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Livorno «All’interno della crisi difficile e ininterrotta che stiamo vivendo, dal covid a uno stato di guerra perenne, non possiamo pensare che Livorno sia un’isola felice. L’amministrazione comunale, fra mille difficoltà, si è impegnata a fondo, in questo mandato, a raccogliere sfide che cambieranno la nostra città nei prossimi anni. Dall’ospedale al nuovo Piano strutturale, scelte che incideranno sul futuro dei nostri figli. Purtroppo il rapporto con le opposizioni ha spesso segnato il passo: sono stati pochi i momenti di confronto costruttivo in un periodo così delicato. In consiglio comunale hanno prevalso i conflitti, sulle persone più che sulle idee, e questo è la negazione della politica». Paolo Fenzi è l’uomo che dal 2019 guida il Pd in Comune. È espressione del partito, ma anche uno degli interpreti di primo piano delle sensibilità del mondo cattolico. Ha deciso che dopo giugno, qualunque sarà il risultato, non tornerà in consiglio comunale.

Fenzi allora non si ricandiderà, perché? «C’è stato il centenario di don Milani, lo sto rileggendo anch’io. E c’è una frase che mi sono appuntato: “Non dobbiamo aver paura di sporcarci le mani, a che servirà averle pulite se le abbiamo tenute in tasca?». È un invito ad avere coraggio e cuore. Questo per dire che per me è stata una scelta difficile fare un passo indietro. Ma dopo questi anni trascorsi a sostenere alcune convinzioni fondamentali, era necessario porre anche elementi di discontinuità: ci sono ragazzi giovani che posso dare un contributo importante. Quindi, dopo cinque anni, in consiglio farò un passo indietro».

Resterà comunque iscritto al Pd?

«Certo».

Lei ha guidato il gruppo Dem quando, per la prima volta, il partito è stato chiamato a sostenere un sindaco senza tessera. Come è stato il rapporto con Luca Salvetti?

«Chiaro, lineare, senza problemi di sorta sulle grandi scelte, dall’avventura del Piano operativo alla variante urbanistica per il nuovo ospedale, le sfide più importanti. Poi è chiaro che, rispetto ad altri prima di lui, Salvetti ha avuto un rapporto anche con il proprio ruolo istituzionale molto diverso. Spesso ha lavorato come forza di maggioranza. E a volte ci siamo trovati un po’ come tra due fuochi...».

Più capo della maggioranza che sindaco?

«Sì, diciamo così».

E questo vi ha complicato il rapporto con le opposizioni.

«Senz’altro, sì».

C’è un merito che si sente di attribuirgli e una tirata d’orecchie che invece sente di dovergli fare?

«È una persona completamente al servizio della città e questo si vede, è un sindaco della gente. Sulla tirata d’orecchie, quello che accennavo prima: il ruolo istituzionale di sindaco spesso e volentieri richiede un certo distacco, che per come è strutturalmente fatto Luca Salvetti è difficile».

Quale è stato il momento più difficile per il Pd in consiglio in questi anni?

«L’approvazione della variante al Piano strutturale: era una tappa fondamentale per il futuro della città e dei nostri figli, ne sono convinto, ma le opposizioni hanno fatto un gioco al massacro. Si sono concentrate sulla storia del “cubone” e sui rapporti tra Fremura e Salvetti, ma lui in questo momento è il sindaco di Livorno, non è un dipendente di Fremura. Poi hanno insistito su una cementificazione che non c’è: dal rapporto ambientale si citano come territorio urbanizzato 133 ettari, ma non si precisa che di nuova edificazione sono previsti solo 5.200 metri quadri. L’unica cosa che facciamo davvero con questo nuovo piano è cercare di dare un impulso all’edilizia sociale. La revisione degli strumenti di pianificazione urbanistica poteva rappresentare una straordinaria occasione di riflessione sulle prospettive di trasformazione e di sviluppo del nostro territorio. Così, purtroppo, non è stato. L’opposizione oggettivamente non è stata costruttiva. Anche noi, forse, non siamo riusciti a renderla tale».

È un fatto che dal 2019, a dispetto delle premesse e dei propositi, non siate mai riusciti a trovare dei veri punti di incontro con le opposizioni in consiglio comunale. L’opposto: sinistra e M5s si uniranno nella corsa elettorale al grido di #doposalvetti.

«Al di là del famoso pupazzo con la testa rotta del sindaco o del “Guardetti” che usano per provare a dire che Guarducci è uguale a Salvetti, trovo non adeguato al momento il buttare tutto in caciara. Fa perdere di significato anche partite che oggettivamente ce l’hanno avuto e ce l’hanno. Penso per primo al nuovo ospedale». Un attimo di silenzio: «Non lo dico con risentimento, per me questa partita rimane uno dei bocconi più amari, perché l’ho vissuta nell’ultimo anno di Cosimi e l’ho rivissuta in questa consiliatura. Che a Livorno non si riesca a costruire un ospedale nuovo con tutti i problemi che ci sono… non voler capire che questa è un’opera non di maggioranza o di opposizione, ma della città e metterla sul piano della speculazione elettorale mi lascia perplesso. E guardi, sull’ospedale abbiamo cercato in tutti i modi di tirare dentro le opposizioni».

Comunque sull’ospedale siete andati a dritto lo stesso.

«Certo. Un ospedale che era modernissimo fino a 90 anni fa oggi non è più in grado di rispondere alle moderne esigenze di salute. Negli ultimi 20 anni sono stati diversi gli studi per definire la soluzione più opportuna fra la scelta della ristrutturazione e la realizzazione di un nuovo presidio in un’altra sede. L’opzione preferita è stata la seconda perché garantisce l’applicazione di cure non più definite esclusivamente attraverso percorsi regionali, ma con un modello riconosciuto anche dagli organismi sanitari internazionali, dove gli ospedali sono integrati a rete e sono aree di riferimento per l’assistenza territoriale concepita per il prevalente bisogno della popolazione con patologie croniche. È legittima, anche se a mio parere devastante, la scelta di non aderire alla costruzione, ma le amministrazioni parlano per atti. E il passaggio da nuova costruzione a ristrutturazione andrebbe preparato in termini di progettualità, percorsi istituzionali condivisi, progetti socio-sanitari sul territorio possibili. Su tutto questo l’opposizione latita, non abbiamo visto alcun progetto alternativo».

Lei è cattolico e in questi anni l’ala cattolica del partito ha vissuto anche momenti delicati, penso per esempio ai botta e risposta con il vescovo Giusti. Ora il centrodestra candida un civico dichiaratamente cattolico-moderato. La preoccupa?

«Al di là di una campagna elettorale che si preannuncia brutta e puerile, sarà necessario provare, a inizio nuova consiliatura, a ricomporre una spaventosa frammentazione e fare una sintesi che individui anche possibili orizzonti comuni. Ricordo che Livorno fu scelta come sede del Movimento ecumenico italiano (Cedomei) in quanto città multireligiosa e multietnica. Protagonista di quella fase fu monsignor Ablondi, non solo vescovo amatissimo nella nostra città, ma anche protagonista del dialogo ecumenico e interreligioso in Italia e nel mondo. Questa apertura al mondo coinvolge tanti laici che si avvicinano alla politica. Ed è nella modalità di esercizio di questo tipo di impegno che si esprime una certa sensibilità legata al concetto di democrazia, al valore della storia, al senso e al limite della politica, all’autonomia della società che rimanda ad una spiritualità precisa, figlia a Livorno di una storia collettiva legata a monsignor Ablondi e a monsignor Savio».

Che immagino lei citi non a caso.

«Per questo rimango interdetto dalle parole di Alessandro Guarducci che afferma di essere un “cattolico moderato”, ma che è sostenuto da chi (il ministro Salvini) definisce l’Islam di oggi “un pericolo” e chiede di “ripulire le città dagli immigrati”, di “smaltire un arretrato di clandestini di mezzo milione”. La scelta di campo della chiesa, anche italiana, appare chiara: il cardinal Bassetti, predecessore di Zuppi alla guida della Cei, ci ha ricordato che come Chiesa è “necessario impedire che una cultura della paura si trasformi in xenofobia”. È da qui che emerge il possibile ruolo di una comunità cittadina che legge la realtà e il proprio tempo non attraverso i segnali di giudizio, condanna, chiusura. È il tempo di “ricostruire, ricucire, pacificare”, come dice Bassetti, e chi fomenta odio e intolleranza non va in questa direzione».

Quindi Guarducci le fa paura o no?

«Paura no, che sia un interlocutore valido senz’altro. Mi lascia perplesso da chi è contornato: il percorso che fa la destra è pieno di elementi di chiusura, paura, difesa di identità rispetto all’apertura che oggi si richiede. Ho letto sul giornale che quando gli hanno chiesto della teoria gender nella scuole ha risposto di essere cattolico, apostolico... ma questo vuol dire tutto e niente, viste anche le ultime posizioni del Papa, il nostro Signore benedice tutti. Ma al di là di questo, è intervenuto il parlamentare di Fdi dicendo che su questi temi si fa cosa dice la destra. Ecco, io mi auguro che il confronto con Guarducci in campagna elettorale sia sereno: il timore è semmai che vada su altre linee e non ci sia un dibattito serio su come si immagina questa città tra 15 anni».l

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Livorno, il bilancio del capogruppo Pd Fenzi: «Con le opposizioni solo conflitti»

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02.02.2024

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Livorno «All’interno della crisi difficile e ininterrotta che stiamo vivendo, dal covid a uno stato di guerra perenne, non possiamo pensare che Livorno sia un’isola felice. L’amministrazione comunale, fra mille difficoltà, si è impegnata a fondo, in questo mandato, a raccogliere sfide che cambieranno la nostra città nei prossimi anni. Dall’ospedale al nuovo Piano strutturale, scelte che incideranno sul futuro dei nostri figli. Purtroppo il rapporto con le opposizioni ha spesso segnato il passo: sono stati pochi i momenti di confronto costruttivo in un periodo così delicato. In consiglio comunale hanno prevalso i conflitti, sulle persone più che sulle idee, e questo è la negazione della politica». Paolo Fenzi è l’uomo che dal 2019 guida il Pd in Comune. È espressione del partito, ma anche uno degli interpreti di primo piano delle sensibilità del mondo cattolico. Ha deciso che dopo giugno, qualunque sarà il risultato, non tornerà in consiglio comunale.

Fenzi allora non si ricandiderà, perché? «C’è stato il centenario di don Milani, lo sto rileggendo anch’io. E c’è una frase che mi sono appuntato: “Non dobbiamo aver paura di sporcarci le mani, a che servirà averle pulite se le abbiamo tenute in tasca?». È un invito ad avere coraggio e cuore. Questo per dire che per me è stata una scelta difficile fare un passo indietro. Ma dopo questi anni trascorsi a sostenere alcune convinzioni fondamentali, era necessario porre anche elementi di discontinuità: ci sono ragazzi giovani che posso dare un contributo importante. Quindi, dopo cinque anni, in consiglio farò un passo indietro».

Resterà comunque iscritto al Pd?

«Certo».

Lei ha guidato il gruppo Dem quando, per la prima volta, il partito è stato chiamato a sostenere un sindaco senza tessera. Come è stato il rapporto con Luca Salvetti?

«Chiaro, lineare, senza problemi di sorta sulle grandi scelte, dall’avventura del Piano operativo alla variante urbanistica per il nuovo ospedale, le sfide più importanti. Poi è chiaro che, rispetto ad altri prima di lui, Salvetti ha avuto un rapporto anche con il proprio ruolo istituzionale molto diverso. Spesso ha lavorato come forza di maggioranza. E a volte ci siamo trovati un po’ come tra due fuochi...».

Più capo della maggioranza che........

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