Se abbiamo sdoganato il saluto romano, prima o poi sdoganeremo definitivamente anche i “buu” razzisti nel calcio. Se il primo non significa per forza voler ricostituire il partito fascista, e sia così tollerato per un’adunata di camerati, un coro di “buu” a un giocatore di colore non significherà mica mettersi il cappuccio del Ku Klux Klan e andare a caccia di neri no?

Sono entrambe “libere” e “innocue” manifestazioni del pensiero tutto sommato. Ha ragione Mike Maignan, siamo tutti complici e colpevoli. Che poi è la stessa cosa, significa avere una parte di responsabilità anche in episodi che la maggior parte delle volte ci appaiono lontani e quasi sempre nemmeno degni di una nota in cronaca. Un fatto tutto sommato ormai ordinario, il “buu” razzista, e da annotare come i calci d’angolo, questo è il problema. Salvo poi gli episodi che fanno eccezione per la ribellione delle vittime.

Possiamo star sicuri di un fatto, se Maignan a un certo punto non fosse stato stanco di sentirsi fare il verso della scimmia, Udinese-Milan non si sarebbe interrotta e si sarebbe andati avanti. Perché quella è la logica del sistema, assorbire il razzismo come una spugna, non neutralizzarlo, allontanarlo, sradicarlo totalmente dal calcio, ma attenuarne gli effetti, se possibile, e soprattutto non fargli fermare lo spettacolo. Solo la forzatura di Maignan e del Milan ha generato un impeto di giusta ribellione che ora ci appare sorprendente e clamoroso. Fateci caso, parliamo più della reazione di Maignan e del Milan che se ne tornano comprensibilmente furiosi negli spogliatoi, che della gravità di una curva che balla un sabba razzista e fa versi di scimmia al portiere avversario.

C’è già un pericoloso e disgustoso tasso di innalzamento di razzismo nella nostra vita ordinaria. Ora la colpa è quella di aver cominciato a fare l’abitudine al razzismo nel calcio, il prenderne atto come condizione aberrante ormai radicata nel costume delle curve e delle tifoserie, un cancro con cui bisogna convivere per l’impossibilità di combatterlo fino in fondo. Un fatto condannabile certo, che suscita indignazione, ma che comunque non deve mai diventare ostativo o addirittura incompatibile col calcio stesso.

Di fatto col razzismo il calcio si è rassegnato a convivere, per opportunismo e per convenienza. Se non ti posso sconfiggere, ti assorbo. E accetto che un pezzo di sport sia abbandonato all’inciviltà e all’abiezione.

Lo stesso circo di distinguo che segue ogni episodio – diciamo da Balotelli in poi – ha ridotto il problema a cavillo. Sono tanti o sono pochi quelli che fanno “buu”? Lo fanno perché sono razzisti o semplicemente perché vogliono far saltare i nervi di un avversario? Come si fa a sostenere che sono razzisti se nella propria stessa squadra (in questo caso l’Udinese) i giocatori di colore sono molti? E poi perché dare tanto risalto a questa gente che cerca solo il protagonismo e la forza di incidere con qualsiasi mezzo su una partita? Non è meglio sorvolare? Esemplari in questo senso le dichiarazioni di Cioffi, tecnico dell’Udinese.

Sulla base di tutto questo si è cominciato progressivamente ad annacquare le norme e a sganciare la responsabilità dei club da quella dei propri stessi tifosi.

Si è pian piano derogato all’incompatibilità assoluta, e cioè all’assunto che non c’è calcio e non c’è sport lì dove c’è razzismo, sopruso, sopraffazione, violenza. L’arretramento delle norme e delle responsabilità ha ridotto gli episodi di razzismo a inconveniente da cartellino giallo, da multa. Al massimo chiusura della curva dopo ripetuti episodi, interruzione della partita mai.

È difficile risalire all’origine di tutto questo, ma una data e un fatto cardine ce l’abbiamo. 27 novembre 2005, Messina-Inter, con Marc André Zoro bersagliato dai fischi e dai “buu” razzisti dei tifosi interisti. L’ivoriano prese il pallone in mano e fece per andarsene. Seguirono dibattito e indignazione, sembrava aver raggiunto già il fondo.

Di fatto 19 anni dopo siamo sempre allo stesso punto, troppi giocatori da Balotelli a Eto’o, da Muntari a Boateng, da Omolade a Koulibaly il copione è stato sempre il solito. Fino a creare assuefazione e a considerare gli episodi come un qualunque evento disciplinare.

Quasi ogni domenica Lukaku prende insulti, nell’ultimo derby la bolgia razzista è stata talmente selvaggia da costringere il giudice sportivo a chiudere curva e tribuna della Lazio.

E anzi in questo caso un certo pugno duro c’è stato. E non è solo questione di pelle, il razzismo è multiforme e spregevole nella sua stessa mutazione. Anche Vlahovic è soggetto spesso al coro “zingaro” pronunciato in senso di disprezzo. E lui assorbe e incassa fin troppo…

Già da domani il caso Maignan entrerà in archivio, come le centinaia di altri casi che lo hanno preceduto. Il razzismo ci avrà fatto discutere un po’, ma nessuno lo ha sconfitto. Anzi…




QOSHE - Come te nessuno Mike, Maignan primo giocatore a lasciare il campo dopo i “buu”. Ma il sistema non reagisce al razzismo - Fabrizio Bocca
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Come te nessuno Mike, Maignan primo giocatore a lasciare il campo dopo i “buu”. Ma il sistema non reagisce al razzismo

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22.01.2024

Se abbiamo sdoganato il saluto romano, prima o poi sdoganeremo definitivamente anche i “buu” razzisti nel calcio. Se il primo non significa per forza voler ricostituire il partito fascista, e sia così tollerato per un’adunata di camerati, un coro di “buu” a un giocatore di colore non significherà mica mettersi il cappuccio del Ku Klux Klan e andare a caccia di neri no?

Sono entrambe “libere” e “innocue” manifestazioni del pensiero tutto sommato. Ha ragione Mike Maignan, siamo tutti complici e colpevoli. Che poi è la stessa cosa, significa avere una parte di responsabilità anche in episodi che la maggior parte delle volte ci appaiono lontani e quasi sempre nemmeno degni di una nota in cronaca. Un fatto tutto sommato ormai ordinario, il “buu” razzista, e da annotare come i calci d’angolo, questo è il problema. Salvo poi gli episodi che fanno eccezione per la ribellione delle vittime.

Possiamo star sicuri di un fatto, se Maignan a un certo punto non fosse stato stanco di sentirsi fare il verso della scimmia, Udinese-Milan non si sarebbe interrotta e si sarebbe andati avanti. Perché quella è la logica del sistema, assorbire il razzismo come una spugna, non neutralizzarlo, allontanarlo, sradicarlo totalmente dal calcio, ma........

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