Amava definirsi un cowboy il che, detto fra noi, è l’opposto di uno che sta incollato alla scrivania, come ogni diplomatico che si rispetti. Ma prima di parlare di Henry Kissinger a tutto campo, bisogna ricordare che aveva cominciato con John Fitzgerald Kennedy ma se ne era andato subito perché, disse, “non andavo per niente d’accordo con lui”, e si può ben comprendere il dissenso politico da parte di un repubblicano doc con tendenza a destra. E infatti fu Richard Nixon il suo Pigmalione. Poi Gerald Ford.

Finirono ben presto col chiamarlo il burattinaio della politica estera americana ma il titolo, sussurrato fra gli addetti i lavori, pare sia stato per così dire amplificato da Oriana Fallaci, che gli dedicò una lunga intervista senza perdonargliene una, arrivando persino a criticare il Nobel conferitogli con un impietoso: “Povero Nobel”.

Ad ogni buon conto, la sua tecnica diplomatica era e rimane la più alta di questi (suoi) cento anni, a parte i cattivi giudizi su Salvador Allende la cui colpa, secondo Henry (prima si chiamava Heinz), era quella di definirsi marxista, titolo obbrobrioso del male assoluto da sconfiggere con Augusto Pinochet. Restano non poche ombre sul suo interessamento a proposito di quel sanguinoso coup d’état.

Eppure il suo nome rimarrà scolpito nei marmi di Washington e di Pechino perché è dovuta a lui e soltanto a lui, nell’incredulità di molti, l’apertura con la Cina, immenso colosso comunista chiuso a chiave con gli Usa e non solo. E fu il disgelo, parola ormai lontana ma pur sempre significativa. Fu infatti un artefice decisivo della distensione e lo si vedrà anche negli anni successivi, negli incontri con i boss del Cremlino con i quali stabilì veri rapporti.

Poi fu nominato Segretario di Stato ma non smise mai di tenere conferenze seguitissime, incontri con i diversi leader mondiali e, soprattutto, di dare consigli ai numerosi presidenti, fra cui Donald Trump, che lo teneva molto in considerazione.

Non aveva mai dimenticato la sua vera professione. I suoi sguardi sempre attenti sul mondo rimanendo sempre legato all’Occidente e innanzitutto a quegli Stati Uniti d’America che l’avevano accolto molto giovane, proveniente dalla Germania. Era bensì un super diplomatico sia pure in pensione, ma rimaneva quell’acuto, impareggiabile osservatore della faccende politiche in zone che scottano.

Interrogato tempo fa circa la Russia, Kissinger rispose senza esitazione che quel Paese non doveva entrare nella Nato. Il che era invece possibile e fattibile per l’Ucraina.

Anni fa, in uno dei suoi viaggi around the world, incontrò il nostro Indro Montanelli a cui disse: “Verrei volentieri in Italia ma senza parlare di politica. La politica italiana è troppo complicata”.

Aggiornato il 01 dicembre 2023 alle ore 09:31:14

QOSHE - Colui che rivoluzionò la diplomazia mondiale - Paolo Pillitteri
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Colui che rivoluzionò la diplomazia mondiale

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01.12.2023

Amava definirsi un cowboy il che, detto fra noi, è l’opposto di uno che sta incollato alla scrivania, come ogni diplomatico che si rispetti. Ma prima di parlare di Henry Kissinger a tutto campo, bisogna ricordare che aveva cominciato con John Fitzgerald Kennedy ma se ne era andato subito perché, disse, “non andavo per niente d’accordo con lui”, e si può ben comprendere il dissenso politico da parte di un repubblicano doc con tendenza a destra. E infatti fu Richard Nixon il suo Pigmalione. Poi Gerald Ford.

Finirono ben presto col chiamarlo il burattinaio della politica estera americana ma il titolo, sussurrato fra gli addetti i lavori, pare sia stato per così dire amplificato da........

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