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LIVORNO. Un negozio, Emma, che affonda le proprie radici in via Ricasoli nel medesimo punto, sempre lo stesso, in cui fino alla vigilia di Natale del 2023, ultimo giorno di apertura, l’abbiamo conosciuto. È un’altra pagina della Livorno che fu e che va negli archivi della storia a causa di una quarta generazione arrivata al momento di dire basta, senza avere nessuno nel frattempo pronto a raccogliere il testimone.

Era l’alba degli anni ‘20, il socialista Mondolfi fu eletto sindaco, Amedeo Modigliani moriva a Parigi e un giovane Galliano Masini debuttava come tenore in “Lodoletta” di un Pietro Mascagni ormai famoso nel mondo. Livorno era un florilegio di fabbriche dove lavoravano operai per portare il pane a casa, ma anche di numerosi alberghi e un turismo d’élite. Si perdeva il conto delle laboriose attività e tante erano le famiglie benestanti. Fu così che la signora Cesira Cioni, bisnonna delle sorelle Luciana ed Emma Bianucci, decise di darsi al commercio, dedicando la ragione sociale al nome di sua figlia, Emma, intuendo che il periodo era favorevole per aprir bottega ed esaudire il desiderio di tutte quelle signore che avessero sentito necessità di indossare un elegante cappello. Era ancora l’onda lunga della “Belle Époque”, con le invenzioni e i progressi della tecnica e della scienza.

I benefici di queste scoperte portarono per qualcuno standard di vita notevoli e a miglioramenti sociali: l’illuminazione, la radio, l’auto e il cinema: che proprio qui, a Livorno, nell’ormai scomparso “Cinematografo Artistico” il 16 settembre 1905 con “La presa di Roma” si vide proiettato il primo film in Italia. Via Ricasoli, una strada più o meno come oggi, o forse no. Con la campana del vetturino che avvertiva il passaggio del tram, qualche macchina, e molte persone a passeggio. A metà del marciapiede sinistro, lasciandosi la piazza Cavour alle spalle, le porte in legno di “Emma”, rimaste fino all’ultimo così com’erano state concepite, si aprivano “a libro” e si sono aperte ogni mattina per tanti anni. Dove un tempo si poteva trovare un cappello piccolo, generalmente in lana cotta, la cui forma si sposava perfettamente a tagli di capelli molto corti e netti. Un look in generale attraente ma allo stesso tempo un po’ “garçonne”. Il laboratorio di modelliste che era sul retro del punto vendita che si affacciava su una delle vie più eleganti, era in fermento e le proposte delle varianti da proporre, erano continue. E poi, a quell’epoca, le signore, come si compravano un vestito, cercavano un copricapo da abbinarci.

Poi arrivò la guerra e la chiusura. Per riaprire dopo gli eventi bellici, sempre al solito posto. E la necessità colta al volo, dettata da una società che chiedeva cambiamenti. Partì così l’abbigliamento e gli accessori uomo-donna (negli ultimi tempi soprattutto donna), facendo pagare al cliente la qualità, ma non la marca “acchiappa citrulli”. Un negozio con clientela affezionata e consapevole. Roba buona, senza fronzoli. Lo sapevano bene Alberto Sordi o Marcello Mastroianni nei periodi delle frequentazioni di Castiglioncello. O Paolo Virzì, più recentemente. Emma, per loro, era una tappa fissa. Non un negozio esclusivo dove chi entrava doveva avere il pedegree di un conto in banca sostenuto. Varcava l’uscio anche chi, ogni tanto, voleva regalarsi un capo buono, sapendo di essere consigliato nella scelta di un modello esclusivo e non inflazionato, magari concedendosi il “lusso” una volta l’anno; ripetendosi, per giustificarne l’acquisto, il motto secondo il quale chi più spende, meno spende. Boutique, in fondo, e con questa filosofia.

«Tirare la carretta ancora e chissà per quanto, per chi? – dice Luciana – siamo senza figli ed era giunto il momento di godersi la vita in una età nella quale possiamo ancora permetterci di soddisfare curiosità e dare spazio agli hobby. Abbiamo deciso tutto in un pomeriggio di ottobre. Dando spazio a ciò che suggeriva la logica. Avessimo privilegiato il cuore, non ci saremmo riuscite, io e mia sorella. Resta il dispiacere, ma siamo consapevoli che la scelta è giusta. Abbiamo salutato i nostri clienti di persona e per quelli che non sapevano abbiamo lasciato una lettera alla serranda. Ringraziandoli per averci scelto in tanti anni di attività».

Adesso, passando da quelle parti, le due sporte son serrate. Un’agenzia ha già mandato per individuare chi, dopo oltre cent’anni, metterà una nuova insegna dove per tanto tempo i livornesi sono usciti eleganti a un prezzo giusto.

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QOSHE - Emma chiude le due “sporte” in via Ricasoli finisce un’epoca - Flavio Lombardi
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Emma chiude le due “sporte” in via Ricasoli finisce un’epoca

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07.01.2024

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LIVORNO. Un negozio, Emma, che affonda le proprie radici in via Ricasoli nel medesimo punto, sempre lo stesso, in cui fino alla vigilia di Natale del 2023, ultimo giorno di apertura, l’abbiamo conosciuto. È un’altra pagina della Livorno che fu e che va negli archivi della storia a causa di una quarta generazione arrivata al momento di dire basta, senza avere nessuno nel frattempo pronto a raccogliere il testimone.

Era l’alba degli anni ‘20, il socialista Mondolfi fu eletto sindaco, Amedeo Modigliani moriva a Parigi e un giovane Galliano Masini debuttava come tenore in “Lodoletta” di un Pietro Mascagni ormai famoso nel mondo. Livorno era un florilegio di fabbriche dove lavoravano operai per portare il pane a casa, ma anche di numerosi alberghi e un turismo d’élite. Si perdeva il conto delle laboriose attività e tante erano le famiglie benestanti. Fu così che la signora Cesira Cioni, bisnonna delle sorelle Luciana ed Emma Bianucci, decise di darsi al commercio, dedicando la ragione sociale al nome di sua figlia, Emma, intuendo che il periodo era favorevole per aprir bottega........

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