Il 2023 sta per tramontare e si riparla di Mes. L’Italia è chiamata a ratificare la riforma del Meccanismo europeo di stabilità, così come hanno fatto tutti gli altri Paesi membri dell’Unione europea. Si tratta di una pillola amara che l’attuale maggioranza non riesce a inghiottire. Il Mes esiste come istituto al di fuori del quadro giuridico della Ue dal 2012, quando è stato introdotto in forza di un Trattato intergovernativo. Ma un Mes con poteri rafforzati rispetto alla formula iniziale mette paura al centrodestra. Uno strumento di sostegno condizionato agli Stati dell’Unione – e non solo agli Stati – che incontrino difficoltà nel finanziarsi sul mercato rischia di trasformarsi in una trappola infernale per quei Paesi che dovessero accedervi. In passato, abbiamo provato a esporre analiticamente le ragioni per le quali tale meccanismo dovrebbe essere messo radicalmente in discussione. Non vogliamo tornarci su per non essere ripetitivi. Quel che rileviamo in questa fase, semmai, è altro.

In particolare, suscita curiosità la posizione della sinistra che, sul tema, incalza la maggioranza accusandola di fare “melina” facendo slittare di continuo il confronto nelle aule parlamentari. Per l’opposizione, la maggioranza non avrebbe il coraggio politico di affrontare l’argomento. La sinistra, invece, nelle sue declinazioni più significative (I Cinque Stelle non sono sinistra), vuole il Mes riformato ed è pronta a votarne la ratifica in Parlamento. L’addebito mosso al centrodestra si focalizza sul danno che verrebbe arrecato all’interesse nazionale dalla circostanza di essere rimasta l’Italia l’unica nazione a non averlo ancora ratificato. È soprattutto la segretaria del Partito Democratico, Elly Schlein, a battere su questo tasto, mettendo in evidenza l’isolamento a cui si starebbe consegnando il nostro Paese. Probabilmente vi stupiremo nel riconoscere, almeno questa volta, a un esponente della sinistra il merito di aver centrato il problema che affligge la gamba non moderata del centrodestra. Intendiamoci, restiamo fortemente contrari all’introduzione del Mes nella nuova formulazione. Su questo non abbiamo cambiato idea.

Tuttavia, c’è del vero in ciò che dice la Schlein quando denuncia la solitudine dell’Italia. Il fatto è che il restare soli a sostenere una posizione di principio non soltanto non spaventa Giorgia Meloni, ma – ci spingiamo oltre – abbiamo la fondata convinzione che tale isolamento al Governo non spiaccia affatto. Che quasi ci goda. Come mai? Per comprendere il senso della postura assunta dalla destra sull’argomento Mes bisogna risalire alle radici ideali dell’idem sentire di destra. Da questa parte del campo sopravvive la sindrome dell’eroe solitario. Cos’è e chi è costui? L’archetipo dell’eroe, centrale nella cosmogonia cara alla destra, richiama la figura di un essere umano in grado di levarsi al disopra degli altri in quanto potente, forte, di nobile stirpe e pronto a sacrificare sé stesso per un bene comune. L’uomo e la donna di destra è così che intimamente si sentono e percepiscono la loro partecipazione alla storia dell’umanità. Ed è così che, nel fare politica, interpretano il proprio ruolo in relazione all’impegno sacrale di rappresentare l’interesse del popolo all’interno delle pubbliche istituzioni. In soccorso della natura eroica del militante di destra interviene il mito. La lotta come motore propulsore del divenire delle comunità umane; la necessità di identificare il nemico funzionale all’affermazione del proprio senso di giustizia; la vocazione a proteggere e servire, sono i componenti di cui è fatta la materia dell’uomo di destra. Lungi dal risuscitare stagioni e correnti di pensiero sepolte sotto la polvere della storia, pur si scorge un sottile nesso sentimentale con un passato nel quale veniva enfaticamente affermato l’autoassolutorio comandamento del “Molti nemici molto onore”.

Al contrario, la sinistra ha nel proprio Dna l’idea dell’adesione a contesti più larghi possibili – dai gruppi umani alla comunità degli Stati – per fare massa critica. Da sempre, comunisti, socialisti, perfino anarchici, hanno coltivato il mito delle “Internazionali” quale proiezioni speculari oltre i confini nazionali delle masse organizzate nelle forme partitiche. Per la sinistra, più del contenuto di un patto vale l’adesione al patto. Ragione per la quale essere accettati dalla maggioranza dei partecipanti a un’assise plurale è di gran lunga preferibile all’ottenimento di un vantaggio individuale che comporti, come prezzo, l’isolamento dal contesto collettivo. Ciò, in qualche misura, spiega la preoccupazione, al limite dell’ossessione, della sinistra italiana di restare saldamente legata al carro di Bruxelles, a costo di diventarne la “serva sciocca”. Per la destra è l’esatto contrario. Il vulnus non è rimanere da soli a battersi per qualcosa in cui si crede, ma rinunciare a farlo. È la ragione per la quale, in passato, la destra ha menato vanto del suo splendido isolamento. Oggi, però, che è al governo della nazione non può accontentarsi di sacrificarsi per tutelare la coerenza delle proprie posizioni di principio. Il sacrificio deve trasferirsi a un diverso piano valoriale e politico. La ricerca di qualcosa di nuovo, che porti a giustificare nel perseguimento di un bene superiore l’abbandono di posizioni prima giudicate irrinunciabili, è la chiave di volta per comprendere come nell’azione di governo la teoria e la prassi possano trovare un punto di conciliazione.

Ritornando alla questione del no al Mes, potrà accadere che la Meloni, in una logica di “pacchetto”, dia il via libera alla ratifica del Trattato di riforma dello strumento comunitario. Il che, tradotto, significa aver ottenuto dell’altro dai partner con cui è in atto il confronto. La contropartita potrebbe essere la riforma del Patto di Stabilità nella direzione indicata dal Governo italiano. Se ciò dovesse accadere si potrà ugualmente accusare Giorgia Meloni di aver tradito la parola data agli elettori? Se mostrerà di aver ricevuto in cambio qualcosa di più prezioso per l’interesse nazionale, nessuno – a eccezione dell’opposizione di sinistra – le chiederà conto e ragione del suo dietrofront sul Mes. Se, invece, dovesse cedere sulla ratifica senza aver ottenuto nulla a corrispettivo sarà un bel problema perché la sua gente – il popolo di destra – non ne sarà per niente compiaciuta.

Aggiornato il 13 dicembre 2023 alle ore 09:59:22

QOSHE - Mes: elogio della solitudine - Cristofaro Sola
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Mes: elogio della solitudine

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13.12.2023

Il 2023 sta per tramontare e si riparla di Mes. L’Italia è chiamata a ratificare la riforma del Meccanismo europeo di stabilità, così come hanno fatto tutti gli altri Paesi membri dell’Unione europea. Si tratta di una pillola amara che l’attuale maggioranza non riesce a inghiottire. Il Mes esiste come istituto al di fuori del quadro giuridico della Ue dal 2012, quando è stato introdotto in forza di un Trattato intergovernativo. Ma un Mes con poteri rafforzati rispetto alla formula iniziale mette paura al centrodestra. Uno strumento di sostegno condizionato agli Stati dell’Unione – e non solo agli Stati – che incontrino difficoltà nel finanziarsi sul mercato rischia di trasformarsi in una trappola infernale per quei Paesi che dovessero accedervi. In passato, abbiamo provato a esporre analiticamente le ragioni per le quali tale meccanismo dovrebbe essere messo radicalmente in discussione. Non vogliamo tornarci su per non essere ripetitivi. Quel che rileviamo in questa fase, semmai, è altro.

In particolare, suscita curiosità la posizione della sinistra che, sul tema, incalza la maggioranza accusandola di fare “melina” facendo slittare di continuo il confronto nelle aule parlamentari. Per l’opposizione, la maggioranza non avrebbe il coraggio politico di affrontare l’argomento. La sinistra, invece, nelle sue declinazioni più significative (I Cinque Stelle non sono sinistra), vuole il Mes riformato ed è pronta a votarne la ratifica in Parlamento. L’addebito mosso al centrodestra si focalizza sul danno che verrebbe arrecato all’interesse nazionale dalla........

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