Le elezioni regionali che si svolgeranno a breve in Sardegna (domenica prossima) e Abruzzo (10 marzo) sono realmente un test di cui non si conosce in anticipo il responso, con riguardo a interrogativi di un certo rilievo per la politica nazionale.

In questo caso, al contrario delle Regionali 2023, l’esito non è scontato, per due ragioni che si aiutano a vicenda. Sardegna e Abruzzo sono due tra le poche regioni rimaste stabilmente contendibili dalla seconda metà degli anni Novanta fino a oggi. In tutte e due le regioni l’area elettorale di centrodestra ha mantenuto un’ampiezza complessiva simile a quella del centrosinistra. Lo si vede, a colpo d’occhio, dai due grafici che riportano la percentuale dei voti ottenuti dalle diverse componenti partitiche delle due aree, colorate rispettivamente con gradi di blu e di rosso. I nomi dei partiti sono cambiati nel tempo, alcuni si sono fusi (Ds e Margherita nel Pd, ad esempio), altri si sono scissi, altri prima si sono fusi (An e FI) e poi scissi di nuovo. Nei grafici, per rendere la serie storica intellegibile, ciascuna di queste componenti è stata ricondotta alla sigla adottata più di recente. Ma la loro somma, da una parte e dall’altra dello spettro politico, è rimasta in equilibrio. Come nel resto del Paese, alle elezioni per il Parlamento del 2013 e 2018, il M5s ha preso voti da entrambi i lati. Poi, nel 2019, ha ri-ceduto quelli presi a destra (allora, alla Lega di Salvini). Alle regionali del 2019 era ancora rimasto impantanato nel limbo della sua pretesa autosufficienza, e questo ovviamente mise fuori gioco il Pd e i suoi tradizionali alleati. Tuttavia, sia in Abruzzo sia in Sardegna, la sconfitta del 2019 si inseriva in una sequenza quasi perfetta di ripetute alternanze.

Dunque, nel 2024, è arrivata l’occasione propizia per mettere alla prova il “campo largo”, in un momento in cui sia Giuseppe Conte che Elly Schlein sentono l’urgenza di portare a caso un risultato. Il principale interrogativo riguarda il M5s, che, come si sa, è andato sempre male alle regionali. Si capirà se Giuseppe Conte è riuscito a cambiare l’atteggiamento dei suoi elettori. Se è riuscito a trasformare l’elettorato volatile del MoVimento in una forza politica collocata nel centrosinistra, spendibile anche nei territori. La scommessa con la posta più alta è però quella della leader Pd. Se anche in questa circostanza così favorevole andasse incontro a una doppia disfatta, o se il Pd si riducesse a partner minore del M5s, la resa dei conti interna si avvicinerebbe e le contrarietà verso la sua candidatura alle Europee si farebbero più insistenti. Anche una sola vittoria darebbe il segno che l’asimmetria tra una destra riunita e una sinistra divisa registrata alle politiche può e deve essere sanata.

I sondaggi regionali, in effetti, confermano che la partita è giocabile. La distanza tra i principali candidati, sia in Sardegna sia in Abruzzo, è sottile. Mentre quelli nazionali restituiscono ormai da mesi, almeno dall’aprile 2023, grosso modo le stesse misure.

I rischi sono quindi elevati anche a destra. Se le percentuali di voto alla Lega andassero sotto il 4% decreterebbero la fine dell’ambizione nazionale coltivata dalla segreteria Salvini e forse della stessa segreteria. Le ambizioni di Giorgia Meloni potrebbero invece subire un colpo anche a percentuali di partito crescenti. A guidare la coalizione, in Abruzzo e in Sardegna, ci sono due esponenti di Fratelli d’Italia. Ma da un lato, in Abruzzo, c’è un presidente uscente che non ha brillato, almeno nel senso che non sembra riuscito ad allargare il campo elettorale della sua coalizione grazie all’apprezzamento personale guadagnato sul campo, come è invece accaduto a Fedriga in Friuli, per fare un esempio fra tanti. Dall’altro, in Sardegna, l’uscente è stato sostituito all’ultimo momento in mezzo a conflitti tra partiti e indagini giudiziarie. Prendere voti ai propri alleati e perdere la regione getterebbe un’ombra sull’immagine che finora la presidente del Consiglio è riuscita a rendere, nel suo campo, di una leader che lavora anche per la squadra.

QOSHE - Elezioni regionali, test in Sardegna e Abruzzo: stavolta il campo largo può farcela - Salvatore Vassallo
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Elezioni regionali, test in Sardegna e Abruzzo: stavolta il campo largo può farcela

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21.02.2024

Le elezioni regionali che si svolgeranno a breve in Sardegna (domenica prossima) e Abruzzo (10 marzo) sono realmente un test di cui non si conosce in anticipo il responso, con riguardo a interrogativi di un certo rilievo per la politica nazionale.

In questo caso, al contrario delle Regionali 2023, l’esito non è scontato, per due ragioni che si aiutano a vicenda. Sardegna e Abruzzo sono due tra le poche regioni rimaste stabilmente contendibili dalla seconda metà degli anni Novanta fino a oggi. In tutte e due le regioni l’area elettorale di centrodestra ha mantenuto un’ampiezza complessiva simile a quella del centrosinistra. Lo si vede, a colpo d’occhio, dai due grafici che riportano la percentuale dei voti ottenuti dalle diverse componenti partitiche delle due aree, colorate rispettivamente con gradi di blu e di rosso. I nomi dei partiti sono cambiati nel tempo, alcuni si sono fusi (Ds e Margherita nel Pd, ad esempio), altri si sono scissi, altri prima si sono fusi (An e FI) e poi scissi di nuovo.........

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