Le proteste degli agricoltori hanno varie motivazioni, diverse da zona a zona, ma una è comune a quasi tutti i contesti. È la micidiale instabilità dei prezzi dei prodotti agricoli, il cui andamento è sempre più slegato dalle dinamiche produttive e dalle condizioni della domanda e dell’offerta reali, dipendendo invece da dinamiche interamente finanziarie. La determinazione dei prezzi agricoli avviene in primis nelle grandi Borse merci del pianeta, in particolare in quelle di Chicago, di Parigi, di Londra e di Mumbai, che non sono istituzioni “pubbliche”, bensì realtà private i cui principali azionisti sono i più grandi fondi finanziari globali. A questo dato se ne aggiunge un altro, fondamentale. Soprattutto nelle Borse di Chicago, di Londra e di Parigi la stragrande maggioranza degli operatori non è costituita da produttori e compratori reali, quelli cioè che producono realmente il grano e quelli che lo comprano realmente, ma da grandi fondi finanziari e da fondi specializzati nel settore agricolo che, senza aver alcun contratto di compravendita dei beni, scommettono sull'andamento dei prezzi. E sono proprio soprattutto le scommesse a determinare i prezzi reali. Dunque all’origine delle instabilità dei prezzi si pongono gli strumenti finanziari generati da questi fondi “scommettitori”, i quali sono anche i “proprietari” delle Borse stesse. Non hanno nulla a che fare con la produzione e il commercio reali dei beni agricoli scambiati, ma sono i principali player di prezzo. La finanziarizzazione dei processi di determinazione dei prezzi di beni agricoli presenta poi altri elementi sconcertanti. Nelle Borse, a fronte di tanti fondi finanziari, ci sono pochi produttori. Ma i produttori chi sono? Nel caso dei cereali, si tratta di quattro grandi società, due delle quali sono possedute dai grandi fondi, i medesimi operatori finanziari nelle Borse merci di Parigi, Londra e Chicago. L’intera dinamica della formazione dei prezzi agricoli, su cui incidono assai poco le retribuzioni del lavoro contadino, strutturalmente molto basse, risulta pertanto nelle mani di colossi finanziari che controllano Borse, scommesse e produzione: un gigantesco monopolio mondiale rispetto a cui ogni altra variabile, persino quella dell’offerta complessiva di beni agricoli, appare decisamente secondaria. Del resto, i fondi hanno in mano anche il complesso del settore alimentare. Il processo di concentrazione ha ancora ulteriori risvolti. I terreni agricoli degli Stati Uniti sono circa 900 milioni di acri; di questi una trentina sono nelle mani di una ristretta cerchia di grandi finanzieri che li hanno comprati non certo per interessi agricoli. Hanno acquistato queste sterminate pianure perché il prezzo della terra, negli Usa è cresciuto tra il 2021 e il 2022 del 34%. È un aumento trascinato dalla lievitazione dei prezzi dei cereali, a loro volta infiammati dalla speculazione dei titoli derivati sui cereali stessi. La finanza sta monopolizzando la già monopolistica agricoltura americana consegnando ad un club di ultramiliardari la determinazione dei prezzi mondiali.

*Università di Pisa

QOSHE - Quando il cibo è una questione di finanza - Alessandro Volpi
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Quando il cibo è una questione di finanza

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31.01.2024

Le proteste degli agricoltori hanno varie motivazioni, diverse da zona a zona, ma una è comune a quasi tutti i contesti. È la micidiale instabilità dei prezzi dei prodotti agricoli, il cui andamento è sempre più slegato dalle dinamiche produttive e dalle condizioni della domanda e dell’offerta reali, dipendendo invece da dinamiche interamente finanziarie. La determinazione dei prezzi agricoli avviene in primis nelle grandi Borse merci del pianeta, in particolare in quelle di Chicago, di Parigi, di Londra e di Mumbai, che non sono istituzioni “pubbliche”, bensì realtà private i cui principali azionisti sono i più grandi fondi finanziari globali. A questo dato se ne aggiunge un altro, fondamentale. Soprattutto nelle Borse di Chicago, di Londra e di Parigi la........

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