LIVORNO. Venticinque anni fa c’era il riso sulla piazza davanti alla chiesa di San Jacopo, a Vicarello, paese diviso da una strada che separa la provincia di Livorno da quella di Pisa. Nella foto ricordo ci sono l’abito bianco di Simona Mattolini e il sorriso di Luigi Coclite, arrivato dalla provincia di Teramo in vacanza e rimasto qui per sempre. Per amore di quella ragazza che gli aveva fatto girare la testa. C’era un paese in festa che assisteva alla nascita di un sogno che oggi ha i lineamenti di Lucrezia e Alessio, i figli della coppia.

Lo ricorda bene, nel giorno del dolore, don Roberto Canale, parroco che nel 1999 ha celebrato quel matrimonio e che la vedova ha pregato di tornare in paese per l’ultimo saluto al marito, morto di lavoro a 59 anni nella strage di Firenze, travolto dal cemento nel cantiere dell’Esselunga con altri quattro colleghi. «Ricordo – dice dal pulpito – quelle due ragazzine, Simona e Katia, che si erano invaghite di Roberto e Luigi. Luigi sempre con la battuta pronta, con quel sorriso contagioso. Con quel sorriso al quale vogliamo pensare».

Ci sono duemila occhi lucidi, dietro occhiali scuri, ad accompagnare il feretro fino all’ingresso della chiesa. Facce livide con il vestito buono per salutare un amico: partito da qui e mai tornato. Ma è un dolore talmente grande, profondo, che non riesce a stare dentro a questa navata troppo piccola. Così tanti singhiozzi restano fuori. Come le parole non dette, quelle pronunciate dagli amici di Luigi che raccontano di quel «cantiere pericoloso», di quella volta in cui Luigi ha detto al figlio di un collega di «non fare quel lavoro».

Suonano le campane. Il tempo si ferma. L’omelia di don Roberto è un inno alla speranza, ma anche un monito verso chi dice sempre basta alle morti sul lavoro quando c’è già un’altra croce da piantare. «Perché l’amore – ripete citando il vangelo di Giovanni – è più forte della morte. Dunque queste parole saranno tutte rivolte all’amore, senza trascinarle nella rabbia e nello sgomento. Ecco perché non dirò una parola sulLa tragedia». Una pausa. Poi il passaggio più politico dell’omelia. Uno schiaffo al qualunquismo. «Se è vero come dicono le statistiche che ogni anno mille persone muoiono sul lavoro, questa è una strage che dovrebbe interrogare chi si occupa di tutela del lavoro. Perché è evidente che non possono essere mille incidenti, allora qualcuno dovrebbe prendersi la responsabilità di chiamarli omicidi sul lavoro». Sarebbe già un inizio. Don Roberto prova anche a dare una speranza a chi guarda nel vuoto pensando a domani. «Quando viene a mancare una persona si dice che si viene a creare un vuoto, non è così. Dobbiamo pensare ai pieni, a ciò che ci lascia: immagini, ricordi, parole. Un pieno che dobbiamo custodire. Perché ognuno è un dono e ogni persona che si è innescata nella nostra vita è per sempre. Chi potrà mai separarci dall’amore? Niente. Perché chi muore non ci lascia, si trasferisce soltanto nell’altra stanza».

Il salotto dei buoni sentimenti per molti si è svuotato venerdì scorso. Come racconta un collega dell’operaio: «Oggi – dice – siamo qui per te Luigi, una di quelle persone in grado di metterti subito di buon umore. Non tutti sanno che lo chiamavamo Leone. “Ci penso io, diceva”. Al mondo – conclude trattenendo le lacrime – servono più persone come Luigi. Ciao Leone». Simona ascolta, si alza e si avvicina al microfono guardando i figli. «Non so – è la premessa – se riuscirò a parlare. Ma voglio ringraziare tutti, la vostra presenza qui oggi significa che qualcosa di buono lo abbiamo seminato se siete così tanti qui dentro». Silenzio. Applausi. È un nuovo matrimonio tra una famiglia che piange dal dolore e una comunità che la abbraccia in attesa di giustizia.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

QOSHE - Morto nel cantiere Esselunga, il funerale nella chiesa 25 anni dopo il matrimonio - Federico Lazzotti
menu_open
Columnists Actual . Favourites . Archive
We use cookies to provide some features and experiences in QOSHE

More information  .  Close
Aa Aa Aa
- A +

Morto nel cantiere Esselunga, il funerale nella chiesa 25 anni dopo il matrimonio

9 0
25.02.2024

LIVORNO. Venticinque anni fa c’era il riso sulla piazza davanti alla chiesa di San Jacopo, a Vicarello, paese diviso da una strada che separa la provincia di Livorno da quella di Pisa. Nella foto ricordo ci sono l’abito bianco di Simona Mattolini e il sorriso di Luigi Coclite, arrivato dalla provincia di Teramo in vacanza e rimasto qui per sempre. Per amore di quella ragazza che gli aveva fatto girare la testa. C’era un paese in festa che assisteva alla nascita di un sogno che oggi ha i lineamenti di Lucrezia e Alessio, i figli della coppia.

Lo ricorda bene, nel giorno del dolore, don Roberto Canale, parroco che nel 1999 ha celebrato quel matrimonio e che la vedova ha pregato di tornare in paese per l’ultimo saluto al marito, morto di lavoro a 59 anni nella strage di Firenze, travolto dal cemento nel cantiere dell’Esselunga con altri quattro colleghi. «Ricordo – dice dal pulpito – quelle due ragazzine, Simona e Katia, che si........

© Il Tirreno


Get it on Google Play