«Ma quali angeli ed eroi, dopo il Covid siamo tornati a essere dei muli da soma». La dottoressa Alessia Lunardini, 46 anni, di Massa, per quasi metà della sua vita ha lavorato alla Fondazione Monasterio, centro d’eccellenza cardiologico in Toscana con due sedi ospedaliere a Massa e Pisa. Ha iniziato 20 anni fa con l’internato di laurea prima di diventare un’affermata cardiologa pediatrica. Poi, però, ha detto basta e ha rassegnato le dimissioni. Una decisione non presa a cuor leggero, frutto di più fattori, alcuni locali e altri generali. Il primo su tutti (ma non l’unico): i carichi di lavoro diventati sempre più insostenibili.

La storia della dottoressa Lunardini è simile a quella di tanti altri medici toscani, combattuti tra un lavoro, che è prima di tutto una passione, e l’incapacità di non riuscire a svolgere la professione come vorrebbero. «Il contratto prevede che su un totale di 38 ore di lavoro settimanali, quattro siano dedicate alla formazione – racconta il medico – Ecco, io mi sono trovata nella condizione di non riuscire più a formarmi perché tutto il mio tempo era dedicato alle attività assistenziali. La sera, tornando a casa tardi e dopo una lunga giornata, mettersi a studiare era difficile. Mi sentivo in colpa verso i miei pazienti, ma non potevo fare in modo diverso».

Il tempo passa e i dubbi crescono insieme ai carichi di lavoro. «La priorità era rispondere alla richiesta della Regione Toscana di abbattere le liste d’attesa che, sia chiaro, è un principio sacrosanto – racconta Lunardini – ma la strategia per riuscirci era uno soltanto: lavorare ancora di più. È vero, una parte degli straordinari viene pagata, ma questo significa in ogni caso che un medico resti in ospedale almeno 12 ore al giorno con una conseguenza non trascurabile: la stanchezza che si riflette nella nostra attività. E se siamo stanchi, si fanno degli errori».

Anche l’aspetto di «fare sempre più numeri» ha convinto la dottoressa Lunardini a chiudersi la porta dell’ospedale per sempre. «È ormai opinione condivisa tra molti colleghi che buona parte delle prime visite, circa l’80 per cento, non erano così necessarie – prosegue il medico – La verità, però, è che la cardiologia pediatrica non viene considerata negli ospedali periferici e tutto viene rimandato alla Fondazione Monasterio e al Meyer, senza però verificare l’appropriatezza delle richieste. Ho provato a spiegarlo a più riprese, ma senza risultato».

È così che la dottoressa Lunardini inizia a maturare dentro di sé la decisione di andarsene: non vale più la pena restare, non a quelle condizioni. Anche se, per lei, significa cambiare del tutto vita. Firma la dimissioni e si rimette in gioco per diventare un medico di famiglia. «Non è stata una scelta semplice da prendere ma non volevo tornare in un altro ospedale più o meno alle stesse condizioni – conclude – Non è stato facile perché significa, per me, ripartire da capo e frequentare il corso di formazione specifica in medicina generale della durata di tre anni con una borsa di studio misera, ma non importa. Sento ancora il bisogno di curare i pazienti, assisterli, stare loro accanto. Perché, nonostante tutto, credo ancora nel nostro servizio sanitario nazionale e anch’io sento di voler fare la mia parte».

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Alessia, la cardiologa pediatrica fuggita dall'ospedale: «Basta turni massacranti. Mi sono dimessa e ho cambiato vita»

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02.02.2024

«Ma quali angeli ed eroi, dopo il Covid siamo tornati a essere dei muli da soma». La dottoressa Alessia Lunardini, 46 anni, di Massa, per quasi metà della sua vita ha lavorato alla Fondazione Monasterio, centro d’eccellenza cardiologico in Toscana con due sedi ospedaliere a Massa e Pisa. Ha iniziato 20 anni fa con l’internato di laurea prima di diventare un’affermata cardiologa pediatrica. Poi, però, ha detto basta e ha rassegnato le dimissioni. Una decisione non presa a cuor leggero, frutto di più fattori, alcuni locali e altri generali. Il primo su tutti (ma non l’unico): i carichi di lavoro diventati sempre più insostenibili.

La storia della dottoressa Lunardini è simile a quella di tanti altri medici toscani, combattuti tra un lavoro, che è prima di tutto una passione, e........

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