«La vita da dottorando? Forse è un po’ meno dura in Toscana, dove vivo, perché i canoni di locazione sono aumentati un po’ meno rispetto alle grandi città del nord, ma alla fine il 40% di noi risparmia al massimo cento euro al mese». Insomma, per Fabio Saggese, coordinatore dell’Associazione dottorandi italiani di Pisa, non c’è da sorridere.
Il problema è il caro affitti?
«Non solo, ma è quello che preoccupa di più a fine mese».
Stiamo parlando dei fuori sede?
«Esatto. Non ho dati certi a disposizione, ma sono loro a vivere la situazione peggiore».
Lei non è fuori sede, però.
«Adesso sì (ride, ndr) perché ho finito il dottorato, anche se continuo a gestire l’associazione e lavoro in Danimarca. Però sono di Livorno: quindi, quando ero dottorando, facevo il pendolare».
Un privilegiato?
«In piccolo sì. Ma non per il fatto di essere pendolare che, anzi, è abbastanza faticoso. Sono fra quei fortunati che ha potuto fare il dottorato di ricerca vivendo in una casa di proprietà, magari dei genitori o di parenti, comunque senza dover pagare l’affitto. In generale, infatti, fare il dottorato è davvero un piccolo privilegio e lo dico con amarezza...».
Perché?
«Fra caro affitti e inflazione, se non hai le spalle un po’ coperte, alla fine non lo fai»
A quanto ammonta la borsa?
«La ministeriale è 1.200 euro. A patto di prenderla perché, soprattutto nelle facoltà umanistiche, le borse sono sempre meno. Nei settori scientifici, che hanno maggiori possibilità di suscitare l’interesse dei privati, la cosa è un po’ diversa: vi sono spesso borse d’importo maggiore, finanziate da aziende interessate a sviluppare un determinato progetto di ricerca».
C’è, quindi, anche uno squilibrio fra settori?
«Sì. Negli ambiti disciplinari più attrattivi per aziende e imprese, c’è un maggior numero di borse coperte da privati e con importi più elevati. Però questa situazione genera più di qualche interrogativo sulla libertà della ricerca».
Se uno rimane fuori dalla graduatoria delle borse di dottorato, che cosa può fare?
«C’è la possibilità di farlo comunque senza borsa. Nel caso, pero, è necessario avere le spalle ancora più coperte: consideri che è tutto a spese loro».
Quindi molti rinunciano?
«Sì. Di nuovo emerge la specificità dell’ambito scientifico-tecnologico: chi ha opportunità di trovare un lavoro retribuito in modo migliore subito dopo la laurea, opta per questa soluzione. Anche se magari, in linea di principio non gli sarebbe dispiaciuta l’idea di fare carriere accademica, percorso che è possibile solo col dottorato. Poi c’è anche un problema di percezione sociale e d’immagine».
Ossia?
«Nell’immaginario collettivo è diffusa l’idea che il dottorato sia solo un modo di guadagnare prima di cominciare a lavorare. Insomma, qualcosa che serve a poco o nulla».
Perché sottolinea quest’aspetto?
«Perché sia le aziende sia i concorsi pubblici valorizzano poco questo titolo e quest’immagine negativa scoraggia molti dall’intraprendere questa strada».
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QOSHE - «Fare il dottorato è un privilegio» - Francesco Paletti
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«Fare il dottorato è un privilegio»

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24.01.2024

«La vita da dottorando? Forse è un po’ meno dura in Toscana, dove vivo, perché i canoni di locazione sono aumentati un po’ meno rispetto alle grandi città del nord, ma alla fine il 40% di noi risparmia al massimo cento euro al mese». Insomma, per Fabio Saggese, coordinatore dell’Associazione dottorandi italiani di Pisa, non c’è da sorridere.
Il problema è il caro affitti?
«Non solo, ma è quello che preoccupa di più a fine mese».
Stiamo parlando dei fuori sede?
«Esatto. Non ho dati certi a disposizione, ma sono loro a vivere la situazione peggiore».
Lei non è fuori sede, però.
«Adesso sì (ride, ndr) perché ho finito il dottorato, anche se continuo a gestire l’associazione e lavoro in Danimarca. Però sono di Livorno: quindi, quando ero........

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