Troppo gas alle ruspe nelle miniere dei Gessi Pisani, le benne sono scappate di mano anche nelle buche della Garfagnana dove si estraggono calcari industriali di turrite secca e in quelle degli inerti a Poggibonsi. Il turbo, poi, è stato azionato alle fresatrici nel Valdarno. Sono le cave che hanno fatto scattare l’allarme rosso nel monitoraggio dei giacimenti della Toscana. Quelle in cui l’estrazione di materiali da montagne e colline è andata oltre i limiti fissati dal Piano cave varato dalla Regione tre anni e mezzo fa. Si chiamano “Obiettivi di produzione sostenibile”, sono tetti ventennali all’escavazione imposti ai cavatori. Stabiliscono un fabbisogno massimo in metri cubi all’estrazione di marmi, pietre, inerti, materiale ornamentale o da taglio, destinato alle costruzioni o ai cicli industriali. Un confine che la Toscana nel luglio del 2020, data di approvazione del piano, ha ritenuto compatibile con il rispetto dell’ambiente, un confine che avrebbe garantito alle comunità che vivono di cave un equilibrio fra lavoro e natura. Ecco, oggi quell’equilibrio se non si è spezzato, sta vacillando. Per questo la giunta guidata da Eugenio Giani ha deciso di approvare una variante al Piano cave che alza l’asticella del potenziale ricavabile da montagne e colline del 5% in tutto il territorio.

Gli sforamenti

Non è roba da poco. Su scala regionale finora il fabbisogno complessivo stimato dal 2019 al 2038 era di 179.272.620 metri cubi. Con l’aggiornamento salirà di quasi 9 milioni, per la precisione 8.963.631. La variante non specifica in quali dei 98 comprensori estrattivi saranno concessi gli aumenti di escavazione, ma fotografa alcune cifre che in parte suggeriscono una rotta. Intanto dove e chi ha sforato i tetti? Sono appunto quattro i comprensori andati oltre i limiti medi annuali calcolati per non sforare il fabbisogno ventennale: i Gessi Pisani (108,79%), gli inerti del Valdarno (187,43%, i Calcari di turrite secca a Molazzana in Garfagnana (107,03%), gli inerti di Poggibonsi (175,40%).

I big dell’escavazione

Ma davvero bastano a spiegare un rialzo del 5% degli obiettivi di produzione? No, guardare solo a questi comprensori può sviare. Sono piccoli e messi tutti insieme in 20 anni è previsto che scavino dai rilievi toscani poco più di 4 milioni di metri cubi di materiali, e per ora la somma degli sforamenti calcolati dal 2019 al 2022 vale 246.679 metri cubi. Non è un caso che nella delibera appena approvata e firmata dall’assessore al territorio Stefano Baccelli si segnalino altri 23 comprensori “a rischio” di superamento. Sette di questi hanno superato il 90% del fabbisogno di Ops (Obiettivi di produzione sostenibile), sei hanno scavato una media annua compresa fra l’80 e l’89% del potenziale, dieci dal 70 al 79%. Ed è qui che è scattato l’allarme. Perché nelle rilevazioni sono finiti alcuni comprensori con volumi «effettivamente estratti e commercializzati» molto più importanti. Uno su tutti quello Apuo-Versiliese, il bacino dell’oro bianco, dove in 5 anni si sono estratti quasi 6 milioni di metri cubi di marmo ornamentale, il fabbisogno ventennale è da 47.750.647 di metri cubi. Solo il bacino di Massa Carrara conta un fabbisogno ventennale da 40,5 milioni di metri cubi, ma dal 2018 al 2022 la produzione annua è salita da 1 milione a quasi 1,5 milioni. E la produzione media in questo momento supera il 70% del fabbisogno, ma il timore è che con i trend di mercato possa ancora salire. Stessa cosa nei bacini di calcare di Grosseto Nord, dove il fabbisogno è di oltre 7 milioni e la produzione è già salita al 73% o nelle cave di sedimentarie del Chianti al 94%.

Le richieste delle imprese

In più per approvare una variante, il Piano cave impone che sussistano alcune condizioni: il materiale che si pensa di estrarre dal territorio deve servire a costruire opere pubbliche senza ricorrere a cave di prestito ed evitando il trasporto di materiali per troppi chilometri dal punto di escavazione all’arrivo nei cantieri; ma un motivo può essere dato anche dal sostegno alle filiere industriali, a patto che il ritocco agli Ops garantisca occupazione e benessere delle comunità coinvolte; inoltre possono essere gli stessi Comuni e le imprese a farne richiesta. E la Regione nel documento appena approvato lo dichiara esplicitamente. «In questi anni di vigenza del piano, alcuni comuni ed alcune industrie del settore hanno manifestato la necessità di incrementare le potenzialità estrattive chiedendo di rivedere il dimensionamento del Prc (Piano regionale cave) e aumentare gli Obiettivi di produzione sostenibile», scrivoni i tecnici. Queste richieste vengono raccolte attraverso bandi e «possono rappresentare un indicatore di interesse delle imprese – scrive ancora la Regione nella delibera – e qualora tale interesse sia riconducibile a oggettive situazioni di mercato, frutto anche di dinamiche concretizzate dopo l’approvazione del Prc, può essere oggetto di valutazione per la revisione degli Obiettivi di produzione sostenibile».

I pilastri

Insomma, è il mercato una delle bussole. «Finora è stato intaccato solo il 40% del fabbisogno – dice Baccelli – Ma alcuni comprensori sono al limite o l’hanno superato. Si tratta comunque di una variante consentita dal piano e dalla legge». Una variante «non sostanziale», specifica più volte la delibera della Regione. Che non ne inficerebbe i pilastri con cui è stato stilato, quelli dettati anche dalla Ue che pure per le cave auspica un’economia circolare in cui almeno il 10% del materiale venga riciclato. Eccoli: il no al consumo di suolo, la qualificazione delle filiere e la coerenza fra sviluppo economico-produttivo e politiche per la tutela di territorio, ambiente e società.

QOSHE - Cave in Toscana, via al piano che aumenta il tetto all’escavazione: cosa prevede e le richieste delle imprese - Mario Neri
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Cave in Toscana, via al piano che aumenta il tetto all’escavazione: cosa prevede e le richieste delle imprese

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21.03.2024

Troppo gas alle ruspe nelle miniere dei Gessi Pisani, le benne sono scappate di mano anche nelle buche della Garfagnana dove si estraggono calcari industriali di turrite secca e in quelle degli inerti a Poggibonsi. Il turbo, poi, è stato azionato alle fresatrici nel Valdarno. Sono le cave che hanno fatto scattare l’allarme rosso nel monitoraggio dei giacimenti della Toscana. Quelle in cui l’estrazione di materiali da montagne e colline è andata oltre i limiti fissati dal Piano cave varato dalla Regione tre anni e mezzo fa. Si chiamano “Obiettivi di produzione sostenibile”, sono tetti ventennali all’escavazione imposti ai cavatori. Stabiliscono un fabbisogno massimo in metri cubi all’estrazione di marmi, pietre, inerti, materiale ornamentale o da taglio, destinato alle costruzioni o ai cicli industriali. Un confine che la Toscana nel luglio del 2020, data di approvazione del piano, ha ritenuto compatibile con il rispetto dell’ambiente, un confine che avrebbe garantito alle comunità che vivono di cave un equilibrio fra lavoro e natura. Ecco, oggi quell’equilibrio se non si è spezzato, sta vacillando. Per questo la giunta guidata da Eugenio Giani ha deciso di approvare una variante al Piano cave che alza l’asticella del potenziale ricavabile da montagne e colline del 5% in tutto il territorio.

Gli sforamenti

Non è roba da poco. Su scala regionale finora il fabbisogno complessivo stimato dal 2019 al........

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