La demografia sta diventando una palla al piede per lo sviluppo economico e sociale del Nord Est (Veneto, Friuli-Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige)? La grande trasformazione demografica sembrò concludersi a metà degli Anni Settanta del Novecento, quando nascevano due figli per donna, la mortalità infantile e giovanile era quasi debellata, le emigrazioni verso l’estero erano cessate e non c’erano praticamente immigrazioni.

Rispetto a un secolo prima, la popolazione era molto cambiata: raddoppiata nel numero, più concentrata nelle città, nelle aree pianeggianti e costiere, meno sbilanciata verso le età giovanili, più istruita, più sana, meglio nutrita.

Con due figli per donna, migrazioni quasi nulle e speranza di vita attorno ai 70-75 anni, la struttura per età sarebbe rimasta stabile nel tempo: un numero alto e costante di giovani sembravano essere il “carburante” inesauribile per riaccendere il boom economico dei “trenta gloriosi” (1945-75).

Invece, inaspettatamente, nell’ultimo quarantennio la demografia è profondamente mutata.

Non sono mai nati più di 1,5 figli per donna; la mortalità è fortemente diminuita anche nella terza e nella quarta età; per la prima volta dopo millenni, il Nord Est ha attratto nuovi cittadini, tanto che oggi più del 10% dei residenti è di origine straniera.

Questi fatti straordinari hanno cambiato nel profondo la distribuzione per età e il numero degli abitanti.

Malgrado quarant’anni di bassissima fecondità, grazie specialmente alle immigrazioni, oggi nel Nord Est vivono 700 mila abitanti in più rispetto al 1983 (+11%).

Nello stesso periodo, il numero degli over 70 è raddoppiato. Se nei prossimi vent’anni la fecondità resterà così bassa, la popolazione del Nord Est è destinata a diminuire, perché le figlie del baby boom, nate negli anni 1955-75 non sono più fertili, e i saldi migratori, pur restando positivi, sono fortemente ridotti rispetto ai primi dieci anni del ventunesimo secolo, anche a causa delle nuove partenze di molti giovani nordestini.

Nel frattempo, il numero di anziani aumenterà ancora, con l’ingresso dei boomer nella terza e nella quarta età.

Ma una popolazione ridotta e invecchiata è veramente una tragedia? Perché dovrebbe essere negativo per il Nord Est tornare a numeri simili a quelli dell’inizio degli Anni Ottanta? E la riduzione del numero dei lavoratori non può essere mitigata attingendo al serbatoio del lavoro femminile e giovanile, o permettendo ai pensionati di lavorare senza penalizzazioni? Ci sono due “elefanti nella stanza”, per cui diminuzione della popolazione e invecchiamento possono mettere i bastoni fra le ruote dello sviluppo.

Innanzitutto, in società come quella europea, italiana e nordestina, il benessere di chi non può ancora o non può più lavorare è garantito dalle risorse raccolte fra i lavoratori, attraverso tasse e contributi. Se il numero di lavoratori diminuisce più rapidamente del numero dei non lavoratori, le prestazioni di welfare (pensioni, sanità, scuola…) debbono ridursi, oppure tasse e contributi debbono aumentare. Certo, si potrebbe recuperare evasione fiscale e contributiva.

Ma i numeri mostrano che, nei prossimi vent’anni, ciò non sarebbe sufficiente.

E tasse e contributi oggi, in Italia – per chi li paga – sono già fra i più alti d’Europa. Il secondo “elefante” è che spopolamento e invecchiamento non vanno visti solo in media, ma sono assai più accentuati in vaste aree marginali, specialmente in montagna, nelle alte colline e nella bassa pianura, dove i cartelli “vendesi” appaiono su decine e decine di case vecchie e nuove.

Oltre certi limiti – in alcuni comuni e località già ampiamente superati – spopolamento e invecchiamento innescano circoli viziosi, perché i servizi alle famiglie abbandonano i luoghi dove non ci sono abbastanza utenti per renderli economicamente vantaggiosi, e di conseguenza anche le poche famiglie rimaste se ne vanno, inducendo nuove chiusure di servizi.

Per sostenere lo sviluppo, la sostenibilità demografica andrebbe perseguita con tenacia.

L’Alto Adige e altre regioni europee mostrano che il rapido invecchiamento e lo spopolamento non sono un destino. Vanno innescati duraturi e vivaci processi economici, in grado di garantire buoni posti di lavoro, per trattenere e attrarre i giovani. Finanziamenti appositi vanno previsti per i servizi nelle zone “a fallimento di mercato”.

Inoltre, mediante le opportune politiche fiscali e di conciliazione famiglia-lavoro, i giovani vanno aiutati a metter su famiglia, e le coppie ad avere i figli che desiderano.

Infine, le immigrazioni vanno incoraggiate, specialmente nei settori di carenza di manodopera, accompagnandole con efficaci politiche di integrazione e di semplificazione burocratica.

Insomma la demografia dovrebbe occupare un posto primario nell’agenda della politica, del sindacato e delle organizzazioni imprenditoriali. Un sano pragmatismo demografico dovrebbe prendere il posto delle sterili ideologie.

*Gianpiero Dalla Zuanna, 63 anni, nato a Camposampiero, è professore ordinario di Demografia nel Dipartimento di scienze statistiche dell’Università di Padova. È stato anche senatore della repubblica, dal 2013 al 2018, prima con la lista Scelta Civica per Monti e poi con il Pd.

Poi non si è più ricandidato al Parlamento. Prima di arrivare all’Università di Padova, ha insegnato negli atenei di Messina, Verona, Trieste e Sapienza di Roma.

Dal 2008 al 2011 è stato preside della facoltà di Scienze statistiche dell'Università di Padova. Ha pubblicato diversi saggi sociologici per Laterza (ultimo dei quali “La famiglia è in crisi. Falso!”) ed è collaboratore del nostro quotidiano.

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Il fattore-demografia al centro dell’agenda di un nuovo Nord Est

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30.11.2023

La demografia sta diventando una palla al piede per lo sviluppo economico e sociale del Nord Est (Veneto, Friuli-Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige)? La grande trasformazione demografica sembrò concludersi a metà degli Anni Settanta del Novecento, quando nascevano due figli per donna, la mortalità infantile e giovanile era quasi debellata, le emigrazioni verso l’estero erano cessate e non c’erano praticamente immigrazioni.

Rispetto a un secolo prima, la popolazione era molto cambiata: raddoppiata nel numero, più concentrata nelle città, nelle aree pianeggianti e costiere, meno sbilanciata verso le età giovanili, più istruita, più sana, meglio nutrita.

Con due figli per donna, migrazioni quasi nulle e speranza di vita attorno ai 70-75 anni, la struttura per età sarebbe rimasta stabile nel tempo: un numero alto e costante di giovani sembravano essere il “carburante” inesauribile per riaccendere il boom economico dei “trenta gloriosi” (1945-75).

Invece, inaspettatamente, nell’ultimo quarantennio la demografia è profondamente mutata.

Non sono mai nati più di 1,5 figli per donna; la mortalità è fortemente diminuita anche nella terza e nella quarta età; per la prima volta dopo millenni, il Nord Est ha attratto nuovi cittadini, tanto che oggi più del 10% dei residenti è di origine straniera.

Questi fatti straordinari hanno cambiato nel profondo la distribuzione per età e il numero degli........

© Il Mattino di Padova


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