teheran non arrivi un nuovo attacco o Israele esploda in una reazione sconsiderata. Al momento i mercati percepiscono che la situazione non solo è sotto controllo ma che nuovi equilibri potrebbero formarsi generando un ritorno alla stabilità in queste regioni”.

Ovviamente, tutto corre lungo un filo di lana che gli Stati Uniti stanno cercando di rendere sempre più robusto. Secondo Antonio Cesarano, responsabile degli investimenti di Intermonte, “Il fatto che il governo americano abbia detto chiaramente che non appoggerà ulteriori risposte di Israele all’Iran e il fatto che Israele stia prendendo tempo fanno intendere che l’escalation che fino a pochi giorni fa pareva incontrollabile abbia trovato un argine”. Dunque, la Casa Bianca, con il suo intervento, ha scongiurato una grave crisi petrolifera e dei mercati oltre che lo scoppio di una vera e propria guerra? “Biden sembra riuscito nel tentativo di portare a più a miti consigli Netanyahu, dandogli allo stesso tempo una mano a respingere i missili iraniani – dice Cesarano –. Questo farebbe intendere che non si sta andando verso un innalzamento delle tensioni. Così, le quotazioni del petrolio restano intorno a 90 dollari al barile e le borse stanno già guardando da un’altra parte e cioè a inflazione e tassi che restano temi aperti”.

E se Israele, invece, reagisse, come molti temono? “Crediamo che l’eventuale risposta – spiega in un’analisi Filippo Diodovich, senior market strategist di Ig Italia – possa coinvolgere solo i proxy iraniani (Hezbollah), ma non un’escalation del conflitto con un attacco diretto a Teheran”. Insomma, le tensioni internazionali non arrestano la fiducia dei mercati, anche se l’indice di volatilità resta vicino ai massimi di cinque mesi, riflettendo un certo nervosismo. Del resto, come fa notare lo stesso Diodovich, eventuali ulteriori aumenti del prezzo del petrolio potrebbero far crescere le pressioni inflazionistiche, complicando gli sforzi delle banche centrali. “Penso che la preoccupazione più grande di Wall Street oggi – aggiunge Cesarano - sia che la Fed ritardi il ciclo dei tagli dei tassi, anche se la banca centrale americana riprenderà a immettere liquidità nel sistema e questo è molto tranquillizzante”. Per Trezzi, il punto critico per gli investitori resta l’eccesso di debito pubblico e si vede dalle tensioni che agitano il mercato dei titoli di stato.

Insomma, i missili su Tel Aviv preoccupano meno dei tassi che non si riducono. Intanto, oggi sulla borsa americana c’è stata una sola società andata veramente male: la Trump media ha aperto a -20 per cento perché è iniziato il processo contro Donald Trump, accusato di aver falsificato documenti finanziari e di aver pagato il silenzio dell’ex pornostar Stormy Daniels su una sua presunta relazione. Ma questa è un’altra storia.

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L'attacco dell'Iran contro Israele non scuote i mercati. Il parere degli esperti

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15.04.2024

La situazione resta tesa ma gli investitori scommettono sulla fine dell’escalation in medio oriente. Così le borse mondiali guadagnano invece che perdere e il prezzo del petrolio scende piuttosto che salire

Per spiegare perché all’indomani dell’attacco dell’Iran a Israele le borse mondiali (europee e statunitensi, in primis) guadagnano invece che perdere e il prezzo del petrolio scende piuttosto che salire, si può azzardare un paragone: è come quando i mercati videro il picco pandemico contemporaneamente all’arrivo dei vaccini. Cominciarono a riprendere quota perché capirono che il peggio era alle spalle. Così questa mattina gli investitori, contrariamente alle cupe attese di venerdì, hanno considerato raggiunto il livello più alto dell’escalation in Medio Oriente dopo che l’attacco bellico di Teheran contro Tel Aviv, avvenuto durante il week end, non ha prodotto vittime o gravi danni.

Nonostante la situazione resti molto tesa e fonti citate dal Wall Street Journal assicurino che la reazione di Israele non si farà attendere, tra gli operatori finanziari prevale un clima di fiducia. Eppure, quando a gennaio è scoppiata la crisi nel Mar Rosso, la stragrande maggioranza degli analisti assicurava che sarebbe........

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