La guerra in Israele non è estranea alla nuova fase di attacco russo sul territorio ucraino. Una certa lentezza ed ambiguità da parte di un “Occidente” che fa fatica a destreggiarsi tra due crisi di peso geopolitico, sta favorendo l’utopia di Mosca di fare capitolare Kiev. Vladimir Putin ostenta ancora il “concetto” di “operazione militare speciale”, non si sa bene se per convincersi che questa guerra, che sta raggiungendo i due anni di durata, sia ancora in un “quadro ideologico neo-imperialista”, oppure è ormai obbligato a tenere il punto, vista l’impossibilità di giustificare, altrimenti, l’enorme sacrificio umano pagato dai soldati russi (prevalentemente provenienti dagli Stati della “Federazione est”). Inoltre, anche la mutilazione, non di tutte, di una serie di dinamiche economiche che guardavano a ovest, sta saturando la sopportazione di molti magnati dal respiro economico auro-asiatico. Ma per lo “Zar Putin I” poco conta il “contorno”, oggi servono alleanze opinabili come il “cobelligerante soft” Iran, o pragmatiche sponde come il gruppo dei Brics Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica – dal primo gennaio allargato robustamente con l’Argentina del liberista Javier Milei, con l’Egitto (seconda più grande economia africana), Etiopia, un “impero” in espansione economica rapida, e i colossi petroliferi dell’Arabia Saudita, Iran ed Emirati.

Fatto sta che la sua guerra presenta un fronte quasi congelato, non a livello temperature, ma per le magre conquiste territoriali russe, e ovviamente anche da parte ucraina. Così la Russia che all’inizio dell’invasione dell’Ucraina, nel febbraio del 2022, aveva conquistato un quarto del territorio ucraino, è stata costretta a ritirare il suo esercito senza poter stabilizzare l’area del Paese occupata; nonostante le coreografiche e propagandistiche annessioni, tramite referendum, di quelle che Putin considera le due nuove Repubbliche della Federazione russa, il Donetsk e Lugansk, la 23esima e la 24esima. A fine anno le Fau-Forze armate ucraine, nella loro controffensiva iniziata all’inizio di giugno del 2023, hanno liberato almeno cinquecento chilometri quadrati di territorio occupato dai russi, ma in contrapposizione hanno perso altrettanto terreno durante le varie controffensive di Mosca. Quindi, il fronte potremmo definirlo congelato da quasi un anno, in Ucraina la zona controllata dai due contendenti è pressoché rimasta immutata. A oggi, dopo annunci e esibizioni televisive di Putin, dopo pochi progressi e nonostante le offensive annunciate dallo stato maggiore russo in primavera, Mosca controlla solo poco più del 17 per cento del territorio ucraino. A marzo 2022, al culmine del suo progresso, ne occupava, come già ricordato, circa il venticinque percento.

Ma adesso la differenza la fa il terrore che oscura il cielo ucraino; con una abominevole – ma in guerra tutto è fattibile – tattica dello Zar, tesa a una impossibile capitolazione dell’Ucraina; così, alla fine di dicembre, ha lanciato uno dei più pesanti attacchi contro i civili ucraini. Il Paese è infatti martoriato da una pioggia di droni e missili, che hanno come obiettivo edifici civili, e altre infrastrutture funzionali alla sopravvivenza dei cittadini. Una recrudescenza che non dà tregua nemmeno alla capitale e a città strategiche come Odessa. Oggi l’Ucraina soffre di gravi carenze di missili, sistemi di difesa aerea, aviazione e munizioni, minando seriamente le capacità difensive. Una parte importante delle armi promesse a Volodymyr Zelensky, durante i suoi pellegrinaggi a ovest, non è stata consegnata; e la sua controffensiva del 2023 è fallita proprio a causa di queste mancanze. Per contro, la Russia ha applicato un’economia di guerra, aumentando il budget militare del settanta per cento, con un continuo e articolato reclutamento di soldati, molti “carne da cannone”. Poi ha messo in campo oltre millecinquecento nuovi carri armati, oltre ventimila droni, ma soprattutto Putin è sostenuto logisticamente da Iran, Corea del Nord, Turchia e anche Cina. Tutti Stati accomunati da regimi autoritari.

Perché in questi due anni l’Ucraina non ha adeguato la produzione industriale militare alle esigenze di guerra? Alcuni analisti sostengono che sia costosa tale operazione; ma quanto pesa, a livello pecuniario, ogni giorno di conflitto armato in più? Una analisi di uno gruppo di studio operante in Estonia, citato anche dall’editore francese Nicolas Tenzer, afferma che se tutti gli alleati dell’Ucraina aumentassero le spese militari dello 0,25 per cento del Pil, Kiev potrebbe vincere la guerra in circa un anno. Non ritengo che la Russia possa mai perdere una guerra, essendo una potenza nucleare (come Israele), ma se questo studio fosse attendibile, il sostegno all’Ucraina non è, quindi, una questione economica, ma forse politica! Fatto sta che il “congelamento” del fronte russo-ucraino non può durare a lungo, soprattutto per il “calore” proveniente dal bollente Vicino Oriente.

Aggiornato il 11 gennaio 2024 alle ore 10:04:20

QOSHE - Russia-Ucraina: un fronte congelato - Fabio Marco Fabbri
menu_open
Columnists Actual . Favourites . Archive
We use cookies to provide some features and experiences in QOSHE

More information  .  Close
Aa Aa Aa
- A +

Russia-Ucraina: un fronte congelato

3 0
11.01.2024

La guerra in Israele non è estranea alla nuova fase di attacco russo sul territorio ucraino. Una certa lentezza ed ambiguità da parte di un “Occidente” che fa fatica a destreggiarsi tra due crisi di peso geopolitico, sta favorendo l’utopia di Mosca di fare capitolare Kiev. Vladimir Putin ostenta ancora il “concetto” di “operazione militare speciale”, non si sa bene se per convincersi che questa guerra, che sta raggiungendo i due anni di durata, sia ancora in un “quadro ideologico neo-imperialista”, oppure è ormai obbligato a tenere il punto, vista l’impossibilità di giustificare, altrimenti, l’enorme sacrificio umano pagato dai soldati russi (prevalentemente provenienti dagli Stati della “Federazione est”). Inoltre, anche la mutilazione, non di tutte, di una serie di dinamiche economiche che guardavano a ovest, sta saturando la sopportazione di molti magnati dal respiro economico auro-asiatico. Ma per lo “Zar Putin I” poco conta il “contorno”, oggi servono alleanze opinabili come il “cobelligerante soft” Iran, o pragmatiche sponde come il gruppo dei Brics Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica – dal primo gennaio allargato robustamente con l’Argentina del liberista Javier Milei, con........

© L'Opinione delle Libertà


Get it on Google Play