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LIVORNO. La vita di Giovanni Martelli, antifascista, partigiano e dirigente politico è stata un esempio di coraggio, passione ideale e coerenza, sentimenti che ha sempre dimostrato sia nella lotta contro il Fascismo che quando ha assunto rilevanti responsabilità politiche e sindacali. Era un uomo schivo, che non amava i riflettori, non cercava la ribalta ma era sempre e comunque in prima linea nel difendere i suoi ideali e le sue scelte di vita. Ha sopportato la galera, i pestaggi, ha patito la miseria ma non ha mai abdicato ai suoi impegni. Ed è stato una persona che, pur vivendo spessissimo lontano da casa in virtù dei suoi incarichi, è riuscito ad essere un padre e un marito affettuoso e amato.

Le origini

Martelli nasce il 17 novembre 1913 a Castelfiorentino, paese di cui erano originari i genitori. Il padre è un operaio e, per ragioni di lavoro si trasferisce a Livorno quando Giovanni è ancora un bambino. La condizione economica della famiglia non consente lussi e il giovane Martelli deve trovarsi un lavoro appena terminate le elementari. Si impiega prima all’Ufficio del Telegrafo e successivamente in diverse fabbriche dove svolge un duro lavoro da operaio talvolta, come nel caso delle Officine Mathon, in condizioni decisamente insalubri. Come i giovani dell’epoca è costretto a frequentare i corsi premilitari, vero e proprio orpello del Regime, e nell’insofferenza a questi rituali, comincia a maturare un sentimento antifascista che in breve tempo lo porta ad essere espulso dai corsi e additato al pubblico ludibrio in una “particolare” cerimonia. Martelli decide ben presto di aderire al PCI, insieme all’amico Otello Frangioni che diverrà poi suo cognato. Nel 1932 per questi compagni iniziano i guai: l’Ovra procede a numerosi arresti in tutta la Toscana, ben 60 dei quali nella provincia di Livorno. Martelli e diversi altri giovani comunisti vengono trattenuti per oltre un mese nelle celle e dopo un altro mese trasferiti al carcere dei Domenicani. Spesso e volentieri vengono malmenati. Ne escono con l’amnistia del “decennale” ma ormai divengono a tutti gli effetti dei sorvegliati a vista. Tutto ciò non scoraggia Martelli e compagni che riprendono con ancora più vigore il lavoro clandestino.

Nel corso di un volantinaggio notturno vengono però arrestati diversi cospiratori: con Martelli ci sono Garibaldo Benifei, Otello Frangioni, Renzo Tamberi e Marte Corsi. Giovanni davanti ai questurini viene fatto addirittura denudare per scoprire eventuali tracce di inchiostro proveniente dalla stampa dei volantini e lasciato così per ore. Lui non parla, nega tutto inventando di essere stato in giro per una avventura galante.

Studio e rivoluzione

Naturalmente non viene creduto e di lì a poco anche per lui scatterà la condanna del Tribunale Speciale: due anni di carcere e il trasferimento nel penitenziario di Civitavecchia. Su invito del partito si dedica ad una fase di studio severo spaziando dalla filosofia, all’economia, alla letteratura e ha modo di conoscere i reclusi più illustri come Terracini e Scoccimarro.

Nel ’33 di nuovo l’amnistia consente a Martelli di uscire di prigione e rientrare a Livorno, da dove però parte ben presto per il servizio di leva e viene sbattuto in Africa. Nel 1936 è di nuovo in città e riesce a farsi assumere in Cantiere dove con Mario Galli e Frangioni costituisce la cellula del PCI di fabbrica e avvia un rapporto politico con un gruppo di giovani intellettuali tra i quali Stoppa, Comi, Bartalucci e il pisano Maccarrone, in seguito note personalità politiche. Licenziato dal Cantiere perché rifiutatosi di ascoltare il discorso di Mussolini alla Radio Giovanni va a lavorare all’officina Lapi a Colline e, dopo l’8 settembre del ’43, viene incaricato dal Partito di costituire i primi nuclei della Resistenza nelle campagne pisane che gira in lungo e in largo mangiando poco e dormendo il minimo indispensabile. Siamo ormai nel 1944 e durante una riunione a Livorno in casa del dottor Manna, noto antifascista, Martelli e i suoi compagni vengono sorpresi e arrestati dalle Milizie Repubblichine, su delazione di un certo Trambusti. A casa ha lasciato Tosca Frangioni, sposata da poco e il primo figlio Marco di pochi mesi. Prima viene recluso al Don Bosco di Pisa e poi trasferito al carcere di Modena.. Spesso infatti i detenuti vengono prelevati a gruppi e passati per le armi come rappresaglia. Martelli e Frangioni miracolosamente la scampano e, praticamente alla fine della guerra, vengono liberati. Avventurosamente rientrano a piedi a Livorno, ormai semidistrutta dai bombardamenti. Non c’è tempo di rilassarsi che il Partito, del quale nel frattempo è divenuto funzionario, lo fa eleggere in Consiglio Comunale e lo chiama a svolgere il ruolo di vice segretario della Federazione livornese. Ben presto incarichi di assoluto rilievo lo portano lontano dalla famiglia che rimane sempre a Livorno. Prima è segretario della Federazione di Treviso poi, dopo due anni, di quella di Carrara. A questi impegni seguiranno gli incarichi nella CGIL, prima alla FIOM nazionale, poi al Sinagi. Rientra stabilmente a Livorno solo nella metà degli anni ’60 dove per molti anni sarà il Presidente della Commissione di Controllo del PCI locale carica che assolverà con grande rigore contribuendo tra l’altro alla riabilitazione di alcuni compagni (Angiolo Giacomelli, Ugo Lazzeri) per tanto tempo ingiustamente incolpati di fatti che non avevano commesso. Nel 1970 diventa Presidente del Bacino di Carenaggio e, in questo ruolo, da prova di un inaspettato piglio manageriale contribuendo alla costruzione della Lips e della piattaforma Sincrolift. Nel ’79 si dimette dalla presidenza nonostante gli indiscutibili risultati e il sostegno della sezione PCI della fabbrica. Martelli aveva subodorato che a quell’incarico il Partito stava meditando di destinare Nelusco Giachini, da poco rientrato da Roma e lui non voleva mettersi di traverso. Nonostante la cosa lo avesse non poco amareggiato non fece nessuna polemica o recriminazione. Disciplinato e rigoroso come sempre si ritirò di buon ordine a fare il suo dovere di militante nella Sezione dell’Ardenza, rione dov’era andato ad abitare. La “svolta” di Occhetto del 1989 lo trovò tra i più fieri oppositori ma alla fine anche lui seguì le decisioni della maggioranza. Si spense nella sua casa di Via Ravizza il 2.10.1992 minato da un mesotelioma pleurico l


QOSHE - Il Pci, gli arresti le persecuzioni. Martelli, una vita tra politica e porto di Livorno - Marco Susini
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Il Pci, gli arresti le persecuzioni. Martelli, una vita tra politica e porto di Livorno

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08.01.2024

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LIVORNO. La vita di Giovanni Martelli, antifascista, partigiano e dirigente politico è stata un esempio di coraggio, passione ideale e coerenza, sentimenti che ha sempre dimostrato sia nella lotta contro il Fascismo che quando ha assunto rilevanti responsabilità politiche e sindacali. Era un uomo schivo, che non amava i riflettori, non cercava la ribalta ma era sempre e comunque in prima linea nel difendere i suoi ideali e le sue scelte di vita. Ha sopportato la galera, i pestaggi, ha patito la miseria ma non ha mai abdicato ai suoi impegni. Ed è stato una persona che, pur vivendo spessissimo lontano da casa in virtù dei suoi incarichi, è riuscito ad essere un padre e un marito affettuoso e amato.

Le origini

Martelli nasce il 17 novembre 1913 a Castelfiorentino, paese di cui erano originari i genitori. Il padre è un operaio e, per ragioni di lavoro si trasferisce a Livorno quando Giovanni è ancora un bambino. La condizione economica della famiglia non consente lussi e il giovane Martelli deve trovarsi un lavoro appena terminate le elementari. Si impiega prima all’Ufficio del Telegrafo e successivamente in diverse fabbriche dove svolge un duro lavoro da operaio talvolta, come nel caso delle Officine Mathon, in condizioni decisamente insalubri. Come i giovani dell’epoca è costretto a frequentare i corsi premilitari, vero e proprio orpello del Regime, e nell’insofferenza a questi rituali, comincia a maturare un sentimento antifascista che in breve tempo lo porta ad essere espulso dai corsi e additato al pubblico ludibrio in una “particolare”........

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