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LIVORNO. Ieri mattina il sindaco ha ricevuto nella sala cerimonie Gianmarco Lucchesi, tallonatore della nazionale di rugby, in campo anche domenica scorsa a Lille nel pareggio amaro contro la Francia. Una vittoria storica nel Sei Nazioni in casa transalpina, sfumata per il calcio di punizione eseguito da Garbisi, finito sul palo a tempo scaduto. Un errore che non macchia tuttavia la prestazione mostruosa di quei ragazzi, testimoniata dai consensi arrivati anche dalla stampa specializzata anglosassone.

Livornese, cresciuto nel Lions di Mauro Fraddanni, passato poi con Mori nella franchigia sempre labronica del Granducato, prima di spiccare il volo e finire attualmente alla Benetton.

24 anni, dal 2020 azzurro nella selezione maggiore, ragazzo quadrato, educato, vanto della città, degno di entrare nella hall of fame della tradizione sportiva che contraddistingue il made in Leghorn. «Ho seguito la partita contro la Francia – ha detto Salvetti – e provato orgoglio nel sentire nominare Lucchesi e la sua città di appartenenza. Fiero anche di Mori. Loro due continuano la tradizione di questo sport a livello internazionale, portando avanti quello che hanno seminato i predecessori. Da Goti, ai fratelli Gaetaniello, a Guidi, De Rossi, Innocenti. Tre di loro, capitani azzurri. Forza, coraggio, orgoglio, ereditati dal dna labronico, sono orgoglioso di consegnargli il gagliardetto e una pubblicazione delle nostre bellezze».

Dopo il primo cittadino, non poteva mancare la parola per Fabrizio Gaetaniello, testimonial azzurro nel mondo, consigliere federale e amministratore delegato delle Zebre. «Un ragazzo che raccoglie i risultati di un duro lavoro, per Livorno è solo un orgoglio».

Mauro Fraddanni, presidente dei Lions, società che ha accolto Lucchesi da bimbo commenta: «È un orgoglio aver fatto uscire dal vivaio del campo allora di Salviano un giocatore come Gianmarco».

La fidanzata Giulia, padovana, lo osserva da lontano con gli occhi innamorati. «Èstata lei a conoscermi, vedendo una mia storia su instagram. Mi ha stregato e siamo davvero una bella coppia», racconta Gianmarco prima di iniziare l’intervista.

Lucchesi, cominciamo con una domanda anagrafica: che effetto le fa essere livornese doc e trovarsi sulla carta di identità, nato a Pisa?

«Una guerra che combatto da anni in nazionale. I telecronisti, spesso dicono che sono pisano e non sanno che ogni volta è come se mi infliggessero una coltellata. Colpa dei miei genitori, è da quando sono piccolo che lo rinfaccio ad entrambi».

Uomo del match contro l’Australia in una giornata top per gli azzurri. Sensazioni del momento e a distanza di tempo?

«Fu una cosa bellissima, coronata da una vittoria di grande prestigio. Senti di aver raggiunto un traguardo ed è stato un picco della mia carriera. Lavoro per averne altri».

Ha cominciato a giocare a rugby perché?

«Babbo Michele è un ex giocatore di football americano, a me piaceva la lotta. Mi sentivo portato per una disciplina fisica, di contatto. Mi portò a provare e fu amore a prima vista».

Come si approccia quando va a trovare i bimbi del settore giovanile dei Lions che la guardano con ammirazione?

«Dà una sensazione strana. Fino a qualche anno fa, c’ero io al loro posto. È emozionante».

Il primo allenatore, non si scorda mai...

«Lo sanno tutti. Franco Mazzantini è colui che mi ha legato più di tutti a questo sport e sarà sempre nel mio cuore».

Venti presenze in nazionale: la vittoria più bella e la delusione più cocente?

«La vittoria più bella con l’Australia, la delusione maggiore proprio adesso contro la Francia. Abbiamo lottato e giocato per vincere, ed abbia o solo accarezzato il sogno».

Un grave infortunio le ha pregiudicato la partecipazione al mondiale, impedendo di essere il quinto livornese nella storia dopo Marzio Innocenti, Fabio Gaetaniello, Andrea De Rossi e Matteo Mazzantini, a far parte della massima manifestazione per nazioni. Quanto ha sofferto vedendo i compagni in televisione?

«È stato uno dei momenti più difficili che ho affrontato. Ho lavorato mesi per poter recuperare, poi sono arrivato leggermente lungo sui tempi di recupero. Diciamo che ha costituito la benzina per tornare forte. Fra quattro anni, spero di prendermi la rivincita».

Consiglierebbe il rugby a un bambino che inizia lo sport?

«È uno sport importante sotto il punto di vista della disciplina, una caratteristica importante per chi vuole ogni giorno cercare di far bene le proprie cose».

Nelle giovanili ha ricoperto più ruoli. Essere tallonatore è quello giusto, oppure la posizione trovata nel tempo, adattata con successo?

«Mi sarebbe piaciuto diventare un numero otto, terza linea centro. Però, alla fine, sono riuscito ad essere competitivo in queste vesti. Va bene così».

Cosa le piace del suo ruolo?

«Sei sempre in mezzo al gioco, hai sempre la palla in mano, hai tante responsabilità. Bello…».

Anche lei ha messo tante volte la faccia dove altri non metterebbero mai neppure le mani, come diceva “l’orco” francese Chabal?

«Ho perso il conto, ormai. E viene naturale fare certe cose».

Il rugby è molto più fisico rispetto al passato. E forse anche per questo alcuni interventi sono diventati pericolosi e passibili di sanzioni arbitrali…

«I fisici sono imponenti, le velocità allucinanti. Certe evoluzioni delle regole del gioco hanno imposto maggiore rigidità per preservare la sicurezza di chi va in campo».

Un tallonatore o un pilone o comunque un uomo di mischia che a 10 metri dalla linea di meta esegue un calcetto a seguire invece di cercare lo scontro con l’avversario manifesta paura o intelligenza?

«Forse, intelligenza direi. La domanda viene fatta tra l’altro ad un giocatore atipico che può cercare soluzioni che sorprendono l’avversario con soluzioni non scontate».

C’è tanta toscana in nazionale...

«Domani (oggi per chi legge, ndr) sarò a Firenze dai fratelli Cannone. Un delirio. Tutte le notti, in ritiro, è guerra. È il bello di un gruppo affiatato, quale è quello della nostra nazionale».

Stadi, tifosi, atmosfere. Lei che gira il mondo col rugby dove prova le emozioni più forti?

«Quando vai oltre manica è stupendo. Il tifo in Irlanda e Scozia è da brividi. La cornamusa che suona sul tetto prima della partita, senti aria di rugby e la passione per questo sport. Coinvolgenti».

Il terzo tempo, tradizione rugbystica indiscussa, come cambia ad alti livelli?

«In nazionale è diverso da quello dei campionati, dove stai tutti insieme a mangiare, seduti e mescolati. In grandi eventi è più una roba aristocratica. In entrambe le situazioni, regna il rispetto per l’avversario e nascono amicizie sincere».

Cosa insegna la vittoria e cosa la sconfitta?

«La sconfitta è il carburante per arrivare al punto di non perdere più. Vincere, può essere il raggiungimento di un percorso di fatica, rabbia, convinzione dei propri mezzi. Siamo vicini allo scopo e i prossimi rientri di Lorenzo Cannone e Sebastian Negri in terza linea e di Marco Riccioni e Pietro Ceccarelli in prima linea, saranno frecce in più per il nostro cittì, in prospettiva del match contro la Scozia».

Lei, in mischia ordinata, si lega coi piloni. Aspetta l’ordine dell’arbitro e poi va giù. Una apnea al buio, dove è fondamentale battere sul tempo l’omologo avversario per vincere la palla…

«C’è pressione, cerchi di stare più basso possibile per far tua la palla che introduce il mediano di mischia. Si deve essere come dei rapaci nel movimento, mentre il tuo fisico e quello dei compagni produce uno sforzo enorme».

Il mare le manca?

«A Treviso sto da Dio, ma il mare mi manca davvero. Svegliarsi e vedere il mare, per un livornese, non ha prezzo».

Cosa serve alla nostra città per tornare ai massimi livelli di questo sport?

«Dinamiche economiche su tutto. Il vivaio è sempre stato di livello. Senza risorse, è chiaro che chi ha possibilità di carriera, deve andare via. Ma spero e mi auguro che le cose cambino».

Benetton e Zebre. Bastano due franchigie per garantirci competitività con la nazionale?

«In Francia hanno 14 squadre di altissimo livello in top 14, poi quelle in seconda serie forti anche loro. Contano su un serbatoio diverso dal nostro. È diverso, stiamo facendo anche troppo bene, in base a come il nostro rugby è strutturato».

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QOSHE - Lucchesi, le 20 maglie azzurre e la gioia di tornare alle origini - Flavio Lombardi
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Lucchesi, le 20 maglie azzurre e la gioia di tornare alle origini

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01.03.2024

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LIVORNO. Ieri mattina il sindaco ha ricevuto nella sala cerimonie Gianmarco Lucchesi, tallonatore della nazionale di rugby, in campo anche domenica scorsa a Lille nel pareggio amaro contro la Francia. Una vittoria storica nel Sei Nazioni in casa transalpina, sfumata per il calcio di punizione eseguito da Garbisi, finito sul palo a tempo scaduto. Un errore che non macchia tuttavia la prestazione mostruosa di quei ragazzi, testimoniata dai consensi arrivati anche dalla stampa specializzata anglosassone.

Livornese, cresciuto nel Lions di Mauro Fraddanni, passato poi con Mori nella franchigia sempre labronica del Granducato, prima di spiccare il volo e finire attualmente alla Benetton.

24 anni, dal 2020 azzurro nella selezione maggiore, ragazzo quadrato, educato, vanto della città, degno di entrare nella hall of fame della tradizione sportiva che contraddistingue il made in Leghorn. «Ho seguito la partita contro la Francia – ha detto Salvetti – e provato orgoglio nel sentire nominare Lucchesi e la sua città di appartenenza. Fiero anche di Mori. Loro due continuano la tradizione di questo sport a livello internazionale, portando avanti quello che hanno seminato i predecessori. Da Goti, ai fratelli Gaetaniello, a Guidi, De Rossi, Innocenti. Tre di loro, capitani azzurri. Forza, coraggio, orgoglio, ereditati dal dna labronico, sono orgoglioso di consegnargli il gagliardetto e una pubblicazione delle nostre bellezze».

Dopo il primo cittadino, non poteva mancare la parola per Fabrizio Gaetaniello, testimonial azzurro nel mondo, consigliere federale e amministratore delegato delle Zebre. «Un ragazzo che raccoglie i risultati di un duro lavoro, per Livorno è solo un orgoglio».

Mauro Fraddanni, presidente dei Lions, società che ha accolto Lucchesi da bimbo commenta: «È un orgoglio aver fatto uscire dal vivaio del campo allora di Salviano un giocatore come Gianmarco».

La fidanzata Giulia, padovana, lo osserva da lontano con gli occhi innamorati. «Èstata lei a conoscermi, vedendo una mia storia su instagram. Mi ha stregato e siamo davvero una bella coppia», racconta Gianmarco prima di iniziare........

© Il Tirreno


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