È un anno fatidico, spartiacque del Novecento, quando esce sugli schermi il “Romeo e Giulietta” di Franco Zeffirelli. Siamo nel 1968, le tensioni scattano a molla, investono pubblico e privato di una società presa alla sprovvista, rovesciano schemi e schieramenti, tratteggiano un’utopia sintetizzata nello slogan degli studenti parigini “L’immaginazione al potere”.

Il film di Franco Zeffirelli, che riprende l’altrettanto celebre allestimento da lui firmato nel 1960 per l’Old Vic di Londra, afferra il senso quegli anni riconducibili a una forza giovanile, ribelle e iconoclasta, a un furore agonistico eterodosso e antisistema, di cui gli eroi descritti da Shakespeare erano in qualche misura modello, traccia, itinerario esistenziale prima che sentimentale ante litteram.

Una grande modernità che il grande regista fiorentino seppe cogliere in primis nella aderenza anagrafica che accomunava gli interpreti del film, i giovanissimi Leonard Whiting e Olivia Hussey (diciottenne lui, quindicenne lei) ai personaggi del testo originario.

La critica più dotta, che con il cinema di Zeffirelli ha sempre avuto un rapporto a dir poco conflittuale, gli rimproverò in quell’occasione una inadeguatezza interpretativa da parte dei due protagonisti ma non poté non esaltare la bellezza visiva complessiva dell’impianto scenografico, l’irruenza (specie nelle sequenze corali) della narrazione segnata da un ritmo fervido e incalzante, sullo sfondo di architetture coerenti e paesaggi luminosi, arricchiti dalle musiche del grande Nino Rota, fascinosamente avvolti dalle fotografia multicolor, ardente cromatismi, di Pasqualino De Santis e dai costumi semplicemente sontuosi di Danilo Donati.

Entrambi, De Santi e Donati, vennero premiati con l’Oscar per quel film.

E a proposito di costumi, intrecciati a immagini del film, foto di scena, ritratti, manifesti, documenti, scatti di pause di lavoro, la Fondazione Zeffirelli nella sua sede fiorentina di piazza San Firenze, ha organizzato una bella mostra evocativa, allestita a pianterreno nella Sala della musica, realizzati, gelosamente custoditi e per l’occasione messi a disposizione dalla Casa d’Arte Cerratelli: un’esposizione tutta da gustare.

Sfilano così, sistemati in apposite bacheche o montati sui manichini, oltre agli abiti iconici dei protagonisti i costumi principali, quelli indossati dalla balia, dai genitori e dai compagni dei due clan rivali della celberissima storia scespiriana, i Capuleti e i Montecchi.

Di particolare rilevanza spiccano i tre abiti indossati da Giulietta nelle scene principali che rivelano la poliedricità con cui Donati ha saputo interpretare lo spirito della tragedia e dell'amore della giovane coppia.

Negli anni compresi tra il 1957 e il 1972, prima di diventare il costumista prediletto di grandissimi registi come Pierpaolo Pasolini e Federico Fellini, Donati ha collaborato più volte con Franco Zeffirelli.

Ha firmato i costumi di due opere liriche, tre spettacoli teatrali e di altrettanti lavori cinematografici (oltre a “Romeo e Giulietta”, “La bisbetica domata” e “Fratello sole, sorella luna”).

Ricordiamo che i costumi di “Romeo e Giulietta”, che Donati realizzò unendo sapientemente lo stile e le linee classiche dell'epoca a materiali moderni, Oscar a parte, si guadagnarono anche il Nastro d’Argento e il British Academy Film Award.

La mostra, visitabile con il biglietto d'ingresso al museo, resterà aperta fino al 18 febbraio.

Per informazioni ulteriori sulla mostra è disponibile il numero telefonico 320 1637839.

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QOSHE - Ecco come vestire un grande amore, in mostra i costumi di Romeo e Giulietta - Gabriele Rizza
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Ecco come vestire un grande amore, in mostra i costumi di Romeo e Giulietta

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17.01.2024

È un anno fatidico, spartiacque del Novecento, quando esce sugli schermi il “Romeo e Giulietta” di Franco Zeffirelli. Siamo nel 1968, le tensioni scattano a molla, investono pubblico e privato di una società presa alla sprovvista, rovesciano schemi e schieramenti, tratteggiano un’utopia sintetizzata nello slogan degli studenti parigini “L’immaginazione al potere”.

Il film di Franco Zeffirelli, che riprende l’altrettanto celebre allestimento da lui firmato nel 1960 per l’Old Vic di Londra, afferra il senso quegli anni riconducibili a una forza giovanile, ribelle e iconoclasta, a un furore agonistico eterodosso e antisistema, di cui gli eroi descritti da Shakespeare erano in qualche misura modello, traccia, itinerario esistenziale prima che sentimentale ante litteram.

Una grande modernità che il grande regista fiorentino seppe cogliere in primis nella aderenza anagrafica che........

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