«Imprenditore suicida ad Agrigento: figlia, l'odio social aizzato» (Ansa, 25.11.2023, ore 15.21)
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Sono giorni e giorni che mi risuonano in mente un nome ed un cognome: Alberto Re. Non riesco a dimenticarli. Perché sconvolge troppo la storia di quest'uomo siciliano, conosciuto e stimato nel campo teatreale e del cinema, colto e mite, generoso e sognatore, che si è sparato un colpo di pistola alla testa per non aver retto a critiche troppo velenose sui social.

Non stiamo parlando di un giovane, magari fragile e non in grado di sopportare un potente peso psicologico di tal tipo, o di mettere in moto le difese che pure sono possibili anche in un mondo svitato e con poche regole come queste. Dove la giustizia, se arriva, arriva sempre troppo tardi. A cose fatte. No, Alberto Re aveva 78 anni, era abituato nella sua qualità di imprenditore teatrale a subire le critiche, anche forti. Stavolta, però, non ce l'ha fatta davanti a quella immane violenza dei leoni da tastiera che, nascosti dietro un video, sputano sentenze, emettono giudizi, dileggiano, minacciano, distruggono l'altrui persona nella certezza della quasi impunità. Ha detto bene il prefetto di Agrigento, Filippo Romano: «Re è stato vittima di una campagna denigratoria nella quale la legittima critica politica e giornalistica ha travalicato i limiti dell'umanità».

Re era l'organizzatore di una delle rassegne culturali più importanti della splendida Agrigento, che nel 2025 potrà fregiarsi del titolo di “capitale della cultura". Ebbene il presunto flop alla prima del "Paladino d'oro - Sport Film Festival", con il teatro Pirandello completamente vuoto nella serata inaugurale riservata ai soli partecipanti, ha scatenato una campagna di critica che ben presto s'è risolto complessivamente una campagna d'odio, volta a delegittimare e distruggere la figura di quest'uomo. Che ora la sua famiglia difende con forza: «Alberto mai si è sottratto alla onestà intellettuale e sempre ha sorriso alle storture che possono capitare.

Fino a qualche giorno fa. Poi l'onta che sale e che scalfisce, che non arretra e che violenta verbalmente una persona, ha consumato il vero danno».

Ma se anche una persona saggia, serena e intelligente non regge ad una pressione del genere, significa che davvero si è passato il limite. Se Popper proponeva un "patentino" per fare tv, oggi nell'epoca del villaggio globale e della Rete, con uno strumento potentissimo e immediato come i social, s'impone un controllo molto più severo da parte delle società che gestiscono le piattaforme. Intelligenza, sensibilità umana ed algoritmi, intelligenza artificiale e principi inderogabili dovrebbero costruire un muro molto più efficace di quello che esiste ora. Tutto è possibile, qui sulla Rete, ed ora. D'accordo, tutto viaggia tutto alla velocità della luce, ma dovrà pur esserci un modo per evitare un condizionamento, della singola persona e delle famiglie, delle comunità fino agli Stati, e dunque alla democrazia. Non si può accettare una tale, pericolosa compromissione delle identità, delle dignità, delle decisioni.

Non è un problema da poco, non è un problema per pochi. Oggi la famiglia Re, ieri quelle dei tanti ragazzi suicidi perché insultati e bullizzati sui social. Quando si comprenderà che le esistenze non possono essere così liberamente e sempre più spesso deliberatamente, condizionate, coartate, danneggiate, violentate? Non c'è un attimo da perdere, mentre ciascuno di noi potrebbe iniziare a fare un esamino di coscienza per quel che scrive e, soprattutto, come lo scrive. Passare da cecchini a vittime? Credeteci, il passo è corto assai.
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«Gli scrittori devono mettere la propria faccia in ogni riga che scrivono. Scrivere è un martirio oppure non è niente. Per divertirsi e per divertire ci sono altre cose, forse». (Franco Arminio, “Cedi la strada agli alberi”)

QOSHE - Se le offese social uccidono a 78 anni - Aldo Balestra
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Se le offese social uccidono a 78 anni

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29.11.2023

«Imprenditore suicida ad Agrigento: figlia, l'odio social aizzato» (Ansa, 25.11.2023, ore 15.21)
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Sono giorni e giorni che mi risuonano in mente un nome ed un cognome: Alberto Re. Non riesco a dimenticarli. Perché sconvolge troppo la storia di quest'uomo siciliano, conosciuto e stimato nel campo teatreale e del cinema, colto e mite, generoso e sognatore, che si è sparato un colpo di pistola alla testa per non aver retto a critiche troppo velenose sui social.

Non stiamo parlando di un giovane, magari fragile e non in grado di sopportare un potente peso psicologico di tal tipo, o di mettere in moto le difese che pure sono possibili anche in un mondo svitato e con poche regole come queste. Dove la giustizia, se arriva, arriva sempre troppo tardi. A cose fatte. No, Alberto Re aveva 78 anni, era abituato nella sua qualità di imprenditore teatrale a subire le critiche, anche forti. Stavolta, però, non ce l'ha fatta davanti a quella immane violenza........

© Il Mattino


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