I dolori di Amadeus e dell’ad Rai, solo il circo degli scrocconi delle tante feste sponsorizzate dalle grandi aziende che si fanno pubblicità si diverte al Festival.
Sanremo. All’ora di pranzo, al ristorante la Pignese, sul porto di Sanremo, forse l’unico locale quasi decente di questo cittadone ligure in cui i ristoranti imbandiscono sbobbe tanto remote dal cibo che è un miracolo uscirne vivi, ecco l’amministratore delegato della Rai. Roberto Sergio compulsa il cellulare. Poco più in là c’è il sottosegretario alla Cultura Gianmarco Mazzi, che è stato anche un autore di Sanremo ai tempi in cui c’era ancora il supermanager Lucio Presta. Anche lui è sotto assedio, Sergio, come Amadeus. O per lo meno si sente sotto assedio. Tutto diventa d’altra parte enorme, qui a Sanremo. Di più di quello che probabilmente è in realtà. Dunque il dottor Sergio annuncia di voler fare causa a John Travolta, che aveva firmato un contratto in cui dichiarava esplicitamente d’impegnarsi a non fare alcuna pubblicità. “Voleva fare il furbo in Italia, rubare a casa dei ladri”, prova a scherzare. L’eterna versione, o l’eterno ritorno, di acca nisciuno è fesso. Ma poi si fa serio, e allora vuole anche aprire un’inchiesta interna, l’amministratore delegato. Esclude categoricamente che qualcuno tra i collaboratori della Rai, o di Amadeus, fosse d’accordo per mandare in onda l’immagine di quelle scarpe di marca indossate dall’attore americano: “Ma se così non fosse, noi lo scopriremo e cacceremo qualsiasi collaboratore o dipendente infedele”.
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Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.