Ine Probst, Sogno di Natale, una delle illustrazioni di Aspettando Natale 2, realizzate intorno 1922 a Vienna dagli allievi della scuola di Disegno e Pittura per Bambini di Franz Cižek @media only screen and (min-width: 501px) { .align_atf_banner{ float:left; } }

Nel 1897 Virginia O’Hanlon aveva otto anni e aveva scritto al New York Sun: «Caro direttore, alcuni dei miei piccoli amici dicono che Babbo Natale non esiste. Papà mi ha detto: se lo scrive il Sun, è così. Per favore, mi dica la verità. Babbo Natale esiste?». O’Hanlon, figlia di un uomo di scienza, chirurgo e medico legale della polizia di Manhattan, diventò poi una educatrice e la risposta alla sua domanda uno dei pezzi più celebri del giornalismo americano: “Yes, Virginia, there is a Santa Claus”, le rispose Francis Pharcellus Church, disincantato corrispondente di guerra, «esiste così come esistono l’amore, la generosità e la devozione (…). Cielo, come sarebbe triste il mondo se Babbo Natale non esistesse!». Il suo editoriale non firmato sarebbe stato ristampato ogni anno dal Sun fino al 1950, data della sua chiusura, nonché allegato alle decine di migliaia di lettere che O’Hanlon diramò per decenni.

È una storia che agli americani (e ai giornalisti) piace ricordare spesso sotto Natale per tre motivi: è vera, gronda spirito natalizio ed epica del giornalismo come ricerca di verità, sostiene che «le cose più vere del mondo sono proprio quelle che né i bimbi né i grandi riescono a vedere». Che catastrofe. Centoventisei anni dopo, infatti, siamo qui a cazzeggiare con le prediche editoriali su odio e fake news, Natale è diventato una festa d’inverno, Babbo Natale uno di cui si occupano i giornali quando Posten decide di trasformarlo ora in un Trump in analisi che mangia renne per cena, ora in un gay che bacia un “Harry”, ora nel marito consumista di Madre Terra (il tradizionale spot natalizio delle poste norvegesi prevede che quest’anno salvi una coppia dal divorzio), e a rispondere a Virginia c’è Google.

Natale a casa di Mark Twain. E Collodi, Pasternak, Dickinson…

Succede, a narrare il Natale come il party delle cose che non si vedono e a liquidare i bambini coi sermoni dei benintenzionati. In un’altra casa americana di fine Ottocento Mark Twain, nel 1878, rispondeva invece in modo accuratissimo alla letterina che la figlioletta Susy aveva indirizzato a Santa Claus. Non solo le aveva spiegato perché l’ultimo lotto di mobili per la cucina delle bambole era andato a un’altra bambina, ma le aveva anche aperto gli occhi su tutte le visibilissime tracce che lui, Santa Claus in persona, il “buon vecchio Babbo Natale”, avrebbe lasciato al suo passaggio, ordinandole di seguire le istruzioni e non cancellare l’orma del suo stivale («lasciatela lì per sempre a memoria della mia visita, e ogni volta che la guarderai o la mostrerai a qualcuno…»).

Non c’è da inventarsi nulla, arriva Natale, mica una predica; succede un fatto e come ogni anno c’è da stare di guardia ai fatti e agire con onestà e la maggior accuratezza possibile. Cioè raccontando le cose così come sono state viste e come sono andate, quella notte di 2023 anni fa, una notte dal fascino «ben diverso da quello di una notte di fiaba. Ciò che accadeva nella santa notte era semplicemente la realtà più grande della vita, della nostra vita. Tutto era vero». Per questo c’è posto per Mark Twain e per Anna Maria Cànopi in Aspettando il Natale 2. Ogni giorno è una storia, e per Collodi, Deledda, Guareschi, D’Annunzio, Emily Dickinson, Gozzano, Pasternak, Andersen e per tantissimi altri che non trattano i bambini da lettori o spettatori ma partecipi di quel fatto rivoluzionario della natalità.

Aspettando l’eucatastrofe della storia dell’Uomo

Si tratta del secondo calendario dell’Avvento che parla di Avvento: il primo Annalena Valenti, la “nostra” Mammaoca, con le amiche Raffaella Carnovale e Valeria De Domenico, lo aveva già realizzato scovando e scegliendo venticinque, tra storie, leggende e poesie, “profezie di Natale” più belle mai scritte. Era stato un caso editoriale, ricordate quante ristampe per la notizia che riportava, l’unica che non veniva detta nei libri che addobbavano a Natale le vetrine delle librerie? Un bambino è nato per noi.

Che eucatastrofe, ha scritto Tolkien: la nascita di Cristo è l’eucatastrofe della storia dell’Uomo. «Ditelo a tutta la terra, arrivi lontano e ovunque la notizia di un Bimbo in una stalla nel tempo di Natale», hanno scritto Frances e Gilbert Chesterton. E così anche quest’anno Mammaoca e amiche sono tornate di guardia ai fatti, a quel bambino. A dirci per 25 giorni, dal 1 al 25 dicembre, di una madre che trascolora, divinamente affranta, di un’ora attesa per quattro mill’anni, e ogni notte di attesa di una stella più schiva di un lumino, di un campanile che scocca la mezzanotte santa. Di un pastorello che si ferisce le dita con un ramo di agrifoglio e una contessa che riempie di cento baci il suo figliolo di sette anni nascosto in un guardaroba. Di piedini nudi, vivi, infreddoliti, del suono di un tamburo o di un flauto, e di un arrosto a sorpresa in un forno di inizio Ottocento; di una tormenta di neve che seppellisce per una notte cuori pieni di paura ma «pure cullati dalla speranza in Dio» e di un angelo che lascia una propria ala a un bimbo infreddolito. Del Natale a casa Guareschi ma anche a casa di Fabio Cavallari, di un gobbetto, Bo-Bossu tutto dedito a realizzare una culla, di un usignolo, dodici persone in diligenza e una fiammiferaia.

Un bimbo vivo e vero. Non c’è da inventarsi nulla

Di una lettera che avvisa, «chi non ha trovato il Cielo – quaggiù – Lo mancherà lassù», e della fantasia di Gretl che «un giorno bucò la realtà ed andò a recuperare un pensiero lontano, quello di un bambinello venuto al mondo non per cambiare le cose, ma per cambiare la sostanza delle cose, per illuminarle, come un astro che rifulge nella notte. E così lo disegnò».

Va da sé che i disegni dei ragazzini come lei, della Scuola d’arte per bambini di Vienna Franz Cižek – prima classe aperta proprio nel 1897 e del 1922 sono le litografie di Weihnacht, uno splendido libro di Natale – illustrassero oggi le 25 storie dell’Avvento (ci sono anche canti, leggende e poesie, perfino una ricetta) scelte con cura infinita dalla letteratura di tutto il mondo da Annalena Valenti «per noi e per i nostri bambini» (e ragazzini: leggere per credere ma la differenza non passa che da un corsivo), tenuti insieme da un fatto di grazia improvvisa e miracolosa: un bimbo vivo e vero. Non c’è da inventarsi nulla, editoriali, feste e spot, né da delegare ad altri “la verità, vi prego, sul Natale”. È tutto scritto, raccontato, disegnato e testimoniato qui. Come si fa a non vederlo?

Aspettando Natale 2 Ogni giorno una storia, a cura di Annalena Valenti, con la collaborazione del team di Mammaoca, Raffaella Carnovale, Valeria De Domenico (e Mariarosa Grieco per il Podcast) edito da Comunica Editions Collana Vivide Vite lo trovate qui.

QOSHE - “Aspettando Natale”, un bimbo vivo e vero. Non c’è da inventarsi nulla - Caterina Giojelli
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“Aspettando Natale”, un bimbo vivo e vero. Non c’è da inventarsi nulla

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28.11.2023
Ine Probst, Sogno di Natale, una delle illustrazioni di Aspettando Natale 2, realizzate intorno 1922 a Vienna dagli allievi della scuola di Disegno e Pittura per Bambini di Franz Cižek @media only screen and (min-width: 501px) { .align_atf_banner{ float:left; } }

Nel 1897 Virginia O’Hanlon aveva otto anni e aveva scritto al New York Sun: «Caro direttore, alcuni dei miei piccoli amici dicono che Babbo Natale non esiste. Papà mi ha detto: se lo scrive il Sun, è così. Per favore, mi dica la verità. Babbo Natale esiste?». O’Hanlon, figlia di un uomo di scienza, chirurgo e medico legale della polizia di Manhattan, diventò poi una educatrice e la risposta alla sua domanda uno dei pezzi più celebri del giornalismo americano: “Yes, Virginia, there is a Santa Claus”, le rispose Francis Pharcellus Church, disincantato corrispondente di guerra, «esiste così come esistono l’amore, la generosità e la devozione (…). Cielo, come sarebbe triste il mondo se Babbo Natale non esistesse!». Il suo editoriale non firmato sarebbe stato ristampato ogni anno dal Sun fino al 1950, data della sua chiusura, nonché allegato alle decine di migliaia di lettere che O’Hanlon diramò per decenni.

È una storia che agli americani (e ai giornalisti) piace ricordare spesso sotto Natale per tre motivi: è vera, gronda spirito natalizio ed epica del giornalismo come ricerca di verità, sostiene che «le cose più vere del mondo sono proprio quelle che né i bimbi né i grandi riescono a vedere». Che catastrofe. Centoventisei anni dopo, infatti, siamo qui a cazzeggiare con le prediche editoriali su odio e fake news, Natale è diventato una festa d’inverno, Babbo Natale uno di cui si occupano i giornali quando Posten decide di trasformarlo ora in un Trump in analisi che mangia renne........

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