Ma se queste parole sono abusate in politica o nel giornalismo, sembrano avere un valore crescente in medicina. Altre parole che andrebbero in sanità invece rivalutate e valorizzate sono “processo di guarigione” e resilienza ma di questo parlerò in altra sede.

Esiste un Istituto in Italia che sulla “medicina narrativa”, l’umanizzazione delle cure, la personalizzazione delle terapie, sta proponendo ricerche e aggiornamenti sempre più interessanti e stimolanti. E trova aziende e associazioni capaci di investire e credere in quest’area di ricerca. È l’ ISTUD Sanità e Salute, area dell’Istituto Studi Direzionali, che ha ormai superato i venti anni (nato nel 2002, costola dell’iniziativa di Confindustria e aziende multinazionali per la formazione del management fondato assai prima, nel 1970 ) con l’obiettivo di migliorare i percorsi di cura e assistenza e trovare risposte concrete nel pianeta sanità.

Nell’anno appena concluso e negli anni precedenti con l’approccio della medicina narrativa - i diversi punti di vista del paziente, del caregiver, dei sanitari - sono state affrontate molteplici patologie creando i presupposti per cambiare gli approcci, le relazioni, integrare le cartelle cliniche, migliorare e rendere più efficiente il servizio sanitario, umanizzare le cure, creare alleanze terapeutiche, puntualizzare nodi irrisolti, affrontare la continuità delle cure (aderenza) e i precorsi terapeutici. Una modalità che tiene conto e si inserisce nel tracciato della medicina basata sull’evidenza (basata sulle prove) migliorandone l’azione e l’efficacia.

Così sono stati affrontati con pazienti, familiari, medici, infermieri, psicologi, assistenti sociali innumerevoli universi: dallo scompenso cardiaco alla depressione, dall’epilessia alla BPCO (BroncoPneumopatia Cronico Ostruttiva), fertilità e tumore, cancro alla prostata, malattie rare.

Nell’ultimo trimestre del 2023 tre nuove ricerche e studi sono stati presentati sul dolore cronico, anemia da insufficienza renale cronica, malattia dell’occhio secco.

DOLORE - È il sottofondo onnipresente della malattia, il convitato di pietra della NON-salute e della sanità. Secondo il 1° Rapporto Censis-Grünenthal «Vivere senza dolore», due italiani su dieci (19,7% degli adulti) soffrono di dolore cronico. Per l’86,2% degli intervistati (500 affetti da dolore da più di 3 mesi intensità moderata o severa) serve al Servizio sanitario istituire uno specialista di riferimento per il dolore cronico; per l’81,7% il dolore dovrebbe essere riconosciuto come una patologia a sé stante. Su questa realtà si inserisce l’«indagine qualitativa sulle esperienze di dolore cronico, analizzando in profondità 9792 commenti raccolti da 5733 utenti sulla pagina Facebook Dimensione Sollievo: la Community sul Dolore Cronico che ha oltre 19.300 followers». Qui si racconta chi è “spossato” dal dolore, chi è scettico e in cerca di ascolto. L’85% è donna, over 60, da almeno 10 anni convive con il dolore. Scrivono: «Dolori ovunque del corpo, stanchezza, (stanca di sentire dolore). Spesso confusione. Non avere la forza di tenere una tazzina di caffè in mano. Non dormire per i forti dolori... questa non è vita». E ancora: «a NESSUNO PIACE PARLARE DI MALATTIE, finché non ne sono colpiti loro in prima persona perché la malattia spaventa (come se tutti ne fossero esenti) e dà fastidio una che si lamenta…»; «Noi invisibili... Non riconosciuti... per molti malati immaginari !!!»; «Vorrei addormentarmi. E svegliarmi come ero anni fa. Altrimenti non vale la pena svegliarsi».

Sfoghi, ricerca di risposte, voglia di cambiamento, necessità di migliore comunicazione medico-paziente, «necessità di stili comunicativi non giudicanti e ‘aperti’», «ricerca primigenia di sicurezza e di condivisione attorno al dolore, che può trovare nei social network un ambiente accogliente», sono le conclusioni degli esperti ISTUD che hanno analizzato i dialoghi. La Community “Dimensione Sollievo – al centro del Dolore Cronico”, promossa sempre da Grünenthal, risponde ad una esigenza: «la condivisione è sempre un sollievo», «Grazie mille, almeno c'è una persona che mi capisce…», sono i commenti. C’è ampio materiale per specialisti e medici in modo da cambiare la relazione e la comunicazione con il malato.

OCCHIO SECCO - Il progetto di medicina narrativa DINAMO (acronimo che sta per la raccolta delle narrazioni in persone con sindrome dell’occhio secco, Dry Eye) pone al centro l’analisi dei racconti di pazienti, caregiver e specialisti su questa disfunzione del sistema della superficie oculare con alterazione della produzione di lacrime. Trentasette centri oftalmologi coinvolti, 318 testimonianze (171 di pazienti, 111 cartelle redatte dagli specialisti, 36 caregiver) una analisi puntuale delle narrazioni in larga prevalenza scritte da donne, anche tra gli oftalmologi, sulla base di tracce narrative, un questionario sociodemografico e domande sul percorso di cura e la qualità di vita. Analisi dei temi e delle parole ricorrenti come delle metafore utilizzate, comparazione di “prima” e “dopo”, la ricerca di una diagnosi, i sentimenti dei protagonisti (vergogna, imbarazzo, incomprensione) e il vissuto (sarcasmo, indifferenza, fastidio rispetto a richieste ed esigenze particolari).

Qui torna il dolore: «La sintomatologia dell’occhio secco infligge percezioni dolorose, che spaventano per la loro irruenza, intensità, persistenza, continuità». Le metafore usate dai pazienti possono spiegare: «immagini come la sabbia e il deserto per trasmettere le sensazioni legate a una sorta di “siccità” corporea collocata negli occhi; la natura arida in particolare e il fuoco vengono evocati per raccontare del bruciore, anche molto acuto, che li affligge; la luce che non si rintraccia più, neppure nel proprio stesso viso, è oggetto di nostalgico ricordo». Nelle tracce narrative, gli stimoli, - aspetto assai interessante - vengono utilizzate le parole “evocative” dell’approccio del Natural Semantic Metalanguage. Si tratta di alcune delle 65 parole “neutre e universali” individuate dai linguisti nelle più diverse e lontane culture. Dalla ricerca e dal libro che ne è emerso, con il contributo di Bausch & Lomb, si sono scoperti percorsi di cambiamento per pazienti, familiari, strutture sanitarie, specialisti. Rendersi conto, da punti di vista diversi, del “percorso lungo e tortuoso” della cura, la scoperta dell’empatia e delle relazioni. Come delle cure personalizzate e delle spiegazioni e informazioni semplici. Ricorda un oftalmologo: «Per curarlo efficientemente ho dovuto innanzitutto conquistare la sua fiducia». (Progetto Dinamo, a cura di Maria Giulia Marini Alessandra Fiorencis, Roberta Invernizzi, Antonietta Cappuccio)

ANEMIA DA INSUFFICIENZA RENALE CRONICA - L’hanno chiamato DIANA questo progetto curato da ISTUD Sanità e Salute, contributo di Astellas, con 8 centri nefrologici, da Genova e Milano a Catania e Bari, con 74 testimonianze raccolte tra pazienti, caregiver e medici.

«Nel paziente affetto da malattia renale cronica (MRC) valori di emoglobina inferiori a 11 g/dl identificano un grado di anemia meritevole di trattamento con agenti stimolanti la produzione di globuli rossi». In questa malattia la causa è multifattoriale ma in gran parte si deve all’ormone che stimola il midollo osseo a produrre i globuli rossi (eritropoietina). I pazienti «hanno una qualità di vita insoddisfacente, caratterizzata da scarsa resistenza all’esercizio fisico, facile affaticabilità, difficoltà di concentrazione, disturbi del sonno, affanno, tachicardia, talvolta anche bassa pressione arteriosa. Il cuore è l’organo che risente in misura maggiore dell’anemia». Il percorso di diagnosi e di cura - grazie alla ricerca farmaceutica la situazione è assai migliorata - è comunque lungo e pesante. La comunicazione, la buona comunicazione, è uno strumento essenziale. L’approccio della medicina narrativa aiuta proprio in questo. Le associazioni dei malati hanno un ruolo decisivo perché sono le più consapevoli «che si tratta di cambiamenti radicali, nelle procedure mediche e nei processi organizzativi, che, se non gestiti correttamente possono generare insufficienze dei servizi, invece che progressi». (ANED, Associazione Nazionale EmoDializzati Dialisi e Trapianto - ONLUS). La metodologia delle analisi e degli spunti per le narrazioni è sulla falsariga di quella sull’occhio secco. Ma nell’orizzonte dei malati qui c’è il trapianto di reni: «Io domani vorrei fare il trapianto e dopo anni stare il più bene possibile». «L’anemia è definita da alcuni pazienti come “subdola”, aggettivo particolarmente calzante nel descrivere una condizione che sembra lieve, non di primaria importanza rispetto alla malattia renale ed altre eventuali comorbidità. Eppure, essa può diventare “la goccia che fa traboccare il vaso” per l’abbattimento della salute che comporta, nel fisico prima e nella mente dopo. Vengono descritti corpi che cambiano, diventano più magri, pallidi, meno forti, e umori che si deprimono». Ecco la depressione, avvertita da caregiver e pazienti ma assai meno dagli specialisti preoccupati più della stabilità clinica e della sintomatologia. L’ascolto attivo può diventare l’arma di una sanità più sostenibile con effetti sul rapporto di cura e sulla comunicazione tra i diversi attori coinvolti. Alcuni racconti sulla stanchezza sono significativi: «La mia giornata tipo era “poltrona, poltrona e poltrona” quindi con le persone vicine, a volte, mi sentivo inutile». «Io prima della malattia renale cronica ero una bambina felice.(…) Vorrei non essere malata e vivere come una persona sana». «Ho ricominciato ad uscire senza la carrozzina, dato che nei primi mesi della malattia era necessaria perché faticavo a deambulare e avevo frequenti crisi di ipotensione. Anche le dialisi erano spesso complicate da svenimenti, dovuti alla pressione eccessivamente bassa». «L’erba voglio mai cresce, nemmeno nel giardino del re, ma una maggiore spiegazione sull’anemia, sulle cure e anche sugli effetti dell’avere l’emoglobina alta, sarebbero bene accetti». «Mi sento affranta anche se ce la metto sempre tutta per uscire dalle criticità. Il mio corpo oggi è fragile, tanto da non avere strumenti a casa per continuare a curarmi. Questa cosa mi strugge molto perché mi sento un peso per i miei familiari e per i medici che mi prendono in cura».

La conclusione di Maria Giulia Marini, direttore scientifico dell’area sanità e salute ISTUD è «maneggiare con cura».Si ricorda ai pazienti che «hanno una condizione che li appartiene ma non sostituisce la propria identità». Ai caregiver che hanno bisogno di prendere anche del tempo per sé stessi. Ai medici «di saper vedere dietro al paziente anche la persona fatta di tante dimensioni, tra cui anche quella della realizzazione del sé»

Ecco spiegato l’obiettivo della Medicina Narrativa: «costruire un significato possibile rispetto a quanto accade alle persone ammalate nel loro processo di cura, in riferimento al loro mondo di relazioni» e «produrre efficacia nel contesto sanitario quotidiano riducendo le inappropriatezze e valorizzando le buone pratiche». (Progetto Diana a cura di Paola Chesi, Francesco Minetti, Antonietta Cappuccio).

Tag: Aned, anemia, dolore, Istud, Maria Giulia Marini, narrazione, Natural Semantic Metalanguage, Occhio secco, rene
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Le narrazioni che cambiano la sanità

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10.01.2024

Ma se queste parole sono abusate in politica o nel giornalismo, sembrano avere un valore crescente in medicina. Altre parole che andrebbero in sanità invece rivalutate e valorizzate sono “processo di guarigione” e resilienza ma di questo parlerò in altra sede.

Esiste un Istituto in Italia che sulla “medicina narrativa”, l’umanizzazione delle cure, la personalizzazione delle terapie, sta proponendo ricerche e aggiornamenti sempre più interessanti e stimolanti. E trova aziende e associazioni capaci di investire e credere in quest’area di ricerca. È l’ ISTUD Sanità e Salute, area dell’Istituto Studi Direzionali, che ha ormai superato i venti anni (nato nel 2002, costola dell’iniziativa di Confindustria e aziende multinazionali per la formazione del management fondato assai prima, nel 1970 ) con l’obiettivo di migliorare i percorsi di cura e assistenza e trovare risposte concrete nel pianeta sanità.

Nell’anno appena concluso e negli anni precedenti con l’approccio della medicina narrativa - i diversi punti di vista del paziente, del caregiver, dei sanitari - sono state affrontate molteplici patologie creando i presupposti per cambiare gli approcci, le relazioni, integrare le cartelle cliniche, migliorare e rendere più efficiente il servizio sanitario, umanizzare le cure, creare alleanze terapeutiche, puntualizzare nodi irrisolti, affrontare la continuità delle cure (aderenza) e i precorsi terapeutici. Una modalità che tiene conto e si inserisce nel tracciato della medicina basata sull’evidenza (basata sulle prove) migliorandone l’azione e l’efficacia.

Così sono stati affrontati con pazienti, familiari, medici, infermieri, psicologi, assistenti sociali innumerevoli universi: dallo scompenso cardiaco alla depressione, dall’epilessia alla BPCO (BroncoPneumopatia Cronico Ostruttiva), fertilità e tumore, cancro alla prostata, malattie rare.

Nell’ultimo trimestre del 2023 tre nuove ricerche e studi sono stati presentati sul dolore cronico, anemia da insufficienza renale cronica, malattia dell’occhio secco.

DOLORE - È il sottofondo onnipresente della malattia, il convitato di pietra della NON-salute e della sanità. Secondo il 1° Rapporto Censis-Grünenthal «Vivere senza dolore», due italiani su dieci (19,7% degli adulti) soffrono di dolore cronico. Per l’86,2% degli intervistati (500 affetti da dolore da più di 3 mesi intensità moderata o severa) serve al Servizio sanitario istituire uno specialista di riferimento per il dolore cronico; per l’81,7% il dolore dovrebbe essere riconosciuto come una patologia a sé stante. Su questa realtà si inserisce l’«indagine qualitativa sulle esperienze di dolore cronico, analizzando in profondità 9792 commenti raccolti da 5733 utenti sulla pagina Facebook Dimensione Sollievo: la Community sul Dolore Cronico che ha oltre 19.300 followers». Qui si racconta chi è “spossato” dal........

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