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LIVORNO. La storia ha inizio negli anni Cinquanta, in un paesino vicino a Cosenza: bei luoghi, ma con disoccupazione e miseria. Arrivò una lettera spedita dal Brasile: “Pietro vieni, c’è lavoro, si sta bene, possiamo crearci una famiglia...”.

Pietro Curcio, ventenne, dà retta all’amico, prenota un posto sulla nave diretta a San Paolo, riempie la valigia di cartone e lascia la Calabria. Là conosce Carolina, calabrese già emigrata da tempo, trova lavoro nelle ferrovie statali come operaio addetto alla manutenzione dei binari, si sposa con la donna della sua vita e nascono sei figli. «Mio nonno con grandi sacrifici li fece studiare tutti, mio padre si laureò, diventò commercialista», ci racconta Felipe, col suo accento portoghese e con un briciolo di commozione.

Percorso inverso

«In quegli anni – commenta – erano tanti gli italiani che cercavano un futuro in Brasile o in Argentina, oppure in Australia. Per cui ho grande rispetto di coloro che adesso vengono in Europa dall’Africa...».

Felipe Curcio ha fatto il percorso inverso rispetto al nonno, che non c’è più, mentre di nonna Carolina, sua tifosa, si occupa suo padre Francisco, 65 anni, la mamma e le due sorelle, Fernanda e Thais. «Solo che io sono un privilegiato – chiarisce il difensore amaranto – ho avuto una adolescenza felice, e poi quando fai il calciatore, a qualunque livello, non c’è mai sofferenza. Credo di essere professionale e rispettoso proprio perché so cosa significa essere disoccupato o fare lavori pesanti».

Inizi nel San Paolo

Felipe sino a 15 anni ha la passione per il calcio a 5, poi entra nel settore giovanile del San Paolo, sempre seguito dal padre, tifosissimo del Palmeiras. «Casa nostra (è cresciuto a Jundiai, 400mila abitanti, affacciata sull’oceano Atlantico, ndr) era a un’ora distanza per cui dormivo in foresteria, sotto la curva dello stadio, con gli altri ragazzi. Eravamo tanti, conservo bei ricordi. Sai, l’unico che ha davvero fatto carriera è Hernani, ora al Parma, col quale poi giocai nell’Atletico Paranense».

I parenti a Cosenza

Fisico possente, corsa, tecnica: perché non provare a sfondare in Italia? Racconta Felipe: «Avevo anche il passaporto italiano e lasciai il Brasile, sapendo che in Calabria potevo contare sui parenti. Con me partì anche mio padre che così ebbe l’occasione di conoscere i suoi cugini: ho ancora negli occhi la commozione e l’affetto che trovammo a Lamezia Terme, al nostro arrivo».

Allenato da De Zerbi

Felipe, diciannovenne, fa alcuni provini, ma è il Foggia, in serie C, che lo mette sotto contratto. Prima è allenato da Pasquale Padalino (lanciato nel Foggia da Zeman, ndr), poi da Roberto de Zerbi che adesso fa parlare di sé nel Brighton. Ci spiega Felipe: «Eravamo estasiati dai metodi di De Zerbi e dal suo modulo e da come voleva che circolasse la palla. Capivamo di essere allenati da un grande. Lui stesso ci diceva: “Ragazzi, so che arriverò in serie A”, e in effetti lo fece col Sassuolo dei miracoli».

Felipe Curcio transita da Andria: «Lì ho conosciuto un altro ottimo allenatore nonché brava persona, Giancarlo Favarin, che l’anno prima aveva vinto il campionato».

Tra Cellino e Sogliano

Arriva il salto di qualità: Curcio è ingaggiato dal Brescia. «Mi chiamò il presidente Cellino. Il primo anno ci salvammo all’ultima giornata, la stagione successiva volammo in serie A». Poi gioca nella Salernitana allenata da Giampiero Ventura, nell’annata dell’epidemia di Covid, sinché non gli telefona il ds Sogliano: “Ti vogliamo a Padova, ti troverai bene”. Tre stagioni dal 2020 al 2023, lì conobbe il tecnico Torrente, ex mitico genoano. «Scesi di categoria, però era un bel gruppo, vincemmo la Coppa Italia. Ma un giorno sentii un dolore all’inguine. Mi curarono male, mi venne la pubalgia. Questo è stato il momento più brutto della mia carriera, perché facevo fatica anche ad alzarmi dal letto».

La chiamata del Livorno

Felipe guarisce e resta senza squadra, ed è storia dell’ottobre del 2023. Il presidente Joel Esciua conosce il suo procuratore e lo chiama. “Vieni, ti alleni da noi, poi vediamo come riprendi...”. Favarin lo accoglie a braccia aperte perché sa che Felipe è un professionista serio e un giocatore di qualità. «Sono grato sia al presidente che all’allenatore – sottolinea – perché se il Livorno non mi avesse ingaggiato sarei tornato a casa, in Brasile. Tra l’altro appena feci due passi per il centro storico con mia moglie (ha sposato Paloma, brasiliana, appena un mese fa, ndr) ci siamo innamorati della città e doverla lasciare ci sarebbe dispiaciuto. Ora abitiamo a Tirrenia, ma potremmo mettere su casa a Livorno perché ci siamo ambientati molto bene».

Emerson e i progetti

Un suo grande amico è Emerson, amatissimo dalla tifoseria labronica. «Anche lui mi ha sempre parlato bene della società e della tifoseria amaranto; ci sentiamo spesso, gioca ancora in Sardegna, ma ha Livorno nel cuore». Felipe sente odore di rientro in squadra a Seravezza: «La noia muscolare l’ho superata. La decisione spetta al tecnico Fossati, un uomo che ci parla molto e ci segue con attenzione. Mi sento recuperato e gli stimoli non mancano con una tifoseria che ci segue con una passione che va anche al di là della categoria in cui militiamo adesso».

Il momento di lottare

Felipe teme soprattutto due squadre: «Grosseto e FolGav a mio avviso sono le più forti, ma ora si deve pensare a Seravezza, altro ottimo complesso. Contro il Querceta ho sofferto dalla tribuna: i miei compagni sono stati bravi, ma avremmo dovuto chiudere prima la partita. Fossati ci ha parlato e spiegato cosa è stato fatto bene e cosa no. Tutta esperienza che cresce. Siamo un bel gruppo, non ci manca niente per continuare a lottare; sarebbe stupendo poter tornare nei professionisti».

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QOSHE - La camera nello stadio di Sao Paulo e la chiamata di Cellino ed Emerson - Sandro Lulli
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La camera nello stadio di Sao Paulo e la chiamata di Cellino ed Emerson

18 0
01.03.2024

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LIVORNO. La storia ha inizio negli anni Cinquanta, in un paesino vicino a Cosenza: bei luoghi, ma con disoccupazione e miseria. Arrivò una lettera spedita dal Brasile: “Pietro vieni, c’è lavoro, si sta bene, possiamo crearci una famiglia...”.

Pietro Curcio, ventenne, dà retta all’amico, prenota un posto sulla nave diretta a San Paolo, riempie la valigia di cartone e lascia la Calabria. Là conosce Carolina, calabrese già emigrata da tempo, trova lavoro nelle ferrovie statali come operaio addetto alla manutenzione dei binari, si sposa con la donna della sua vita e nascono sei figli. «Mio nonno con grandi sacrifici li fece studiare tutti, mio padre si laureò, diventò commercialista», ci racconta Felipe, col suo accento portoghese e con un briciolo di commozione.

Percorso inverso

«In quegli anni – commenta – erano tanti gli italiani che cercavano un futuro in Brasile o in Argentina, oppure in Australia. Per cui ho grande rispetto di coloro che adesso vengono in Europa dall’Africa...».

Felipe Curcio ha fatto il percorso inverso rispetto al nonno, che non c’è più, mentre di nonna Carolina, sua tifosa, si occupa suo padre Francisco, 65 anni, la mamma e le due sorelle, Fernanda e Thais. «Solo che io sono un privilegiato – chiarisce il difensore amaranto – ho avuto una adolescenza felice, e poi quando fai il calciatore, a qualunque livello, non c’è mai sofferenza. Credo di essere professionale e rispettoso proprio perché........

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