La pineta, a Marina di Carrara, è quella davanti alla fiera Marmo Macchine. A quel tempo era la “pineta dei ragazzi” dove ci si scambiavano i primi baci, protetti dal buio, a una manciata di metri dal mare e dal centro. In quella pineta da poco hanno ripiantato gli alberi, rasi al suolo dall’ultima tempesta. Nel mio ricordo è ancora fitta, e buia. Erano le sei e mezzo di sera (il coprifuoco per me scattava alle 7, ogni fine settimana). Ricordo i miei pantaloni marroni e la giacca verde acqua che si infila dalla testa, che allora si usava tanto. Ricordo la Vespa dove ero seduta, con i piedi sopra i baulotti, in quella pineta umida.

Il primo schiaffone da un uomo l’ho preso lì. Avevo poco più di quindici anni, parlavamo di una partita di calcio, io ho fatto una battuta stupida, contro la Juventus.

Lo schiaffo, quando ti arriva, non te ne accorgi subito: solo quando atterra, è come qualcosa che ti cade, all’improvviso, in faccia. Non senti nemmeno il dolore, quello che ti brucia è dentro, non fuori. Quello è stato il primo di una lunga serie di schiaffoni presi da una persona che ora non è (quasi) nemmeno più nei miei ricordi. Per una battuta cretina sul calcio, quel giorno, per un paio di calzini con i semi delle carte, “troppo chiassosi”, un’altra volta. E ce ne sono state ancora.

Tutto questo appartiene al mio passato, sono passati tanti anni. Ma oggi, quella ragazzina che ero, in quella pineta, mi fa capire perché la storia di Giulia Cecchettin mi fa piangere, proprio piangere con le lacrime, non commuovere.

Eppure un po’ per il mio lavoro di giornalista, un po’ per tutto quello che accade, non è la prima donna che purtroppo viene uccisa. Ma questa volta per me è diverso. Sarà perché ricordo che, quella volta dopo la pineta, io non avevo detto niente alla mia mamma: avevo paura che magari lo chiamasse o lo fermasse per strada.

Lei parlava forte, parlava dritto, era forgiata da anni di bottega, e io avevo il terrore che magari gli dicesse qualcosa quando eravamo tutti sulle panchine, e mi facesse vergognare. Me, non lui. Pensate un po’ che testa si ha quando si è così giovani.

Io non ho figli quindi per qualcuno non potrei nemmeno parlare. Ma sono stata figlia e parlo alle figlie che sono tante. Mi piacerebbe dire loro di non tenerselo dentro. Di parlare, di dirlo subito alla mamma, ai genitori, a un’amica quando uno ti rifila uno schiaffo, anche, e soprattutto, se è solo per una cazzata. E mi piacerebbe spiegare alle figlie, ma un po’ a tutte noi, che sono loro, gli uomini, che devono smetterla. Che sono gli uomini che si devono vergognare. Non le mamme che parlano forte. Non le ragazzine che fanno le battute cretine. Non le donne.

QOSHE - Violenza sulle donne, il racconto: «Quel primo schiaffone a 15 anni e il mio consiglio: confidatevi subito» - Alessandra Vivoli
menu_open
Columnists Actual . Favourites . Archive
We use cookies to provide some features and experiences in QOSHE

More information  .  Close
Aa Aa Aa
- A +

Violenza sulle donne, il racconto: «Quel primo schiaffone a 15 anni e il mio consiglio: confidatevi subito»

10 16
19.11.2023

La pineta, a Marina di Carrara, è quella davanti alla fiera Marmo Macchine. A quel tempo era la “pineta dei ragazzi” dove ci si scambiavano i primi baci, protetti dal buio, a una manciata di metri dal mare e dal centro. In quella pineta da poco hanno ripiantato gli alberi, rasi al suolo dall’ultima tempesta. Nel mio ricordo è ancora fitta, e buia. Erano le sei e mezzo di sera (il coprifuoco per me scattava alle 7, ogni fine settimana). Ricordo i miei pantaloni marroni e la giacca verde acqua che si infila dalla testa, che allora si usava tanto. Ricordo la Vespa dove ero seduta, con i piedi sopra i baulotti, in quella pineta umida.

Il primo schiaffone da un uomo........

© Il Tirreno


Get it on Google Play