Se la politica del fine giustifica i mezzi è stata inventata nel 1500 da Machiavelli in Toscana, chi l’ha applicata nel XX secolo è stato Henry Kissinger, morto a cento anni nella sua casa in Connecticut.

«Vedeva l’esercizio del potere puro come la vera vocazione delle grandi potenze: è l’uomo che ha introdotto per la prima volta alla casa bianca il concetto di realpolitik», spiega il giornalista e scrittore Alan Friedman. Abbiamo contattato il newyorchese trapiantato in Italia per tratteggiare la figura del politico Usa morto ieri all’età di 100 anni.

Chi era Henry Kissinger?

«È stato un uomo complesso, una specie di paradosso. Un caso unico, così come unica era la sua statura. Era un uomo amorale – e sottolineo amorale, non immorale –. Era spietato e non si preoccupava dell’aspetto etico delle sue azioni. Secondo lui, tutto andava ricompreso nei paradigmi dell’esercizio del potere. Nella storia del XX secolo non c’è stata una figura così divisiva».

Perché?

«Era amato, applaudito e stimatissimo dai leader mondiali e l’establishment della politica estera americana lo ha sempre considerato il più grande statista Usa degli ultimi cento anni. Era odiato da chi sottolineava gli aspetti negativi della sua politica e del suo operato».

Quali?

«È stato chiamato criminale da chi non dimentica le sue guerre segrete; da chi ricorda i bombardamenti in Cambogia negli anni ‘70, dove sono morti due milioni di cambogiani in un paese di 7 milioni di persone; da chi non gli perdona il via libera dato dalla Cia all’operazione Condor che ha portato all’assassinio nel 1973 di Salvador Allende, il presidente democraticamente eletto in Cile, e poi l’ascesa del dittatore Augusto Pinochet; da chi lo accusa per aver autorizzato le registrazioni segrete del suo staff alla Casa Bianca e le comunicazioni dei giornalisti del New York Times e del Washington post; da chi ha ben in mente la sua presenza nella sala ovale insieme a Richard Nixon durante il Watergate».

Parafrasando una frase fatta italiana: ha fatto anche cose buone?

«Sono tanti gli episodi di Kissinger negativi, ma altrettanti sono quelli positivi. È stato l’uomo che ha riaperto i rapporti con la Cina; che ha condotto la shuttle diplomacy (intermediazione tra due parti che non dialogano, ndr) dopo la guerra dello Yom Kippur nel 1973. In generale è stato il più sagace, strategico e lungimirante rappresentante della politica estera americana dopo la Seconda guerra mondiale».

Era repubblicano, quindi della destra americana, ma la sua era una politica partitica o ideologica?

«Kissinger è stato sempre con i Repubblicani dagli anni ‘50. È stato consigliere della famiglia Rockefeller. È stato un uomo della Guerra fredda. È stato con Nixon e con Gerald Ford negli anni ‘60 e ‘70. Questo lo caratterizza come un uomo di centrodestra, ma la sua politica internazionale non è legata ad essere repubblicano o democratico, ad essere di destra o di sinistra».

Ossia?

«Tante delle sue azioni hanno aiutato i dittatori di destra nel mondo, ma tutto rientrava nella sua analisi secondo cui l’America è una grande potenza e deve utilizzare il suo potere. Il tutto senza preoccuparsi troppo dell’aspetto etico-morale, ma puntando alla conservazione della stabilità. Questa è realpolitik».

Ha influenzato anche la politica italiana?

«Non è semplice rispondere a questa domanda. Negli anni ‘70 non aveva esitazione a cercare di intervenire nelle vicende italiane. Attraverso la Cia, come è avvenuto nelle elezioni dell’aprile del ‘48, o attraverso altri meccanismi. Ma sempre con lo stesso obiettivo: sconfiggere i comunisti. Successivamente ha conosciuto Giorgio Napolitano ed è arrivato a chiamarlo il suo comunista preferito».

Perché?

«Kissinger era pragmatico. Per capirlo bisogna citare una sua celebre frase dell’ex segretario di Stato: “Quando vogliamo telefonare all’Europa, chi è che risponde al telefono?”».

Caduto il muro di Berlino, finiti gli incarichi nell’amministrazione Usa, perché è comunque rimasto un uomo chiave?

«Dopo gli anni ‘80 ha fatto tanti soldi grazie alla sua società di New York a Park Avenue (la Kissinger Associates, ndr) con le consulenze a grandi multinazionali e a multimilionari. Tuttavia è stato consultato e richiesto il suo parere da tantissimi leader mondiali. È stato molto amato dal presidente della Cina Xi Jinping, perché la sua riapertura con la Cina negli anni ‘70 era importantissima. E lo è stato fino all’ultimo: nel luglio scorso, all’età di 100 anni, è stato accolto con il tappeto rosso a Pechino e sono sicuro che ha portato qualche messaggio di Joe Biden. Poche settimane fa è stato contattato dall’attuale segretario di Stato, Antony Blinken, per avere consigli sul Medio Oriente. Mentre era nel settore privato, è stato il consigliere di tanti presidenti Usa, in modo informale o anche in missioni ufficiali».

Qual è il suo giudizio su Kissinger?

«L’ho conosciuto personalmente quando ero giovane. Ho avuto l’occasione di intervistarlo e di frequentarlo in società. Era un uomo intenso. Sempre super eloquente. Ma non sentiva rimorso per le sue azioni, perché fiero della sua visione. Tuttavia, piaccia o meno, è stato il segretario di Stato e statista americano che ha avuto più impatto nel mondo. Nel bene e anche nel male».

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QOSHE - Goodbye Machiavelli - Giuseppe Boi
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Goodbye Machiavelli

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01.12.2023

Se la politica del fine giustifica i mezzi è stata inventata nel 1500 da Machiavelli in Toscana, chi l’ha applicata nel XX secolo è stato Henry Kissinger, morto a cento anni nella sua casa in Connecticut.

«Vedeva l’esercizio del potere puro come la vera vocazione delle grandi potenze: è l’uomo che ha introdotto per la prima volta alla casa bianca il concetto di realpolitik», spiega il giornalista e scrittore Alan Friedman. Abbiamo contattato il newyorchese trapiantato in Italia per tratteggiare la figura del politico Usa morto ieri all’età di 100 anni.

Chi era Henry Kissinger?

«È stato un uomo complesso, una specie di paradosso. Un caso unico, così come unica era la sua statura. Era un uomo amorale – e sottolineo amorale, non immorale –. Era spietato e non si preoccupava dell’aspetto etico delle sue azioni. Secondo lui, tutto andava ricompreso nei paradigmi dell’esercizio del potere. Nella storia del XX secolo non c’è stata una figura così divisiva».

Perché?

«Era amato, applaudito e stimatissimo dai leader mondiali e l’establishment della politica estera americana lo ha sempre considerato il più grande statista Usa degli ultimi cento anni. Era odiato da chi sottolineava gli aspetti negativi della sua politica e del suo operato».

Quali?

«È stato chiamato criminale da........

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