La città che organizza il Festival non è più all’altezza del Festival. Ipotesi: cambiare tutto o addirittura spostarlo. Parlano le major e le etichette indipendenti
“Russell Crowe e John Travolta hanno dormito a Nizza pur di non stare a Sanremo, ci sarà un motivo o no?”. L’industria discografica mette in discussione Sanremo. Non il Festival, attenzione, ma proprio la città di Sanremo. Le sue strade, il suo teatro, i suoi alberghi, il complesso dei suoi servizi inadeguati. “E’ una città che probabilmente pensa di poter vivere di rendita. Ma senza investimenti diventa sempre più fosforescente la distanza tra la modernità di un Festival di grande successo e l’obsolescenza di una città che non vuole crescere”, dice Enzo Mazza, il presidente della Fimi, la federazione delle major discografiche italiane. “La Rai si è modernizzata. Noi discografici ci siamo modernizzati. E Sanremo è ancora lì con le facciate dei palazzi sbreccati, il treno veloce che però è lento, le fognature che si rompono e gli alberghi che non vengono ristrutturati da vent’anni. La cosa più moderna è quell’assurda stazione ferroviaria scavata nella roccia che per raggiungere i due – dico due – binari devi fare quattrocento metri e prendere due ascensori. Manco a New York. Sarà costata miliardi”.
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Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.