Pochi minuti dopo la sentenza della Corte di Giustizia Europea che rovesciava il grande circo del football così come lo conosciamo oggi, Berndt Reichart, intraprendente manager tedesco, Ceo di A22 e della Superlega, pronunciava queste fatidiche parole “Il calcio è libero”. Manco fosse Martin Luther King (“I have a dream…”) e non piuttosto il dirigente di una società privata i cui azionisti sono Real Madrid e Barcellona, e in cui è sopravvissuto finora l’embrione della famigerata Super lega. Ossia una colossale macchina da soldi niente affatto differente, come finalità, dalla Uefa stessa, il cui monopolio è stato ora abbattuto a suon di ricorsi di avvocati e commercialisti dei più importanti studi d’Europa.

Subito dopo gli rispondeva il sultano dell’Uefa Ceferin affermando solennemente che “il calcio non è vendita”. Manco fosse invece Demostene. Insomma, dovendosi affrontare via social e via tv davanti a una platea di qualche centinaio di milioni di tifosi perplessi e disorientati, si cerca di ammantare di idealismo quella che è una gigantesca guerra commerciale di controllo delle leve e soprattutto della cassaforte del calcio europeo.

Tanto per farsi un’idea, una Champions League o una Super League valgono oggi almeno 5 miliardi di euro all’anno, il 70% dei quali possono fluire nelle casse dei club partecipanti. La questione è tutta sul come farlo, sul chi vi partecipi e soprattutto su chi abbia diritto di aprire il botteghino dove confluiscono incassi, diritti tv, marketing, i business più disparati e perfino l’infinitesima percentuale dell’hot dog e della birra che vi fate quando andate in tribuna a San Siro a soffrire per Inter-Real Sociedad o al Maradona per Napoli-Braga. O anche solo vi sdraiate sul divano davanti alla vostra tv. Al centro di questa storia non c’è un pallone bensì il simbolo sempre tondo dell’euro, ossia la moneta che governa l’Europa. Aggiorniamoci, non stiamo parlando di calcio ma di alta finanza.

Non è una constatazione populista o naif, è proprio la sentenza che lo dice. “L’organizzazione delle competizioni internazionali e l’intermediazione dei diritti è, evidentemente, un’attività economica. Che deve essere resa compatibile con le regole della competizione e il rispetto della liberà di movimento”.

Insomma non possono esistere regole di settore, del calcio quindi, che comprimano i diritti dell’attività economica. Pur con tutti i distinguo possibili è un “tana libera tutti”, il diritto sportivo che si piega a quello commerciale. E da lì tutto cade di conseguenza.

L’Uefa fa dunque abuso della propria posizione dominante, non può essere al tempo stesso organizzatore, cassiere e sanzionatore di chi partecipa o al contrario non partecipa ai suoi tornei. Non ha insomma la facoltà di limitare il diritto altrui di organizzare Coppe alternative, anche se concorrenti di Champions, Europa e Conference League, né tantomeno sanzionare.

La grande differenza è che la Super League originaria era l’esaltazione della casta.

Il diritto divino di partecipare solo perché ti chiami Real o Barcellona. Quella Super League lì si è dissolta in una notte e adesso è sostanzialmente una scatola quasi del tutto vuota, piena di progetti e promesse di ricchezza.

Per quanto la formula della nuova Super League sia stata estesa e resa più democratica, Ceferin e l’Uefa l’accusano di essere ancora casta e di non garantire una qualificazione al torneo partendo dai campionati nazionali.

La sentenza, dirompente come la Bosman, è divisiva ovviamente.

Per esempio, qui da noi, l’Inter sta con l’Uefa e il Napoli si dice disposto ad aderire alla Super League.

Ma l’organizzazione è enorme e complessa. Tanto per dire, come si fa con arbitri e Var: sono dell’Uefa ma arbitrano in Super League? Essendo l’Eca (la Lega dei club europei) interamente dalla parte dell’Uefa, essendo la Super League per ora solo una pistola scarica, e soprattutto con una nuova Champions sempre più ricca alle porte, impossibile che il calcio europeo si ribalti subito.

Senza contare che un’Europa spaccata è soprattutto un grande favore all’Arabia Saudita che è quella che di soldi ne ha più di tutti e scrupoli ancor meno. Ci saranno un anno o due di trattative e compromessi, poi si comincerà a vedere altro.

Sempre più obeso e consapevolmente schiavo e drogato dai soldi il calcio sopravvivrà.

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QOSHE - Questo non è calcio: è alta finanza - Fabrizio Bocca
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Questo non è calcio: è alta finanza

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22.12.2023

Pochi minuti dopo la sentenza della Corte di Giustizia Europea che rovesciava il grande circo del football così come lo conosciamo oggi, Berndt Reichart, intraprendente manager tedesco, Ceo di A22 e della Superlega, pronunciava queste fatidiche parole “Il calcio è libero”. Manco fosse Martin Luther King (“I have a dream…”) e non piuttosto il dirigente di una società privata i cui azionisti sono Real Madrid e Barcellona, e in cui è sopravvissuto finora l’embrione della famigerata Super lega. Ossia una colossale macchina da soldi niente affatto differente, come finalità, dalla Uefa stessa, il cui monopolio è stato ora abbattuto a suon di ricorsi di avvocati e commercialisti dei più importanti studi d’Europa.

Subito dopo gli rispondeva il sultano dell’Uefa Ceferin affermando solennemente che “il calcio non è vendita”. Manco fosse invece Demostene. Insomma, dovendosi affrontare via social e via tv davanti a una platea di qualche centinaio di milioni di tifosi perplessi e disorientati, si cerca di ammantare di idealismo quella che è una gigantesca guerra commerciale di controllo delle leve e........

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