Nel giustamente celebre capitolo 32 dei “Promessi Sposi”, Alessandro Manzoni, con l’ironia feroce nei confronti degli esseri umani che rappresenta la cifra più alta della sua produzione, scrive che “il buon senso c’era; ma se ne stava nascosto, per paura del senso comune”.

Sono pagine, quelle dedicate alla peste e alla leggenda metropolitana degli untori, che, assieme a quelle sull’assalto ai forni, ognuno di noi, ma soprattutto i politici, i giornalisti e i vip di ogni genere e modello dovrebbero mandare a memoria. E dovrebbero poi ricordarsi, i nostri illuminati statisti, i nostri aurei opinionisti, i nostri formidabili analisti, con quale furia il grande scrittore fa a pezzi la demagogia, la superficialità, la stupidità diffamatoria che anima la gente, la massa, il popolo bue quando diventa preda del luogo comune, del sentire comune, del sospetto basato sul nulla, della dietrologia, del complottismo, dell’ipocrisia manichea, della chiamata di correo universale. Quando tutti dicono la stessa cosa, quando tutti pensano la stessa cosa, quando tutti pontificano sulla stessa cosa, ma proprio tutti, tutti tutti, beh, è probabile che quella cosa non sia vera.

C’è qualcosa di irritante, anzi, qualcosa di insopportabile, nella colata di retorica densa e melensa che da giorni ci perseguita sulla tragica vicenda di Giulia Cecchettin, uno dei delitti più atroci e sconvolgenti della nostra storia recente. Un profluvio di banalità, slogan e speculazioni che, con il passare del tempo, stanno trasformando la sciagura in un circo, una fiera delle vanità, una caccia all’untore, soprattutto, inserita in uno scolo mainstream che propaga alla nazione marmoree certezze, verità inoppugnabili, capri espiatori. E tutti parlano e parlano e parlano, quando l’unica cosa opportuna sarebbe il silenzio. E il rispetto.

Come sempre, i primi a lucidare il trombone del luogocomunismo sono stati i politici, quelli di destra, secondo i quali i femminicidi sono colpa della sinistra, e quelli di sinistra, secondo i quali i femminicidi sono colpa della destra. E tra questi si è distinto il ministro degli Esteri Tajani, certo che tutti gli uomini dovrebbero vergognarsi (sottintendendo che tutti gli uomini sono potenziali assassini delle loro compagne…). Poi è sceso in campo il ministro della Giustizia Nordio, che ha annunciato che è tutta colpa della “sciatteria etica” di questa generazione (mentre invece in tremila anni di storia nessun uomo ha mai ucciso la propria moglie…). E infine è arrivato il ministro dell’Istruzione Valditara, che ha promesso psicologi e influencer in ogni scuola per spiegare il rispetto delle donne (quindi ci pensano Crepet e la Ferragni…).

Ma i politici sono niente rispetto alla meravigliosa categoria degli intellettuali, che, un po’ come i furbi di Boccaccio, una ne fanno e cento ne pensano. Massimo Gramellini, il più clamoroso trombone del giornalismo nazionale, ha scolpito nella pietra che ci vogliono corsi di educazione sentimentale nelle scuole (ignorando che l’unica Educazione sentimentale che abbia un senso è quella scritta da Flaubert e che parla di tutt’altro…) e basta immaginarli i nostri poveri ragazzi, alla quinta ora del sabato, a ripetere a filastrocca che bisogna essere buoni e rispettosi delle donne. Ridicolo. Eppure niente al confronto di Francesco Piccolo, forse il più scarso tra gli scrittori scarsi, secondo il quale non esiste un maschio progressista (evidentemente sono tutti reazionari, sessisti e maschilisti…), e del sedicente romanziere Maurizio Maggiani, che ricorda a tutti che i maschi “si devono arrendere, perché il loro potere è finito” (e quindi ogni uomo di potere è un potenziale femminicida…). Senza dimenticare l’attrice (?) Cristiana Capotondi, che per lei è tutta colpa della “trap” (mentre invece il blues e il rock sono generi per chierichetti…).

Però il picco del grottesco lo ha raggiunto la filosofa Michela Marzano, che non ha esitato a rimarcare che testi classici quali “Madame Bovary”, “Anna Karenina” ma anche “La bella addormentata nel bosco” siano rigonfi di stereotipi legati alla cultura dello stupro. E dunque, attenzione a leggerli! Ora, a parte che si è dimenticata dello stupro di gruppo del film capolavoro “Cane di paglia” e del doppio stupro del film capolavoro “C’era una volta in America” (ma ne potremmo citare a dozzine) e a parte che la grande letteratura è colma e stracolma di assassini, violenze e donne brutalizzate e uccise, per non parlare di innumerevoli pagine della Bibbia, e a parte che tutti i filosofi greci erano razzisti e schiavisti e consideravano la donna un essere inferiore, la domanda vera è questa: che cosa si è bevuta la Marzano?

Se uno segue le dichiarazioni psichedeliche che escono a getto continuo finisce in manicomio. Un impazzimento generale che butta tutto dentro il frullatore della demagogia, del qualunquismo, del tartufismo. Perché è tutta colpa del patriarcato! Bene, a parte l’obbligo di arrestare il padre di Filippo Turetta, come mai allora gli uomini uccidono le donne anche nelle società ultraevolute? Perché le pene non sono sufficienti! Bene, se non è sufficiente un ergastolo, cosa è sufficiente? Due ergastoli? Tre ergastoli? La tortura? La pena di morte? Lo sappiamo che nella società più violenta dell’Occidente, gli Stati Uniti, la pena di morte è in vigore quasi ovunque (ti friggono, ti impiccano, ti avvelenano, ti fucilano) e che questo deterrente per un criminale o un pazzo equivale a zero? Perché servono nuove leggi! Bene, quale legge avrebbe potuto salvare Giulia? E poi, esiste solo il femminicidio? E l’infanticidio no? Il parricidio no? L’omicidio razziale no? L’omicidio religioso no? Cosa facciamo, la classifica dell’omicidio più omicidio degli altri? E chi lo stabilisce? Chi lo decide? Gramellini? La Marzano? La Schlein? Lollobrigida?

Il buon senso, quello del Manzoni, capisce perfettamente - anche se ha paura a palesarsi - che dietro questo grande circo ridicolo c’è qualche cosa di più profondo. Di più terribile. Di più eterno. L’essere umano forte e prevaricatore che schiaccia l’essere umano debole e inerme, questa è la verità universale. E non è questione di genere, razza, censo o educazione. È questione di cos’è l’individuo. Il suo mistero. È questione di cos’è quel ramo storto che è l’essere umano e del fatto che nessuno riuscirà mai a raddrizzarlo.

QOSHE - La tragedia di Giulia e il circo dei folli - Diego Minonzio
menu_open
Columnists Actual . Favourites . Archive
We use cookies to provide some features and experiences in QOSHE

More information  .  Close
Aa Aa Aa
- A +

La tragedia di Giulia e il circo dei folli

3 0
26.11.2023

Nel giustamente celebre capitolo 32 dei “Promessi Sposi”, Alessandro Manzoni, con l’ironia feroce nei confronti degli esseri umani che rappresenta la cifra più alta della sua produzione, scrive che “il buon senso c’era; ma se ne stava nascosto, per paura del senso comune”.

Sono pagine, quelle dedicate alla peste e alla leggenda metropolitana degli untori, che, assieme a quelle sull’assalto ai forni, ognuno di noi, ma soprattutto i politici, i giornalisti e i vip di ogni genere e modello dovrebbero mandare a memoria. E dovrebbero poi ricordarsi, i nostri illuminati statisti, i nostri aurei opinionisti, i nostri formidabili analisti, con quale furia il grande scrittore fa a pezzi la demagogia, la superficialità, la stupidità diffamatoria che anima la gente, la massa, il popolo bue quando diventa preda del luogo comune, del sentire comune, del sospetto basato sul nulla, della dietrologia, del complottismo, dell’ipocrisia manichea, della chiamata di correo universale. Quando tutti dicono la stessa cosa, quando tutti pensano la stessa cosa, quando tutti pontificano sulla stessa cosa, ma proprio tutti, tutti tutti, beh, è probabile che quella cosa non sia vera.

C’è qualcosa di irritante, anzi, qualcosa di insopportabile, nella colata di retorica densa e melensa che da giorni ci perseguita sulla tragica vicenda di Giulia Cecchettin, uno dei delitti più atroci e sconvolgenti della nostra storia recente. Un profluvio di banalità, slogan e speculazioni che, con il passare del tempo, stanno trasformando la sciagura in un circo, una fiera delle vanità, una caccia all’untore,........

© La Provincia di Como


Get it on Google Play