Ripetere il 2022 era impossibile, ma le prime stime dei bilanci delle società della moda in Italia e all’estero confermano che il settore continua a mietere utili, anche se il suo impatto sulle Borse rimane contenuto. Mediobanca ha di recente pubblicato il nuovo report sulla moda che analizza i dati finanziari e di sostenibilità delle 80 maggiori multinazionali della moda con ricavi superiori e delle 175 maggiori aziende italiane con fatturato superiore a 100 milioni.

Le prime evidenze per il 2023 confermano un ulteriore anno di crescita (+7% sul 2022), con un incremento accentuato per il lusso con un +9%. Una crisi di mercato non è all’orizzonte, ed è per questo che le Borse continuano ad alimentare gli investimenti, dedicati a rafforzare soprattutto la logistica e gli approvvigionamenti. Per il 2024 previsto un rallentamento della crescita +4%. I dati consolidati riferiti al 2022, fanno colpo. Le 80 maggiori multinazionali della moda hanno fatturato complessivamente 566 miliardi di euro, oltre la metà generato dai marchi europei e solo un terzo da quelli Usa. A est solo briciole.

Secondo Mediobanca «le aziende italiane riflettono la varietà e creatività imprenditoriale del nostro Paese; sono quindi più numerose, ma di dimensione inferiore. Tra i 37 gruppi europei, l’Italia con i suoi 12 big (in testa Essilor, Prada, Oniverse, Moncler e Armani) è il Paese con più protagonisti, ma è la Francia ad aggiudicarsi il primato per giro d’affari (43% del totale europeo), poi Germania (11%), Spagna e Regno Unito (10%) e Italia al 7. Al primo posto per ricavi tra i colossi mondiali si conferma LVMH (79 miliardi per 75 marchi dall’abbigliamento agli orologi, dall’abbigliamento alla gioielleria, dalle bevande alla cosmetica). Seguono Nike (48), la spagnola Inditex (32, Zara) EssilorLuxottica (24), la tedesca Adidas (22,5), l’altro player francese del lusso Kering (20 Gucci, Ysl e Bottega Veneta) la svedese H&M (20), il gruppo svizzero Richemont (20), quello giapponese Fast Retailing (Uniqlo 16) e Chanel (16).

Prima tra gli italiani Prada (4,2), al 33esimo posto seguita da Oniverse (Calzedonia, Intimissimi e Tezenis) Moncler e Giorgio Armani. In questo settore i piccoli sono schiacciati. Ecco perchè le cessioni di nostri tanti marchi agli stranieri sono più una necessità che una fuga dal business. Il giro d’affari complessivo è concentrato: le prime dieci multinazionali rappresentano oltre la metà dei ricavi aggregati, con LVMH che da sola ne concentra il 14%. La reddività dei brand della moda è elevata: solo dopo la farmaceutica, ma con investimenti di gran lunga inferiori. Le aziende del lusso hanno ricavi elevati (+24% sull’anno precedente), mentre i marchi “mass-market” sono al 10. Sui capitali investiti gli italiani con tasso doppi della media del settore e più alto anche dei francesi. Il podio è tutto tricolore: Valentino (23,6%), OTB (20,2%), Prada (17,2%).

Con queste dimensioni di ricavi le multinazionali della moda godono di una struttura finanziaria più solida del manifatturiero. Un dato interessante proviene dai dati sulla forza lavoro: il 36% della forza lavoro delle multinazionali della moda ha meno di 30 anni, con quelle statunitensi oltre la media (48%), mentre le europee sono allineate al dato globale: le tedesche e le britanniche sono al di sopra (rispettivamente 43% e 41%), le italiane al di sotto (25%). Il ricorso al part-time è intenso nei gruppi statunitensi (51%) e tedeschi (41%), mentre i player nazionali registrano il valore più basso (9%) dopo quelli cinesi (1%). La forza lavoro nelle multinazionali della moda è impegnata in massima parte nella rete di vendita e nella logistica (57%) cui seguono gli uffici amministrativi (24%) e gli stabilimenti (19%). Nei gruppi la cui attività principale è la creazione, il design e la vendita del prodotto, i processi produttivi sono completamente delegati a fornitori esterni. Al contrario, nei gruppi che adottano una strategia di produzione interna (in house), un dipendente su tre è addetto alla produzione.

La supply chain, i fornitori dei maggiori player mondiali della moda sono localizzati per il 62% in Asia, per il 29% in Europa e per il 7% nelle Americhe, con punte di oltre il 90% in Asia per le calzature sportive. Il ricorso a fornitori asiatici è più marcato per i gruppi nordamericani rispetto a quelli europei (73% vs 43%) che concentrano nel Vecchio Continente oltre la metà dei propri fornitori adottando una strategia di prossimità alla ricerca di maggiore qualità. Ma l’Italia ha un record; quello legato alla distribuzione. Il 29% dei fornitori dei gruppi europei della moda ha sede in Italia, quota che sale ai due terzi per i player del lusso.

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Moda, utili da capogiro

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11.03.2024

Ripetere il 2022 era impossibile, ma le prime stime dei bilanci delle società della moda in Italia e all’estero confermano che il settore continua a mietere utili, anche se il suo impatto sulle Borse rimane contenuto. Mediobanca ha di recente pubblicato il nuovo report sulla moda che analizza i dati finanziari e di sostenibilità delle 80 maggiori multinazionali della moda con ricavi superiori e delle 175 maggiori aziende italiane con fatturato superiore a 100 milioni.

Le prime evidenze per il 2023 confermano un ulteriore anno di crescita ( 7% sul 2022), con un incremento accentuato per il lusso con un 9%. Una crisi di mercato non è all’orizzonte, ed è per questo che le Borse continuano ad alimentare gli investimenti, dedicati a rafforzare soprattutto la logistica e gli approvvigionamenti. Per il 2024 previsto un rallentamento della crescita 4%. I dati consolidati riferiti al 2022, fanno colpo. Le 80 maggiori multinazionali della moda hanno fatturato complessivamente 566 miliardi di euro, oltre la metà generato dai marchi europei e solo un terzo da quelli Usa. A est solo briciole.

Secondo Mediobanca «le aziende italiane riflettono la varietà e........

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