Sono bastate le due audizioni pubbliche del Procuratore Nazionale Antimafia Gianni Melillo e del Procuratore della Repubblica di Perugia Raffaele Cantone per spazzare via la cortina fumogena che già si levava intorno a questo scandalo dell’indecente traffico di dati sensibili emerso a seguito della denunzia del Ministro Crosetto. E forse -me lo auguro- per squarciare finalmente il velo sui rapporti tra giornalisti ed uffici giudiziari, forze di polizia e servizi segreti. La strumentale levata di scudi in nome di un presunto attacco alla libertà di stampa ed al diritto di cronaca, con l’annuncio allarmato e francamente grottesco dell’ennesimo “bavaglio” all’orizzonte, si è frantumata contro le inequivocabili parole dei due magistrati, che denunciano fatti “gravissimi”, certamente non imputabili alla solitaria iniziativa di un ufficiale infedele, e connotata da numeri -Cantone dixit- “mostruosi” (decine di migliaia di accessi, altro che 800!).

Vale a dire, per chi voglia mantenere un minimo di decente onestà intellettuale, un vero e proprio “sistema”, fondato su rapporti che possiamo correttamente definire “organici” tra giornalisti, magistrati e polizia giudiziaria. Insomma, l’esatto contrario di ciò che un giornalista, e segnatamente il cronista giudiziario, dovrebbe fare: cioè verificare la fondatezza, la correttezza e la legittimità delle inchieste portate avanti da quegli uffici giudiziari. Attività di verifica e di controllo pubblico che diventa ovviamente impossibile se quegli uffici sono la tua fonte notiziale primaria, per di più in una inesorabile reciprocità di interessi professionali e strategici. Se sei dentro quel sistema, essendone protagonista, istigatore e fruitore, non potrai che essere funzionale a quel sistema. Questa è la questione centrale che la vicenda pone -o meglio, dovrebbe porre- necessariamente al centro del dibattito: non il tema querulo e retorico della libertà di stampa, ma, semmai, come liberare la nostra vita pubblica dal diffuso malcostume di una stampa organicamente sinergica con il potere giudiziario e di polizia.

Ed è esattamente questa la storia ormai più che trentennale del rapporto tra media ed inquirenti, questa poderosa collateralità tra informazione, polizia giudiziaria e Uffici di Procura, che ha da tempo modificato il senso e la funzione della informazione giudiziaria, e conferito al potere della magistratura una forza invincibile, che ha squinternato il delicatissimo equilibrio tra i poteri dello Stato. È una caricatura del giornalismo di inchiesta quella di chi lo intenda come accesso privilegiato (e magari, appunto, illecito) a notizie fornite unilateralmente dagli inquirenti. Il giornalismo di inchiesta, quello vero, è merce rarissima. Per esempio, lo è l’ultima fatica del nuovo Direttore di questo giornale, Alessandro Barbano, “La Gogna”, nella quale egli ha passato al setaccio, in un lavoro analitico davvero improbo, tutto ciò che vi è da sapere sul caso Palamara, finendo per documentare e denunciare con largo anticipo ciò che proprio ora sembrerebbe voler emergere imperiosamente.

E cioè l’ennesima indagine consacrata a finalità ed obiettivi -in quel caso, la nomina del nuovo Procuratore capo di Roma- del tutto estranei alle ragioni formali di quell’azione penale, nata intorno ad un immaginario reato di corruzione, rapidamente evaporato come neve al sole, dopo avere però consentito agli inquirenti di ascoltare indisturbati, in quel delicatissimo contesto elettorale, le non gradite mosse del potente magistrato. Ebbene, in quella incredibile vicenda giudiziaria il ruolo organico, il collateralismo della stampa si conferma in tutta la sua spaventosa forza. Altro che bavaglio, altro che attentato alla libertà di stampa, altro che aggressione al diritto di cronaca! Capiremo molto presto la piega che saprà prendere l’indagine perugina, se cioè si vorrà davvero andare fino in fondo per scoperchiare questo “sistema”, svelando finalmente con chiarezza le dinamiche che in questo trentennio hanno pesantemente alterato gli equilibri democratici ed istituzionali del Paese.

Gian Domenico Caiazza

Avvocato

© Riproduzione riservata

QOSHE - Dossieraggio, squarciato il velo di Maya sul rapporto media-inquirenti: la caricatura del giornalismo d’inchiesta - Gian Domenico Caiazza
menu_open
Columnists Actual . Favourites . Archive
We use cookies to provide some features and experiences in QOSHE

More information  .  Close
Aa Aa Aa
- A +

Dossieraggio, squarciato il velo di Maya sul rapporto media-inquirenti: la caricatura del giornalismo d’inchiesta

22 1
12.03.2024

Sono bastate le due audizioni pubbliche del Procuratore Nazionale Antimafia Gianni Melillo e del Procuratore della Repubblica di Perugia Raffaele Cantone per spazzare via la cortina fumogena che già si levava intorno a questo scandalo dell’indecente traffico di dati sensibili emerso a seguito della denunzia del Ministro Crosetto. E forse -me lo auguro- per squarciare finalmente il velo sui rapporti tra giornalisti ed uffici giudiziari, forze di polizia e servizi segreti. La strumentale levata di scudi in nome di un presunto attacco alla libertà di stampa ed al diritto di cronaca, con l’annuncio allarmato e francamente grottesco dell’ennesimo “bavaglio” all’orizzonte, si è frantumata contro le inequivocabili parole dei due magistrati, che denunciano fatti “gravissimi”, certamente non imputabili alla solitaria iniziativa di un ufficiale infedele, e connotata da numeri -Cantone dixit- “mostruosi” (decine di migliaia di accessi, altro che 800!).

Vale a dire, per chi voglia mantenere un minimo di........

© Il Riformista


Get it on Google Play