Roma, 24 aprile 2024 – Ma insomma: se Renzi e Calenda fossero andati con Pd e M5s, il centrosinistra avrebbe vinto in Basilicata?

"E chi lo sa? Non si può prendere il blocco centrista, metterlo dall’altra parte e automaticamente dire che avrebbe vinto la sinistra. Se un partito si schiera diversamente, non è detto che i suoi elettori lo seguano". La politica ha regole che l’aritmetica non conosce: Giovanni Orsina, direttore della School of Government della Luiss, è netto: "Non si può fare la somma secca dei voti. Per questo il campo largo è così difficile da fare. Basti pensare che se M5s si allea con il Pd perde consensi".

Il Pd senza i Cinquestelle non può competere, con i Cinquestelle perde: un bel problema.

"Infatti. E nemmeno coi Cinquestelle è competitivo, dovrebbe pure allargare al centro, ma questo vorrebbe dire mettere insieme posizioni politiche opposte, specialmente in campo internazionale. L’unica via d’uscita sarebbe una grande iniziativa politica: inventarsi un nuovo terreno sul quale costruire l’unità".

Un Ulivo 3.0?

"Essenzialmente sì. A sinistra si dovrebbero riprodurre operazioni come quelle che furono fatte nel 1996 e nel 2006. Solo che all’epoca c’era un nucleo egemone come quello post-comunista e un federatore come Romano Prodi. Oggi non c’è né un partito egemone né un federatore, e l’eterogeneità culturale è ancora superiore a quella delle due esperienze passate".

Il crollo di M5s è dovuto solo all’alleanza con il Pd?

"M5s è un partito che è sempre andato male a livello locale e alle Europee: è una forza da elezioni politiche. Per giunta, un partito che nasce per stare solo e opporsi all’establishment, si trova alleato con il Pd che è percepito come il più established di tutti: i problemi aumentano".

L’exploit del centro in Basilicata si può ripetere?

"Bisogna capire quanto ha pesato la situazione locale, ma lo spazio c’è. Il blocco centrista in Italia il suo 10-12% lo vale. Oggi però non sarebbe facile ripetere questo ottimo risultato e farne un progetto nazionale".

Qual è il problema?

"Intanto per arrivare a quella cifra il centro dovrebbe restare unito e avere una leadership riconosciuta. Ora ci sono due capi di gran carattere, l’uno contro l’altro armati. Senza contare che con l’attuale sistema elettorale dovrebbe comunque allearsi di qua o di là. Invece è diviso al proprio interno, non ha prospettiva strategica, e ha due leader divergenti".

Passiamo al centrodestra. FdI non perde consensi, ma non aumenta nemmeno i voti. Un risultato simile alle Europee sarebbe una sconfitta?

"È stata Giorgia Meloni a fissare l’obiettivo per le Europee: arrivare al livello delle politiche, circa il 26%. Che è un obiettivo prudente, raggiungibile. Potrebbe anche prendere qualche voto in più; alle ultime Europee, 2014 e 2019, c’è stato alla fine un ‘soccorso’ al vincitore da parte degli elettori: Renzi prima, Salvini poi. Di sicuro, se va sotto il risultato delle politiche è un primo campanello d’allarme per lei. Ma mi pare improbabile: dal 2022 i sondaggi danno una situazione di stabilità".

La stupisce la resurrezione di Forza Italia?

"Un risultato non imprevedibile, ma che molti ritenevano improbabile. Pesa la collocazione politica, sempre presidiata da Berlusconi, ovvero lo spazio dei moderati del centrodestra nel quale si riconosce un pezzo di elettorato. Uno spazio in cui Meloni, pur facendo politiche centriste, non si è spostata. Ha voluto mantenere un profilo da partito di destra. Si è messa in concorrenza con Salvini, non con Tajani, che ha giocato sull’idea di essere un leader affidabile. E il partito è riuscito a tenere".

La Lega invece non tiene. Salvini può risalire la china?

"Non è facile. Ha preso una posizione di destra-destra che oggi attira quote minoritarie di elettorato, senza considerare che gran parte del territorio in cui Salvini si vorrebbe muovere è sottratto da Meloni".

La candidatura di Vannacci può aiutare?

"Poco. Parla a quella quota di elettorato radicale che già sta con Salvini".

Qual è la sua opinione sui leader che si candidano come capolista alle Europee?

"Da un punto di vista politico è comprensibile, in termini istituzionali è una cattiva abitudine: chi si candida, se eletto dovrebbe svolgere l’incarico per cui si è proposto".

E il nome di Schlein nel simbolo del Pd sarebbe stata una buona idea?

"Non so se l’idea fosse buona o cattiva, di sicuro avrebbe cambiato il Pd. Mettere il nome nel simbolo per Schlein significava parlare a elettori ai quali il Pd non riesce ad arrivare. Ma questo avrebbe voluto dire che il partito si stava schleinizzando. E non è detto che, fra voti guadagnati e voti persi, il bilancio sarebbe stato positivo".

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Il politologo Orsina: "Tra Pd e M5s alleanza impossibile. Ci vorrebbe invece un Ulivo 3.0"

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24.04.2024

Roma, 24 aprile 2024 – Ma insomma: se Renzi e Calenda fossero andati con Pd e M5s, il centrosinistra avrebbe vinto in Basilicata?

"E chi lo sa? Non si può prendere il blocco centrista, metterlo dall’altra parte e automaticamente dire che avrebbe vinto la sinistra. Se un partito si schiera diversamente, non è detto che i suoi elettori lo seguano". La politica ha regole che l’aritmetica non conosce: Giovanni Orsina, direttore della School of Government della Luiss, è netto: "Non si può fare la somma secca dei voti. Per questo il campo largo è così difficile da fare. Basti pensare che se M5s si allea con il Pd perde consensi".

Il Pd senza i Cinquestelle non può competere, con i Cinquestelle perde: un bel problema.

"Infatti. E nemmeno coi Cinquestelle è competitivo, dovrebbe pure allargare al centro, ma questo vorrebbe dire mettere insieme posizioni politiche opposte, specialmente in campo internazionale. L’unica via d’uscita sarebbe una grande iniziativa politica: inventarsi un nuovo terreno sul quale costruire l’unità".

Un Ulivo 3.0?

"Essenzialmente sì. A sinistra si dovrebbero riprodurre operazioni come quelle che furono fatte nel 1996 e nel 2006. Solo........

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