Ci accoglie con il suo impeccabile e smagliante sorriso nella sua casa-biblioteca di via Maffia, nel quartiere fiorentino di Santo Spirito. Quel sorriso che non riponeva mai nemmeno quando il pezzo che ti aveva chiesto per le pagine fuori cronaca “non girava”, “non suonava a dovere”. Sandra Bonsanti, figlia dell’ex sindaco repubblicano di Firenze Alessandro, è legata a doppio filo con Il Tirreno, quotidiano di cui è stata direttore per otto anni (dal 1996 al 2004). Il giornalismo e la passione da cronista sono sempre stati la sua inossidabile bussola. Prima di approdare al giornale di viale Alfieri a Livorno, era già stata una delle firme più prestigiose de la Repubblica di Eugenio Scalfari, sulle cui colonne ha raccontato i più grandi misteri italiani, da Licio Gelli a Roberto Calvi, alle stragi di mafia, a cui poi ha dedicato anche diversi libri.

Direttore Bonsanti, proviamo a riavvolgere il nastro. Torniamo al 1996, alla chiamata di Carlo Caracciolo e Carlo De Benedetti (allora ai vertici del Gruppo Editoriale l’Espresso) per la direzione del Tirreno. Come reagisti?
«Benissimo. E feci bene, perché con il senno di poi in quell’anno si aprì uno dei periodi più belli e più fecondi della mia storia professionale. Ero deputata (nel 1994 fu eletta alla Camera per la coalizione dei Progressisti nel collegio uninominale di Firenze 2 con oltre il 53% dei voti, nda) ma non esitai nemmeno un attimo a rinunciare alla ricandidatura e ad accettare la direzione del Tirreno. Inizialmente mi ricordo che quella notizia destò un po’ di scalpore, sia perché ero una donna, sia perché dopo poco tempo scoprirono che ero nata a Pisa (scoppia in una fragorosa risata, nda). Mi accolsero comunque molto bene, anche perché contribuii insieme a tutta la compagine giornalistica a fissare delle regole deontologiche molto precise, soprattutto per quanto riguardava la cronaca nera. Anche perché era scontato che mi portassi dietro il mio bagaglio di esperienza e conoscenze, visto che precedentemente al mio arrivo al Tirreno mi ero occupata, insieme al collega Angelo Agostini, della stesura della Carta dei doveri del giornalista».

La professione di giornalista sta proprio finendo. Ci sono delle speranze?
«Indubbiamente non sono più i tempi della sottoscritta direttore. Ora i giornali in generale, compresi quelli locali, stanno attraversando una fase molto complicata. C’è meno lavoro per tutti, i quotidiani stanno soffrendo parecchio. Personalmente, però, non ce la faccio a stare senza leggere i giornali locali. Quando in estate mi sposto a Porto Ercole Il Tirreno me lo godo ancora di più. È il primo che sfoglio. Onestamente non so come avrei potuto fare senza il giornalismo nella mia vita. L’ho amato moltissimo e mi piaceva anche dare delle indicazioni ai più giovani (compreso tu quando decisi di assumerti, si lascia andare a un’altra risata, nda), come quella di non limitarsi mai esclusivamente alle dichiarazioni ufficiali. Anzi, il mio consiglio era sempre quello di metterle da parte utilizzandole solo come spunto di partenza. La pensava così anche il mio vice direttore di allora, il compianto Nino Sofia. Quando mi ritrovai a dirigere Il Tirreno ero abituata a scrivere su un giornale, non a farlo. Nino, invece, oltre che essere una grande penna, lo sapeva fare, sostenuto da una sicurezza eccezionale».

Inoltriamoci per un momento nella politica, soprattutto fiorentina. Siamo alla vigilia di un’ulteriore debacle per Pd e dintorni?
«Il problema è sempre lo stesso, ossia le divisioni che avvelenano lo schieramento di centrosinistra. In questo momento sto seguendo l’avventura di Tomaso Montanari. La nascita del suo movimento ha fatto arrabbiare, ma, ormai si sa, nel Pd si arrabbiano per poco... Perdere Firenze e la Regione sarebbe un’autentica disfatta, e lo dice in questo momento la figlia di un sindaco di Firenze. Mi dispiacerebbe tanto che succedesse, ma certi errori sono stati commessi, è indiscutibile. Firenze è un po’ una Disneyland per turisti, dove si compra e si mangia in negozi tutti uguali tra loro. Il turista può essere a Milano o in via Tornabuoni a Firenze, è la stessa cosa, non cambia nulla. Dal negozio con lo stesso marchio esce con lo stesso prodotto con lo stesso logo».

In occasione del Giorno della Memoria sei stata ospite del liceo Michelangiolo a Firenze. Cos’hai raccontato ai ragazzi?
«Ho raccontato loro quello che volevano sapere. Perché, per fortuna, ho trovato studenti curiosi e sensibili. Mi sono aperta rispolverando le memorie di me bambina figlia di una mamma ebrea e impossibilitata, per questo, ad andare a scuola fino alla quinta elementare. A quell’epoca, stavo a Fiesole, mentre mia madre se ne stava nascosta a Firenze, qui in via Maffia, dove sono venuta poi ad abitare io. I casi della vita...».

Che consiglio ti senti di dare a un direttore di giornale nominato da poche ore?
«Quello che provai un giorno in ospedale a Grosseto. Una signora che si trovava lì con la madre anziana per una visita mi vide ed esclamò a voce alta: “La nostra Bonsanti!!!”. Ecco, in quel momento capii che le radici del Tirreno si erano irrobustite nella comunità. L’augurio è quello di annaffiarle e coltivarle ogni giorno».

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Sandra Bonsanti, Il Tirreno e quella chiamata nel 1996: «L'onore di dirigere un giornale diventato comunità e la scelta di assumere... il futuro direttore»

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02.02.2024

Ci accoglie con il suo impeccabile e smagliante sorriso nella sua casa-biblioteca di via Maffia, nel quartiere fiorentino di Santo Spirito. Quel sorriso che non riponeva mai nemmeno quando il pezzo che ti aveva chiesto per le pagine fuori cronaca “non girava”, “non suonava a dovere”. Sandra Bonsanti, figlia dell’ex sindaco repubblicano di Firenze Alessandro, è legata a doppio filo con Il Tirreno, quotidiano di cui è stata direttore per otto anni (dal 1996 al 2004). Il giornalismo e la passione da cronista sono sempre stati la sua inossidabile bussola. Prima di approdare al giornale di viale Alfieri a Livorno, era già stata una delle firme più prestigiose de la Repubblica di Eugenio Scalfari, sulle cui colonne ha raccontato i più grandi misteri italiani, da Licio Gelli a Roberto Calvi, alle stragi di mafia, a cui poi ha dedicato anche diversi libri.

Direttore Bonsanti, proviamo a riavvolgere il nastro. Torniamo al 1996, alla chiamata di Carlo Caracciolo e Carlo De Benedetti (allora ai vertici del Gruppo Editoriale l’Espresso) per la direzione del Tirreno. Come reagisti?
«Benissimo. E feci bene, perché con il senno di poi in quell’anno si aprì uno dei periodi più belli e più fecondi della mia storia professionale. Ero deputata (nel 1994 fu eletta alla Camera per la........

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