Allora, è vero o no che il mondo soffre di una grave malattia “multipolare”? Sì, indubbiamente, se il termometro che ne misura la febbre è quello delle guerre e dei colpi di Stato antidemocratici. Ma, in questo senso, è meglio tenersi lontani dai dogmatismi che esemplificano l’andamento di questo crescente caos entropico con l’equazione semplicistica “Autocrazie versus Democrazie”, dato che gli Stati, i nazionalismi, le coalizioni temporanee di interessi intersezionali tra entrambi i gruppi non si prestano a nessuna categorizzazione omogenea. Ovvero, oggi non c’è più e non ci potrà essere ancora per molto tempo un discrimine netto, come al tempo della Prima guerra fredda, tra ciò che è “di mio dominio” e quello che invece sta nel tuo. Nel senso che, dopo il 1945 e fino al 1991, il blocco sovietico e quello occidentale erano in grado di controllare l’iniziativa politica dei propri satelliti, affinché nessun conflitto tra questi ultimi potesse chiamare in causa i rispettivi ed equivalenti “articolo 5” dei Trattati, noti come “Patto di Varsavia” e “Patto Atlantico”. Nel senso che qualcosa a bassa intensità poteva pure accadere tra i loro soci minori schierati su blocchi contrapposti, ma nulla di talmente grave e insidioso che potesse condurre allo scontro diretto tra Usa e Urss. Oggi, purtroppo, non è più così. A cambiare tutti i dati di sistema è stata dapprima la globalizzazione incontrollata e, attualmente, la sua crisi irreversibile che ha riflessi diretti sulla bipartizione nominale (ma per ora non politica, né strutturata) in Global South e Global North, che rende in parte quasi obbligate le strategie di de-coupling parziale e di de-risking, per evitare, a causa delle catene globali, di dover dipendere da Stati esteri per gli approvvigionamenti di prodotti strategici d’interesse nazionale.

In particolare, non si può lasciare alla Cina la produzione dei principi attivi degli antibiotici (o del fentalyn!), né consentirne l’accesso ai conduttori avanzati, utilizzati nei computer, nella missilistica e nella produzione di sistemi d’arma evoluti. Né, tantomeno, si può lasciare il monopolio sull’Intelligenza artificiale a Cindia (crasi tra Cina e India), in cui si concentrano oggi il meglio della materia grigia che sovrintende alla produzione di software e di piattaforme informatiche. Ora, un primo aspetto del tasso di destabilizzazione che ci riguarda da vicino come Ue, per il suo impatto sui flussi migratori illegali, viene dalla così detta “Coupe belt” africana (o “Cintura dei golpe”) degli Stati che fanno parte della regione del Sahel. In questa inquieta parte dell’Africa contemporanea si assiste, da un lato, alla penetrazione spregiudicata della Russia di tipo prettamente militare anti-Isis e anti-Jihad. Dall’altro, nella stessa regione, la Cina mantiene un profilo soft, proponendo i suoi grandi progetti infrastrutturali per lo sviluppo, finanziati dai capitali della Belt & Road Initiative. D’altra parte, a livello globale, occorre prendere atto della fine (prematura?) della Pax americana post-1945, rimessa in discussione da grandi potenze, come India, Cina e Russia. In particolare, alla luce dei recenti avvenimenti, Mosca e Pechino, con il loro rifiuto dei “principi universali” dell’Occidente “neocolonialista”, intendono convincere gli altri partner del Global South a creare le premesse per un’alternativa spendibile al dominio del dollaro.

Sul piano economico, è vero che gli Usa occupano ancora il primo posto nel mondo, ma il loro momento unipolare è in via di dissolvimento, mentre il principale blocco della sua alleanza, costituito da Ue e Giappone, attraversa una parziale crisi economica. Anche perché la middleclass americana è favorevole a un minore coinvolgimento globale degli Stati Uniti, mentre l’ala più conservatrice dei repubblicani predica apertamente l’isolazionismo. Il fenomeno che sembra attualmente prevalere è pertanto l’instabilità. Negli anni Novanta, molti Paesi tendevano a implementare risolutamente il modello democratico di libertà civili e dell’economia di mercato, aderendo alle regole della globalizzazione. Adesso, invece, si assiste al rafforzamento progressivo di un ciclo di populismo, interventismo economico e globalizzazione transazionale. Il tutto favorito da una crescente zona di impunibilità, in cui non hanno più giurisdizione né le istituzioni internazionali né i poteri globali. Si vedano i conflitti in Armenia, Yemen, Ucraina e Palestina. Nel prossimo futuro, un ulteriore elemento di caos sarà determinato dallo strano trio Russia, Cina e Iran che però non hanno nulla in comune con ciò che caratterizza l’affinità tra democrazie occidentali. Per di più, il maggiore tra di loro, la Cina, gioca un ruolo fondamentale nell’interdipendenza economica globale con l’Occidente da cui, per ora, non si può separare. Del resto, oltre all’odio comune per l’America, i tre rispettivi regimi sono profondamente diversi tra di loro, e tutti devono affrontare vulnerabilità simili, come la crisi demografica ed economica, alle quali si somma la necessità di dover reprimere con sempre maggior forza la dissidenza interna. Ci basterà per sopravvivere senza perdere la democrazia strada facendo?

Aggiornato il 12 dicembre 2023 alle ore 11:11:34

QOSHE - Disordine multipolare: governare il Caos - Maurizio Guaitoli
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Disordine multipolare: governare il Caos

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12.12.2023

Allora, è vero o no che il mondo soffre di una grave malattia “multipolare”? Sì, indubbiamente, se il termometro che ne misura la febbre è quello delle guerre e dei colpi di Stato antidemocratici. Ma, in questo senso, è meglio tenersi lontani dai dogmatismi che esemplificano l’andamento di questo crescente caos entropico con l’equazione semplicistica “Autocrazie versus Democrazie”, dato che gli Stati, i nazionalismi, le coalizioni temporanee di interessi intersezionali tra entrambi i gruppi non si prestano a nessuna categorizzazione omogenea. Ovvero, oggi non c’è più e non ci potrà essere ancora per molto tempo un discrimine netto, come al tempo della Prima guerra fredda, tra ciò che è “di mio dominio” e quello che invece sta nel tuo. Nel senso che, dopo il 1945 e fino al 1991, il blocco sovietico e quello occidentale erano in grado di controllare l’iniziativa politica dei propri satelliti, affinché nessun conflitto tra questi ultimi potesse chiamare in causa i rispettivi ed equivalenti “articolo 5” dei Trattati, noti come “Patto di Varsavia” e “Patto Atlantico”. Nel senso che qualcosa a bassa intensità poteva pure accadere tra i loro soci minori schierati su blocchi contrapposti, ma nulla di talmente grave e insidioso che potesse condurre allo scontro diretto tra Usa e Urss.........

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