L’industria del lusso, da paese di Bengodi, potrebbe diventare presto uno degli incubi più seri vissuti dall’economia toscana. A fine dicembre la parabola discendente cominciata da agosto nelle industrie del lusso registrava 6.690 lavoratori in cassa integrazione (fonte Irpet), oggi la situazione è ancora peggiore tanto che i sindacati calcolano che i lavoratori in cassa integrazione da marzo possano essere vicini ai 10mila. I titoli delle aziende di lusso crollano e nell’industria soffrono calzaturiero, pelletteria, tessile, concia. E se fino a qualche settimana fa si parlava di crisi ciclica oggi comincia a palesarsi l’ipotesi di un cambio strutturale dell’industria del lusso che investe, investirà, inevitabilmente l’indotto toscano in cui i grandi gruppi, da Kering a Lvmh, hanno trovato casa.

Consumatori delusi

C’è chi parla già di crac generalizzato del lusso, senza appello. Lo fa l’imprenditore tessile Riccardo Bruni, patron di Lyria e produttore di stoffe per i brand. «Diciamocelo, c’è un limite alla decenza. I grandi marchi hanno aumentando ancora i prezzi, perché chi compra una borsa da 3.000 euro ne può spendere anche 5.000. Ma non è così, i loro clienti non sono tutti super ricchi. L’abbigliamento serve per vestirsi, può diventare uno status symbol ma non un gioiello. Una total look non può costare come un Suv. La gente è disgustata». Riempirsi di marchi sta diventando, nel mondo sempre più ecologista, cafonal, per dirla alla D’Agostino.

Piccole aziende a rischio

Ma se Bruni parla di un bluff terminato e di una trasformazione culturale all’origine del calo di produzione, c’è, come dichiarato da Kering, una diminuzione delle vendite nei mercati asiatico e americano che non può essere ignorata e che non è detto sia reversibile.

«Il comparto della moda è cresciuto per anni a doppia cifra – dice Giacomo Cioni, presidente di Cna Firenze e area metropolitana – ora le ipotesi sono due: la prima, il settore sta capendo come direzionarsi; la seconda, la transizione ecologica non accetta più la sovrapproduzione. Si parla del 30%. I problemi sono comunque seri, le aziende toscane sono tarate per aumentare la produzione del 20% ogni anno e ora i brand chiedono il 50% in meno. La frenata è brusca. Le aziende, quelle di seconda fascia senza contatti diretti con le maison, hanno redditività basse e stanno già parlando di ristrutturarsi in tempi brevi. Anche perché il denaro costa e non è una via d’uscita percorribile per prendere tempo. A fine anno sarà un colpo enorme al Pil. Chi dice che non siamo già in recessione, mente».

Cassa integrazione boom

«I cassintegrati sono tanti, tanti, tanti», esordisce così Gianluca Valacchi della Femca Cisl. «Abbiamo cominciato a confermare quelle aperte nelle settimane passate e vengono aperte anche dalle aziende della prima fascia, quelle in contatto con i brand. Solo nel territorio di Scandicci sono almeno 4.000. Sono coinvolti gli indotti di tutti i marchi, chi più e chi meno. Si annuncia già l’esigenza di riorganizzare, rimodellare. Noi riteniamo che dobbiamo riprendere in mano le nostre produzioni per alzare la qualità e porre le basi verso il cambiamento. Intanto dobbiamo superare l’emergenza».

Cosa significa?

Uno dei temi riguarda la creazione di linee produttive che di fatto hanno ridotto l’apporto artigianale e quindi, gli addetti ai lavori, cominciano a riporre l’accento sull’esigenza di tornare alle origini.

Anche Massimo Bollini, nella segreteria della Filctem Cgil di Firenze e città metropolitana non ha dubbi: «È un affare serio», dice. Solo in provincia di Firenze 10 giorni fa c’erano 5.500 cassaintegrati, numeri a cui vanno aggiunti coloro dell’area dell’Amiata, dell’Aretino, della Valdinievole per il calzaturiero e soprattutto del Pisano per la concia e del Pratese del tessile. Facendo un conto 10mila è tutt’altro che un numero in eccesso. «Il mondo della moda è sempre stato ciclico e il contesto internazionale – aggiunge Bollini – grava pesantemente nel nostro settore ma il dubbio che la crisi sia strutturale mi convince perché gli analisti continuano a dire che i volumi potrebbero non tornare ad essere quelli del passato. Non nego che ci si interroga sul domani rispetto a un modello non sostenibile. Stiamo, per capire, producendo il 25% di pezzi in meno».

Concia, lavoro su 4 giorni

«Abbiamo prodotto troppo e adesso ci stiamo regolarizzando», commenta Fabrizio Masoni dell’omonima conceria e socio dal 2019 del gruppo Lvmh.

«Si sta tornando alla normalità, un assestamento di cui stiamo soffrendo tutti. Le concerie stanno cercando di razionalizzare i costi e a Santa Croce in molti stanno lavorando su 4 giorni. Il venerdì tutto si ferma. Il problema più grosso è quello che nessuno, neppure i brand, riescono a fare una programmazione e quindi lavoriamo ad alti e bassi».


QOSHE - Moda, il lusso soffre e la Toscana lo segue: diecimila in cassa integrazione. I motivi della crisi - Ilenia Reali
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Moda, il lusso soffre e la Toscana lo segue: diecimila in cassa integrazione. I motivi della crisi

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24.03.2024

L’industria del lusso, da paese di Bengodi, potrebbe diventare presto uno degli incubi più seri vissuti dall’economia toscana. A fine dicembre la parabola discendente cominciata da agosto nelle industrie del lusso registrava 6.690 lavoratori in cassa integrazione (fonte Irpet), oggi la situazione è ancora peggiore tanto che i sindacati calcolano che i lavoratori in cassa integrazione da marzo possano essere vicini ai 10mila. I titoli delle aziende di lusso crollano e nell’industria soffrono calzaturiero, pelletteria, tessile, concia. E se fino a qualche settimana fa si parlava di crisi ciclica oggi comincia a palesarsi l’ipotesi di un cambio strutturale dell’industria del lusso che investe, investirà, inevitabilmente l’indotto toscano in cui i grandi gruppi, da Kering a Lvmh, hanno trovato casa.

Consumatori delusi

C’è chi parla già di crac generalizzato del lusso, senza appello. Lo fa l’imprenditore tessile Riccardo Bruni, patron di Lyria e produttore di stoffe per i brand. «Diciamocelo, c’è un limite alla decenza. I grandi marchi hanno aumentando ancora i prezzi, perché chi compra una borsa da 3.000 euro ne può spendere anche 5.000. Ma non è così, i loro clienti non sono tutti super ricchi.........

© Il Tirreno


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