CASCINA. Il manichino di stoffa è appoggiato all’ingresso. Indossa abiti da lavoro scuri e un cappellino beige. Sopra i vestiti, un paio di mutande. «Non vogliamo fare quella fine lì», commenta un gruppo di uomini, indicando il pupazzo. «Vogliamo decidere noi il prezzo dei nostri prodotti». Il caso più eclatante è quello dei finocchi ma – dicono gli agricoltori toscani – è soltanto uno dei tanti: pagati ai produttori 0,30 euro al chilo e rivenduti a più di 3 euro al dettaglio. Patrizio Ladurini, dell’azienda agricola “Fausto e Patrizio” di Pieve Santa Luce, lo spiega con una metafora culinaria: «In ogni piatto da cui i prodotti passano ci viene fatta la scarpetta».

All’inizio della catena ci sono loro, gli agricoltori toscani. Si definiscono «pittori del paesaggio e custodi dell’ambiente». Ora, però, sono stanchi e arrabbiati. Delusi, soprattutto, da un sistema che – dicono – non li tutela più. È per questo che sono lì, nell’area commerciale di Navacchio (ma un altro presidio in Toscana è in corso anche a Bettolle) e ci resteranno chissà per quanto. Mercoledì 31 gennaio. È il secondo giorno di protesta e la fatica inizia a farsi sentire. «Ma non importa, noi stiamo qua», racconta Maurizio Senigagliesi, titolare dell’azienda “Biosecamm” di Pomarance. È lui uno dei fondatori del comitato pisano di “Riscatto agricolo”, nato una decina di giorni fa durante una cena. «Non chiediamo deroghe alle leggi già in vigore – sottolinea Senigagliesi – ma leggi diverse per far sì che ogni impresa agricola abbia la possibilità di programmare il suo futuro a lungo termine. Resteremo qui, fino a quando le nostre istanze non verranno accolte».

Iacopo Lisi, 40 anni, partecipa al presidio. Avrebbe voluto produrre cereali, ma nel suo caso il condizionale è d’obbligo. «Nel 2020 mi sono trovato di fronte a un bivio: – ricorda Lisi – abbandonare questo Paese o credere nel messaggio del nuovo corso di quella politica che diceva di ripartire dalle persone che hanno voglia di lavorare. Mi sono fidato e ho scelto di investire, così ho comprato i macchinari. Nel giro di tre mesi ho trovato 100 ettari di terreni incolti, abbandonati, da coltivare. Peccato, però, che i proprietari si rifiutino di affittarli. Ora i miei macchinari sono fermi e se la situazione non si sblocca sarò costretto a lasciare l’Italia. È ingiusto».

Anche per questo uno dei gridi che si leva da Navacchio è proprio l’abolizione immediata di vincoli e incentivi per non coltivare i terreni: in pratica quell’obbligo che fissa al 4% la quota di terreni incolti e che ora vede l’apertura della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. «La nuova programmazione agricola che deve partire da questa manifestazione è importante per noi, ma anche per il consumatore finale – aggiunge Elia Fornai, 27 anni, alla guida di un’azienda agricola a Santa Luce – Per noi è fondamentale che non ci sia una precarietà economica come adesso: servono leggi che consentano di fare una programmazione a lungo termine. Infatti oltre al valore del grano, molto oscillante, questa nuova politica agricola comunitaria aggiunge ulteriore precarietà ai nostri introiti».

Sventolano le bandiere tricolore, i trattori schierati uno accanto all’altro. Quella degli agricoltori è una comunità unita, anche nelle difficoltà. Non sanno quanto tempo dovranno restare, così si sono organizzati con cibo e bevande. In un’area del parcheggio del centro commerciale di Navacchio, c’è un grande braciere al centro dove si arrostisce la carne, poi ci sono i tavoli con le panche dove mangiano, tutti insieme. Le voci si confondono, parlano tra loro suddivisi in gruppi. Poi aspettano. Martedì 30 gennaio hanno organizzato il funerale del mondo agricolo, con tanto di feretro e necrologio. Il giorno dopo, invece, i trattori sono tornati a “sfilare” per le strade. «È il nostro modo per far sentire che ci siamo e che non ci arrendiamo», spiegano. Il loro “manifesto” – dettagliato in una decina di punti – lo hanno esposto in bella vista davanti al piccolo palco che gli imprenditori agricoli usano per i loro interventi. «La nostra è una protesta apolitica e nel pieno rispetto della legalità – precisano – Ora più che mai, però, è necessaria una revisione completa della politica agricola europea».

La pensa così anche Giulia Ercoli, 27 anni, titolare dell’azienda agricola “Il Mestecale” di Rosignano Marittimo. Ha trascorso la notte dormendo sul suo trattore, ma non ha dubbi: in questa battaglia ogni agricoltore deve fare la sua parte. «Questo lavoro è molto difficile, soprattutto per una donna – racconta – Quando mi sono diplomata come perito agrario, non ho avuto dubbi. La prima volta che sono salita su un trattore avevo cinque anni, ero insieme a mio padre. E quando, più tardi, mi chiedevano cosa volessi fare da grande non ho mai avuto dubbi: avrei fatto l’agricoltore. Dobbiamo rendere questo mondo migliore. E dobbiamo farlo insieme. Per valorizzare il nostro lavoro, è fondamentale vietare l’importazione di prodotti agricoli da altri Paesi dove non sono in vigore gli stessi nostri regolamenti produttivi e sanitari. Serve garantire la libertà di impresa, anche varando leggi che combattano il dumping economico per prodotti agricoli e alimentari».

Anche Adele Bigazzi, 28 anni, alla guida dell’azienda agricola di Volterra che porta il suo nome, spiega che il primo problema è proprio l’incertezza che attraversa il settore. «In Germania la protesta è scoppiata anche per l’abolizione dei sussidi per il gasolio agricolo – conclude – Sappiamo che lo stesso potrà succedere anche in Italia, nel biennio 2026-2028. Oggi, in media, per un pieno di gasolio di un mezzo agricolo servono da 300 a 1.000 euro, ma ci sono le agevolazioni. Dobbiamo difendere i nostri diritti. Fino ad allora noi staremo qui». Scende la sera e gli agricoltori si preparano a trascorrere lì un’altra notte. Prima di un nuovo giorno di protesta

QOSHE - Insieme agli agricoltori toscani in rivolta, dalla disperazione di Elia alla rabbia di Giulia e Adele: «Con queste norme ci costringete a scappare dall'Italia» - Martina Trivigno
menu_open
Columnists Actual . Favourites . Archive
We use cookies to provide some features and experiences in QOSHE

More information  .  Close
Aa Aa Aa
- A +

Insieme agli agricoltori toscani in rivolta, dalla disperazione di Elia alla rabbia di Giulia e Adele: «Con queste norme ci costringete a scappare dall'Italia»

6 1
01.02.2024

CASCINA. Il manichino di stoffa è appoggiato all’ingresso. Indossa abiti da lavoro scuri e un cappellino beige. Sopra i vestiti, un paio di mutande. «Non vogliamo fare quella fine lì», commenta un gruppo di uomini, indicando il pupazzo. «Vogliamo decidere noi il prezzo dei nostri prodotti». Il caso più eclatante è quello dei finocchi ma – dicono gli agricoltori toscani – è soltanto uno dei tanti: pagati ai produttori 0,30 euro al chilo e rivenduti a più di 3 euro al dettaglio. Patrizio Ladurini, dell’azienda agricola “Fausto e Patrizio” di Pieve Santa Luce, lo spiega con una metafora culinaria: «In ogni piatto da cui i prodotti passano ci viene fatta la scarpetta».

All’inizio della catena ci sono loro, gli agricoltori toscani. Si definiscono «pittori del paesaggio e custodi dell’ambiente». Ora, però, sono stanchi e arrabbiati. Delusi, soprattutto, da un sistema che – dicono – non li tutela più. È per questo che sono lì, nell’area commerciale di Navacchio (ma un altro presidio in Toscana è in corso anche a Bettolle) e ci resteranno chissà per quanto. Mercoledì 31 gennaio. È il secondo giorno di protesta e la fatica inizia a farsi sentire. «Ma non importa, noi stiamo qua», racconta Maurizio Senigagliesi, titolare dell’azienda “Biosecamm” di Pomarance. È lui uno dei fondatori del comitato pisano di “Riscatto agricolo”, nato una decina di giorni fa durante una cena. «Non chiediamo deroghe alle leggi già in vigore – sottolinea Senigagliesi........

© Il Tirreno


Get it on Google Play