«Il prossimo lo tiro io». Più che un grido di rivincita è un anatema, una minaccia. I rigori di Jorginho non devono diventare un incubo, però intanto sono una malvagia persecuzione e un certo disagio lo mettono. Quando lui si presenta sul dischetto si sente lo stadio che mormora: oh mamma, lo tira lui… Vogliamo fargli fare altri danni? Vogliamo offrire l’altra guancia, anche se le guance sono finite? Non sono sufficienti 4 rigori sbagliati e un mondiale mancato? Il politically correct ha invaso ormai anche il calcio e dunque avanti imperterriti fino a quando l’azzurro finalmente non ne avrà azzeccato uno e avrà così scacciato l’ossessione che lo perseguita. Lui e noi. Orgoglio, solidarietà, sostegno, amicizia, fratellanza, non c’è partita con i buoni sentimenti. «Andiamo avanti così, facciamoci del male», direbbe Nanni Moretti.

In ogni caso tranquilli, potrebbe andare peggio. Potrebbe ad esempio sbagliarne due in una partita e finora per fortuna non è successo, come ad altri invece sì. Altobelli infatti ne sbagliò due contro Malta, nella qualificazione agli Europei ’88. Anche se la doppietta maledetta più nota rimane sempre quella di Beccalossi contro lo Slovan Bratislava nella Coppa Coppe ’82. Diventato poi un esilarante monologo di Paolo Rossi, l’attore milanese interista: “Mi chiamo Evaristo, scusate se insisto”. Il clou, Beccalossi che dopo aver sbagliato il primo rigore si avventa sul pallone per il secondo e sfida con lo sguardo San Siro: “Lo tiro io!”. E lo stadio risponde: “Nooo! Puttana Eva!” E ovviamente sbaglia.

Non siamo certo al cabaret né al top mondiale del ridicolo che fu raggiunto forse da Martin Palermo, l’attaccante della nazionale Argentina che in Coppa America contro la Colombia nel 1999 ne sbagliò addirittura tre: il primo scheggia la traversa, il secondo va altissimo, il terzo lo spara proprio tra le braccia del portiere. Da quel momento lo chiameranno El Loco.

O sei Totti e gli fai “il cucchiaio” oppure rischi di fare un disastro. Da Zaza (il rigore danzato e sbagliato contro la Germania agli Europei 2016) a Jorginho, c’è chi sul dischetto mette addirittura la coreografia, un inutile e deleterio surplus di “famolo strano”. Il rigore è un gesto tecnico, non bisogna ovviamente condannare o infierire su chi li fallisce, ma non può mai diventare uno “questione personale”. E si sbaglia nel consentirlo. La stessa esecuzione di Jorginho, con quel buffo e ridicolo saltello prima del tiro che ne ha fiaccato la potenza e inficiato la mira, è il sintomo di un calciatore che sul dischetto ha perso la serenità e pensa di giocarcisi sopra addirittura la carriera. Così non è, l’ossessione non è una buona compagna e alla fine ne fai pagare il prezzo all’intera squadra. Compagni e pubblico perdonano un errore normale, ma nessuno è lì per risolvere tabù freudiani. Calciare un rigore in maniera normale o anche farlo tirare a un altro, non è una sconfitta, è semplicemente calcio.

Detto questo: chi andrà sul dischetto se contro l’Ucraina, decisiva per la qualificazione , ci sarà di nuovo un rigore? Mica Jorginho vero?


Il rogo

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Gli undici metri di Jorginho fra cabaret e tabù freudiani

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19.11.2023

«Il prossimo lo tiro io». Più che un grido di rivincita è un anatema, una minaccia. I rigori di Jorginho non devono diventare un incubo, però intanto sono una malvagia persecuzione e un certo disagio lo mettono. Quando lui si presenta sul dischetto si sente lo stadio che mormora: oh mamma, lo tira lui… Vogliamo fargli fare altri danni? Vogliamo offrire l’altra guancia, anche se le guance sono finite? Non sono sufficienti 4 rigori sbagliati e un mondiale mancato? Il politically correct ha invaso ormai anche il calcio e dunque avanti imperterriti fino a quando l’azzurro finalmente non ne avrà azzeccato uno e avrà così scacciato l’ossessione che lo perseguita. Lui e noi. Orgoglio, solidarietà, sostegno, amicizia, fratellanza, non c’è partita con i buoni sentimenti. «Andiamo........

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