Lui se ne infischierebbe. Convertito per convenienza, prete senza vocazione, avventuriero sempre, libertino in pensieri, opere e parole, espulso dalla Serenissima con l’accusa di avere praticato un “pubblico concubinaggio” mentre viveva in un bordello, era un grande cinico, dalla moralità dubbia almeno quanto ne è indubbio il genio.

Vivesse oggi, per Emanuele Conegliano in arte Lorenzo Da Ponte (in realtà il nome del vescovo che lo convertì dall’ebraismo al cattolicesimo) quella di “salvare” una qualsiasi casa natale, per esempio la sua, adesso in vendita a Vittorio Veneto fra grandi polemiche (Muti e naturalmente Sgarbi), sarebbe l’ultima delle preoccupazioni.

Da Ponte, figuriamoci. È l’uomo che fornì a Mozart tre libretti uno più scabroso dell’altro, “Le nozze di Figaro” tratte da una commedia vietata, “Don Giovanni” che finirà pure all’inferno ma prima se la spassa assai e “Così fan tutte”, storia di uno scambio di coppie, una Temptation Island così spregiudicata da scandalizzare quel moralista di Beethoven, e che nelle sue Memorie racconta di quando scriveva a rotta di collo tre libretti contemporaneamente, per Martin y Soler, per Salieri e appunto per Mozart, con l’unica distrazione, o forse conforto, di “una bella giovinetta di sedici anni (ch’io avrei voluto non amare che come figlia), che venia nella mia camera a suono di campanello, che per la verità io suonavo assai spesso”.

Un tipo così non si scalderebbe certo per quattro mura, nemmeno quelle dove nacque lui, poi morto a New York nel 1838 dopo aver fatto in anche in tempo a diventare il primo professore di Letteratura italiana alla Columbia University.

Ma noi non siamo (purtroppo) Da Ponte e in ogni caso in mezzo è passato il romanticismo con il suo culto delle urne de’ forti, che è poi la versione laica di quello delle reliquie.

Noialtri coeurs simples siamo quindi degli avidi consumatori di tombe, lapidi, case dove i grandi sono nati, hanno vissuto e sono morti (benché ovviamente immortali), fonti battesimali, sepolcri, penne con cui fu scritto il capolavoro, ciocche di capelli, maschere mortuarie, calchi delle mani, decorazioni (“troppo crocifisso” si dichiarava Rossini all’arrivo dell’ennesima Gran croce dell’Ordine di qualcosa), perfino i pitali di cui si servivano.

Qualche estate fa, ho visto con i miei occhi un inglese pazzo deporre un mazzo di fiori e un osso di plastica sulla tomba di Russ, il cane di Wagner che dorme ai piedi del padrone nel giardino di villa Wahnfried, a Bayreuth.

E in una delle pagine più commoventi del “Mondo di ieri”, Stefan Zweig racconta di essere andato da ragazzo con gli amici all’ultima recita del Burgtheater di Vienna, che veniva demolito, e alla fine di essere salito in palcoscenico per strapparne dei frammenti di legno: perché quelle tavole erano state calpestate da Mozart, quindi erano sacre.

Insomma, statalizzare la casa natale di Da Ponte, e magari sistemarci un museo o una biblioteca, non solo si può, ma si deve. Chi pensa invece che sia uno spreco di soldi pubblici, però, non si preoccupi: il ministero annuncia che se ne occuperà, quindi è quasi matematico che non se ne farà nulla.

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La casa di Da Ponte, un cimelio per noi cuori semplici

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10.11.2023

Lui se ne infischierebbe. Convertito per convenienza, prete senza vocazione, avventuriero sempre, libertino in pensieri, opere e parole, espulso dalla Serenissima con l’accusa di avere praticato un “pubblico concubinaggio” mentre viveva in un bordello, era un grande cinico, dalla moralità dubbia almeno quanto ne è indubbio il genio.

Vivesse oggi, per Emanuele Conegliano in arte Lorenzo Da Ponte (in realtà il nome del vescovo che lo convertì dall’ebraismo al cattolicesimo) quella di “salvare” una qualsiasi casa natale, per esempio la sua, adesso in vendita a Vittorio Veneto fra grandi polemiche (Muti e naturalmente Sgarbi), sarebbe l’ultima delle preoccupazioni.

Da Ponte, figuriamoci. È l’uomo che fornì a Mozart tre libretti uno più scabroso dell’altro,........

© Il Mattino di Padova


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